I comuni non si sono opposti all’eliminazione della Tasi perché era percepita in modo molto negativo dai cittadini. Il meccanismo di compensazione per il mancato gettito si fonda però sulle scelte del passato e toglie spazi di manovra agli enti. In attesa di stime condivise dei fabbisogni standard.
Le ragioni dell’esenzione
L’abolizione della Tasi (tassa sui servizi indivisibili) non risponde propriamente a criteri di maggiore equità della tassazione locale, in altre parole non è una manovra redistributiva. Certamente, non va in questa direzione l’estensione dell’esenzione rispetto alle misure già sperimentate con l’Imu sulla prima casa, cioè i 200 euro per abitazione a cui si aggiunge una somma legata al numero dei figli.
La scelta politica dell’attuale governo è di riconoscere alla casa un valore primario, il cui diritto va salvaguardato per tutti i cittadini. A una scelta di questo tipo contribuisce l’ampia diffusione della proprietà dell’abitazione nel nostro paese. Tanto più che per le famiglie il costo della casa è molto alto, sia quando pagano un affitto sia quando si trovano a dover sostenere un mutuo per il suo acquisto: in entrambi i casi, impegnano mediamente in questa voce di spesa un quinto del reddito.
La patrimoniale non è una imposta con finalità redistributive, ma con finalità di service tax, e la ratio dell’intervento di esenzione sta nella universalità del diritto alla casa. Certamente, la misura è più politica che tecnica, anche per gli importi in definitiva modesti dei prelievi.
Mancato gettito e autonomia fiscale
Ne nascono però due importanti questioni legate, da un lato, alle misure di compensazione del mancato gettito ai comuni, dall’altro alla diminuita autonomia fiscale degli enti.
Sul primo punto, la scelta della legge di stabilità prevede la compensazione totale del mancato gettito: ai comuni verrà rimborsato sia il gettito standard che quello derivante dalle loro manovre fiscali. Pertanto, ogni ente si vedrà riconosciuto quanto dovuto sulla base della capacità fiscale dei territori, ma anche quanto dovuto sulla base delle strategie fiscali pregresse. Dal Fondo di solidarietà comunale transiterà quindi un importo compensativo pari a 3,7 miliardi di euro, a risarcimento della perdita della Tasi per l’abitazione principale e dell’Imu sui terreni agricoli.
Il Fondo, nato per bilanciare le diverse basi imponibili del territorio, torna a essere in larga parte attivato dai trasferimenti dello Stato e sostanzialmente commisurato alle politiche fiscali passate degli enti: i comuni con imposte più elevate vengono, così, premiati con maggiori trasferimenti dallo Stato negli anni successivi. La stessa norma prevede la progressiva introduzione del criterio dei fabbisogni standard e della capacità fiscale nell’assegnazione dei trasferimenti, ma i metodi di calcolo non sono ancora completamente condivisi.
La seconda questione che si pone per i bilanci degli enti e per i cittadini riguarda, invece, i ridotti margini di autonomia fiscale dei comuni. Non disponendo più della Tasi, infatti, i comuni che avevano aliquote basse rinunciano al gettito potenziale per un importo, che per esempio in Toscana è pari al 23 per cento del gettito attuale (65 milioni).
Si può immaginare, inoltre, che gli enti che avevano basse aliquote e ora si trovano penalizzati dai trasferimenti, possano tentare di compensare il divario attraverso l’utilizzo dei margini di manovra su altri cespiti, ad esempio le altre abitazioni. L’ipotesi è stata vietata dal governo, che non vuole vedere vanificato l’intervento sulla proprietà abitativa.
Infatti il peso del prelievo sulle abitazioni diverse da quella principale è già molto elevato e le seconde case nel nostro paese non sono necessariamente un bene di lusso. Il 30 per cento dei proprietari di una abitazione ne possiedono anche almeno una seconda.
Una possibile soluzione, per non creare disparità che si consolidano, potrebbe essere quella di compensare il gettito effettivo a livello nazionale (i 3,7 miliardi di euro persi) e distribuirlo tra i singoli enti attraverso un sistema commisurato alla capacità fiscale standard del singolo ente anziché al gettito locale effettivo. Il criterio, che dovrebbe garantire una redistribuzione più uniforme sul territorio, potrebbe lasciare ai comuni eventuali successivi interventi di riequilibrio.
