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Non sparate (troppo) sul banchiere *

Nella nostra economia resta fondamentale il ruolo delle banche. E la politica europea sul credito determina i parametri perché possa essere svolto. Sarebbe un peccato se nel sistema bancario prevalesse la mancanza di coraggio. Interpretazioni semplicistiche e rischi per la debole ripresa italiana.

Banche italiane e politiche europee sul credito

La visione dominante nell’opinione pubblica italiana sulle banche del nostro paese sembra essere più o meno la seguente. A Bruxelles una cricca di ottusi burocrati definisce cavilli e regole mirate a bloccare la ripresa in Italia, mentre da noi le banche ottengono ampi margini di profitto vendendo prodotti tossici ai depositanti e distribuendo soldi agli amici invece di finanziare le imprese.
Quali elementi favoriscono una simile chiave di lettura? Certamente la propensione a trovare spiegazioni semplificate e complottistiche, ma anche due dati reali: la crescente pressione dell’apparato regolatorio europeo e la dinamica non ancora soddisfacente dei finanziamenti a famiglie e imprese (-0,03 per cento anno su anno secondo il rapporto Abi di dicembre 2015.
Un’interpretazione alternativa consente però una visione forse un po’ più ottimistica. In primo luogo, la politica europea verso le banche va vista nel suo complesso, tenendo conto anche dell’azione della Banca centrale europea. Secondo, la particolare struttura del sistema finanziario italiano spiega il ritardo nella trasmissione all’economia reale della politica monetaria espansiva. E infine, le banche italiane hanno risposto alle scelte della politica europea attraverso una forte patrimonializzazione e razionalizzazione e sono ora in condizioni migliori per svolgere il loro ruolo di intermediazione tra risparmio e investimenti.
Per quanto riguarda le linee di fondo della politica strutturale europea sul sistema finanziario (vigilanza unica, bail-in, assicurazione europea sui depositi, mercato unico dei capitali), pur con lentezze e difficoltà di coordinamento spesso dovute a conflitti tra paesi, il disegno è chiaro: si vuole favorire un sistema finanziario più uniforme, caratterizzato da istituti di credito più solidi e da un maggior equilibrio tra banche e mercato nell’intermediazione del risparmio.
Il problema è che politiche strutturali di questo tipo hanno tempi lunghi di attuazione e, anche per le difficoltà di coordinamento, possono avere inizialmente impatti restrittivi. Proprio per questo, la politica accomodante della Bce va vista come uno strumento complementare. Un sistema finanziario più omogeneo facilita la trasmissione della politica monetaria, ma allo stesso tempo la politica monetaria accomodante facilita la transizione e la messa in atto di politiche strutturali.
Questo il disegno, ma nella pratica? Come documentato sul sito della Bce, a più di un anno dal lancio della politica di facilitazione al credito (Tltro, Long Term Refinancing Operations) e di acquisto titoli (Quantitative easing), gli effetti sull’economia reale sono stati più significativi nei paesi del Nord Europa che in quelli del Sud. In Italia, in particolare, il credito alle imprese, pur avendo rallentato la tendenza negativa, stenta ancora a rimettersi in moto in modo significativo.

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I rischi dell’allarmismo

Proprio la maggiore interdipendenza tra banche e imprese in Italia spiega la lentezza del meccanismo di trasmissione. Malgrado la spinta di lungo periodo verso un sistema meno banco-centrico, il peso degli impieghi sull’attivo totale resta per le banche italiane ben superiore alla media europea (55 per cento contro 46 per cento) e gli effetti della crisi dell’economia reale in Italia hanno inciso sui bilanci bancari in modo più forte che in altri paesi. Il fardello dei crediti deteriorati ha reso più costoso per le banche italiane adeguarsi alle richieste di rafforzamento del capitale giunte dal meccanismo europeo di vigilanza unica e ha portato a una pesante riduzione dei prestiti alle imprese (- 96 miliardi dal 2011, una riduzione di circa l’11 per cento).
Oggi però, dopo aver aumentato il capitale del 40 per cento dal 2008, le banche italiane sono in condizioni di poter riprendere una strategia più espansiva dal lato degli impieghi.
Non solo le politiche di facilitazione al credito, ma anche il Quantitative easing della Bce spinge in questa direzione. Gli acquisti della Bce tendono infatti a spingere verso l’alto il prezzo di titoli di stato e azioni, rendendo in termini relativi più conveniente per le banche l’utilizzo di capitale per i prestiti alle imprese.
I primi effetti di queste politiche si cominciano a vedere. Ma, in particolare per le imprese a rischio medio, esistono sicuramente ulteriori spazi di sviluppo (dai dati Banca d’Italia, il tasso di crescita degli impieghi verso questa classe di imprese è stato del +0,8 per cento nel 2015, ma dopo anni di pesanti riduzioni: -4,5 per cento nel 2013, – 2,1 per cento nel 2014).
Si dice spesso che un punto di forza dell’Italia si trova nella consistenza della ricchezza privata, più alta in proporzione al Pil che negli altri paesi europei. Una caratteristica strutturale altrettanto significativa è la presenza di un settore manifatturiero dinamico e aperto al commercio internazionale. Perché i due fattori interagiscano in modo virtuoso per sostenere lo sviluppo, il ruolo delle banche resta fondamentale. La politica europea determina i parametri perché possa essere svolto. Sarebbe un peccato se prevalesse nel sistema bancario la mancanza di coraggio o, peggio ancora, se la debole ripresa italiana finisse vittima della speculazione, favorita da interpretazioni semplicistiche e allarmistiche.

