Nei momenti di crisi è facile che la politica sbandi verso proposte populiste. Anche in economia. Ma non è prospettando irrealistiche soluzioni win-win (botte piena e moglie ubriaca) che si rilancia la crescita. Perché poi il conto da pagare arriva. Anche più salato.
È nei momenti di crisi che le idee populiste attecchiscono meglio. Vale anche in economia. Già nel 1990 Dornbusch e Edwards, avendo in mente l’esperienza del Cile dei primi anni ’70 e del Perù della metà degli anni ’80, avevano scritto un saggio “Macroeconomic Populism” che sarebbe diventato il punto di partenza di un libro uscito nell’anno seguente. Non esiste una definizione univoca di populismo e, a maggior ragione, di politiche macroeconomiche populiste. Tra le caratteristiche identificate da Dornbusch e Edwards ci sono il tentativo di evitare ogni tipo di conflitto sociale e il rifiuto delle teorie economiche tradizionali (o ortodosse). Riassumendo forse in modo troppo sintetico, un elemento essenziale delle politiche populiste è quello di negare l’esistenza, o quantomeno di attenuare la rilevanza, dei trade-off, cioè del fatto che le azioni di politica economica hanno sia costi che benefici e di prospettare ricette economiche che sembrano win-win, cioè con soli benefici e senza costi o, alla peggio, che svantaggiano solo qualche “cattivo”. Di solito queste politiche si limitano a rinviare il momento in cui la realtà presenta il conto, spesso più salato.
Ridurre le tasse ma non la spesa
Le pagine di Dornbusch e Edward non sono d’aiuto per interpretare la nostra attualità economica. Solo per fare un esempio, Cile e Perù lottavano contro un’elevata inflazione mentre noi abbiamo il problema opposto, quello della deflazione. Questo è un altro tempo, un’altra vita. Oggi i governi sentono la pressione di rilanciare la crescita, ma si trovano ad agire sotto il fardello di uno squilibrio nei conti pubblici e con debiti accresciuti dalla risposta a una crisi enorme per ampiezza e durata. Non è sorprendente allora che germoglino soluzioni win-win, come la riduzione delle tasse di qualche decina di miliardi senza alcuna revisione della spesa pubblica o di clausole di salvaguardia superate con “maggiore flessibilità”. Se la riduzione delle aliquote fiscali – o una maggiore spesa pubblica – generasse una crescita così forte da non far peggiorare i conti pubblici, chi potrebbe mai obiettare? Populismo non è certo perseguire oggi politiche economiche che stimolino l’economia. Quello, come ci ricorda costantemente il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, è un dovere dei governi europei. Populismo è cercare di farlo avendo in mente solamente il consenso elettorale.
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alberto balatti
il debito lo pagheranno in vario modo, dal default alle tasse i cittadini italiani residenti con il loro reddito e patrimonio…vi aspetto a malta con i vostri asset e la vostra impresa o pensione, in un paese stabile, sicuro in grande crescita e un sistema bancario forte e sicuro, deficit verso 1% e debito sotto il 60%, dove ogni anno tagliano le tasse e la spesa pubblica diminuisce ogni anno….é un paradiso per il clima, il mare,la storia….per l’economia é il migliore esempio di come debba essere l’Europa
Mario rossi
Ci sto pensando da in po anche se la tentazione più grande e acquistare un bel po di oro e diamanti e poi andare li a rivendere un po alla volta . Mi sono stufato di lavorare per pagare le tasse e io la mia pensione me la sono già fatta quindi i miei soldi me li voglio mangiare tutti io
Paolo Palazzi
“Tra le caratteristiche identificate da Dornbusch e Edwards ci sono il tentativo di evitare ogni tipo di conflitto sociale e il rifiuto delle teorie economiche tradizionali (o ortodosse)”
Quindi populiste sono tutte quelle politiche economiche non neoclassiche?
Edoardo Croci
Verissimo. Quello di cui non mi capacito è perché l’elettorato premi il populisti, visto che non è difficile dimostrare che le loro ricette sono inefficaci ed anzi dannose.
bob
risposta: si veda il video delle primarie PD a Napoli ….che anche se fossero taroccate esprimono un atteggiamento radicato. I signori che elargiscono 1 euro sono in qualche maniera fruitori di favoritismi dal politico ( soprattutto locale) di turno
Enrico Motta
Siamo sicuri che se un governo sfonda il deficit e/o riduce le tasse per prendere voti è populista, mentre se fa la stessa politica per stimolare l’economia è un buon governo? Io non credo, perché i risultati macroeconomici e gli effetti sui conti pubblici sarebbero gli stessi. Personalmente non sono favorevole a stimolare l’economia coi soldi degli altri (debito da pagare domani da parte dei giovani di oggi). L’articolo comunque è molto interessante (e anche breve, Grazie!). Mancano però i nomi dei propugnatori del populismo economico di casa nostra. Dimenticanza o l’elenco era talmente lungo che è stato meglio non cominciare nemmeno? Però qualche nome sarebbe interessante davvero.
ms
Se una generalizzazione da un concetto di per sé ampiamente fuzzy ad una situazione che non c’entra nulla non ha senso scientifico (come lei stesso ammette), ci si chiede perché mai la faccia. Che cosa c’è di ortodosso o tradizionale (e quindi pregevole) nell’usare concetti fuzzy elaborati per interpretare due casi che rappresentano situazioni completamente differenti? Entrare nel merito, con questo livello di rigore argomentativo, non è possibile. Resta il dubbio che il suo pezzo sia, invece, un ottimo esempio di populismo: per come costruito. E la petizione di principio finale non migliora la situazione.
Molto meglio, per chi interessato, leggersi l’articolo di Dornbush e Edwards, forse insieme a quello di Amartya Sen, “The impossibiliry of a Paretian Liberal” (1970). L’articolo di Sen si trova on line e credo possa fare riflettere sul come alcune teorie conservatrici omnicomprensive possano legittimare regimi autoritari. Quella teoria di cui Amartya Sen parla, infatti, è utilissima per negare ogni forma possibile di conflitto sociale.
Henri Schmit
Pienamente d’accordo. Populista non è solo un movimento di opposizione che pur di farsi notare e votare dice qualsiasi cosa, tipo flat tax, uscire dall’euro per non avere limiti al debito etc., ma pure una politica macro-economica governativa che invece di misure razionali e sostenibili inserite in un piano condiviso di medio termine mira soprattutto ad effetti immediati o a misure gradite ad un’ampia parte dell’elettorato ma ad alto costo o rischio posticipato (esattamente come i derivati!). Distribuire caramelle alla domanda invece di ridurre la spesa e favorire la fiscalità (e le altre condizioni) dell’investimento è populista, o demagogico come si diceva una volta. Mi delude più Padoan incapace di opporsi che Renzi fatto geneticamente così. Siamo messi molto male, ma mi preoccupa ancora di più il vento che soffia da Bruxelles dove non comandano i burocrati ma i capi di governo (indirettamente) da noi eletti e che quasi tutti ora pensano in difesa, più alle loro scadenze elettorali che non a principi di una politica macro-economica sana e coerente. Meno male che il fiscal compact c’è (per quanto ancora?), meno male che Cameron non ci sta (e dopo l’estate?)!