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serlio
facendo parte di un comitato di quartiere di un comune della costa romagnola ho appreso alcune belle cosine, che ora vi illustro. La gestione del verde pubblico è affidata ad una nota multiservizi locale, che poi la subappalta ad una cooperativa che a sua volta affida il lavoro a degli artigiani. Quindi vi sono ben due passaggi intermedi che il contribuente paga in più del dovuto. Come se non bastasse il contratto con la multiservizi, non viene fatto rispettare dal comune, che si guarda bene dal verificare se le potature o sfalciature previste sono state effettivamente eseguite, con le conseguenze che potete immaginare. Questo è il comportamento dei tanto virtuosi comuni, cui i denari del contribuente non bastano mai. Quindi assolutamente corretto eliminare l’imposizione fiscale sulla casa, così come occorre eliminare la capacità impositiva agli enti locali, sia perchè sprecano comunque, sia perchè le tasse si sommano e finiscono tutte in una sola tasca, quella del contribuente.
Mario Del Chicca
Mi dispiace dirlo ma l’articolo mi appare francamente incomprensibile. Credo si faccia confusione tra Imu e Tasi. Nel titolo si parla di Tasi e nella figura di Imu! A parte questo la restituzione di 3,5 miliardi di imposte sulla abitazione principale (come dice Luca Ricolfi è un quarto del maltolto) alle famiglie non priva di risorse i poveri comuni ma le riduce di quelle sulla casa di un quarto. Ma i poveri comuni oltre alle tasse sugli immobili hanno, mi sembra, anche altre entrate. Di queste non fanno cenno le autrici. Banale dimenticanza?
Carlo
Mi pare che la confusione sia relativa. La TASI colpisce quasi unicamente la prima casa, per come è stata applicata dai comuni, in sostituzione dell’IMU relativa alla prima casa. La figura sull’IMU riguarda la componente relativa alla prima casa. Quindi se si vuole ragionare sull’abolizione della TASI la comparazione con i valori IMU nella figura è più che giustificata.
Giovanni De Lorenzi
In barba alla legge 42/99 siamo ancora di fronte all’ennesima erosione di quell’autonomia fiscale dei comuni che sarebbe in grado di responsabilizzare ancora di più gli enti locali nella gestione delle risorse.
AM
In realtà i comuni hanno altre entrate e poi non si deve dimenticare che le spese comunali possono essere ridotte tagliando sprechi e corruzione
Angelo Rota
Concordo che l’abolizione della tasi sulla prima casa riduce l’autonomia impositiva dei comuni. Come è giusto incominciare a ridurre le tasse se il bilancio statale lo consente. Io penso che la scelta migliore doveva cadere nel fare recuperare ai contribuenti l’Irpef comunale e l’Irpef regionale visto che sono la copia della tassa che già paghiamo allo stato
Stefano
Il problema è che quando si parla di tassa sulla abitazione principale si guarda solo al finanziamento dei comuni e non al sistema generale di tassazione del nostro Paese.Oggi in Italia subiamo la tassazione sui redditi personali più elevata di Europa (soprattutto sui lavoratori dipendenti) e la più alta tassazione sugli immobili. L’incremento delle imposte locali si è giustificato parzialmente con il taglio dei trasferimenti statali ai comuni o con errati paragoni con
a Paesi esteri (che avevano un prelievo sui redditi personali più basso del nostro). Oggi IMU e TASI pesano di più dell’ICI. Tale sistema non poteva reggere a lungo. Si doveva scegliere o se ridurre l’IRPEF o tagliare le imposte sulle prime case. Il Governo per ragioni mediatiche ha scelto la seconda. Per quanto discutibile sul piano tecnico. è comunque un passo necessario. Soprattutto considerando che i comuni in tutti questi anni non hanno dato vita a quei processi di aggregazione fondamentali per ridurre i costi gravanti sui cittadini