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* Enrico Minelli è membro del Consiglio di sorveglianza di UBI Banca

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Il Punto

  1. luigi vignaroli

    argomentazioni condivisibili. Un’informazione più chiara sullo stato del sistema creditizio appare indispensabile specie dinanzi ad una campagna d’informazione che mette in risalto solo gli aspetti negativi, purtroppo veri, ma non unici.

  2. Rainbow

    Concordo con quest’analisi sul sistema finanziario e bancario. Le banche, presso l’opinione pubblica,sono “brutte, sporche e cattive” a prescindere! Molto dipende dalla ignoranza economico-finanziaria media del cittadino italiano,che determina due nefasti effetti:
    1) incapacità di allocare correttamente le proprie risorse x cui abbiamo ed avremo ancora casi come quello degli obbligazionisti subordinati della Banca Etruria e similia!
    2) incapacità di interpretare correttamente le dinamiche politiche in quanto oggi la politica è dominata dalla sfera Economico-Finanziaria! I politici lo sanno e fanno credere un cumulo di sciocchezze ai cittadini-elettori, ecco perché imperversa il populismo!
    Concordo con un recente bell’articolo dell’Economista Alberto Alesina che propone di istituire,provocatoriamente,una sorta di “patente”economico-finanziaria x investire in banca! Io la istituirei anche per votare perché, a mio avviso, chi non sa nulla di Economia Politica, di Economia Pubblica e di Finanza Pubblica, non è in grado di interpretare correttamente le dinamiche politiche e quindi di esprimere un voto ragionato! Prima o poi qualcuno scriverà un libro sui guasti prodotti dalla ignoranza Economico-Finanziaria imperante!

  3. Paolo

    Parla da bravo bancario di formazione anglosassone ma oggi le banche hanno livelli di redditività che non permette la loro sopravvivenza, il credit crunch si è manifestato con la crisi di liquidità e di sfiducia dei soggetti nell’interbancario, ha propagato in specialmodo in Italia la crisi dell’economia reale dopo che in precedenza avevano erogato senza alcuna cura finanziamenti in surplus rispetto agli equilibri di mercato in special modo nel settore immobiliare causandone una bolla.Non hanno saputo valutare il merito creditizio dei loro clienti che hanno portato alla crescita esponenziale delle sofferenze. Con la despecializazione le nostre banche non sono più in grado di fornire il credito a lungo termine necessario allo sviluppo delle infrastrutture. Le fonti di reddito su limite al margine da servizi. Non sono in grado di essere strumento di trasmissione di politica monetaria perché nell’Unione monetaria UE essa persegue più obiettivi e a mio parere sarebbero necessari due livelli di Unione uno per i paesi poveri e uno per i paesi ricchi con politiche monetarie ben diverse: per i primi espansivi e per i secondi restrittivi. La Bce ha contribuito a ridurre lo spread Btp/Bund con il Ltro e con il Tltro. Con Le operazioni di Open market la nuova moneta creata finira nelle mani dei fondi dei fonfi, veri protagonisti
    Del mercato dei capitali, come è accaduto nel caso dei Q E di Federal Reserve, della Boe e della BoJ.. La patrimonializzazione non sempre è sponta

  4. Michele Del Monaco

    Sicuramente le considerazioni di molta gente comune e di molta stampa sono sbagliate, allarmistiche e non portano a nulla. Però’ bisogna anche interrogarsi su come sia mai possibile che mezzo sistema bancario sia in crisi nono su tematiche esotiche ma per problemi di credito vecchi come il mondo. Non si tiri fuori la scusa della recessione perché’ in Spagna e’ stata peggiore che da noi e le sofferenze sono molto inferiori. Siamo proprio sicuri che le nostre banche abbiano dei processi di credito efficienti? Che le garanzie prestate dalle imprese vengano periodicamente controllate? Che le norme sulle parti correlate siano fatte rispettare? Che siano applicati per tutti i segmenti delle procedure che intercettino i segnali anticipatori del default? Vedendo la situazione verrebbe da dire di no, e se prima non si mettono queste cose a posto poi è’ inutile fare tanta fatica per innalzare il capitale.

  5. Marco

    Mi limito a far notare che spesso andando sul “sicuro” le banche finanziano e continuano a finanziare aziende morte. Questo a scapito di aria nuova e soldi buoni e non investimenti sepolcrali. Tuttavia ciò ben si iscrive nel panorama di un paese in mano ad anziani con tanti soldi e poche idee; soldi in lento esaurimento e dispersione e con una natalità da estinzione. In sintesi un paese “zombie” in attesa di una improbabile rianimazione.

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