L’8 marzo è nato per ricordare la lotta per i diritti e le conquiste politiche e sociali delle donne, ma può anche essere un’occasione in cui riflettere su cosa non è stato ancora fatto per ridurre la discriminazione di genere e per abbattere il “soffitto di vetro”, l’ostacolo invisibile ma consistente contro cui si arresta la rincorsa femminile. Per capirne meglio natura ed entità vale la pena ragionare con qualche dato. Il settimanale londinese The Economist ha creato il Glass-ceiling index, un indice che prova a esprimere numericamente quanto in un paese ci sia disparità di genere attraverso una combinazione di dati su istruzione superiore, partecipazione alla forza lavoro, stipendi e posizioni ai vertici d’impresa, per un totale di dieci parametri che ne costituiscono i pesi. Più l’indice è alto, più il paese è considerato libero da discriminazione di genere.
Il quadro internazionale
La Figura 1 mostra una rappresentazione geografica dei punteggi dei singoli stati, utilizzando la ponderazione originale dell’Economist. A presentare la situazione più rosea sono i paesi nordici, tra cui spicca l’Islanda che, con il suo 82,6, si classifica come il paese con meno discriminazione di genere fra i paesi Ocse. Complessivamente buoni anche i punteggi dell’Europa continentale, che segue a ruota mantenendosi sopra la media (pari ad un punteggio di 56). Bene anche Canada, Israele, Nuova Zelanda e, per un pelo, l’Australia con il suo 56,2. Appena sotto la media, invece, si posizionano gli Stati Uniti, su cui pesa la totale assenza di congedo parentale e un differenziale reddituale del 17,5 per cento. Continuando a scorrere la classifica troviamo poi Repubblica Ceca e Italia, seguite a ruota da Olanda, Grecia e Isole Britanniche. Maglia nera d’Europa è la Svizzera, che sconta con un basso punteggio il più alto differenziale educativo tra i paesi Ocse. In coda, con punteggi che si aggirano attorno al 27 (meno della metà della media Ocse) troviamo Giappone, Turchia e Corea del Sud.
Figura 1
(Rielaborazione lavoce.info su dati The Economist)
In Italia
L’Italia si posiziona al ventunesimo posto con un indice pari a 53,7, di poco sotto la media Ocse. Il dato non è molto rassicurante, ma è bene analizzare più a fondo le sue diverse componenti per comprendere le determinanti di un risultato tanto esiguo. Prendendo in esame i singoli parametri di ponderazione dell’indice si possono ottenere dieci diverse classifiche per materia, vale a dire una classifica per ogni parametro utilizzato nella costruzione dell’indice stesso. Si ottiene così un quadro con luci e ombre. Se si parla di posizioni ai vertici, sembra che in Italia le donne siano riuscite a conquistarsi uno spazio: grazie alle quote di genere cui sono tenute le società quotate, il 25,3 per cento delle posizioni nei consigli di amministrazione è ricoperto da donne, quota che porta l’Italia a posizionarsi settima per presenze femminili nei Cda. Il 31 per cento dei deputati è donna, risultato che conduce l’Italia al tredicesimo posto per presenza femminile in una camera parlamentare. Migliore della media Ocse (15,5 per cento) anche il gap tra stipendi maschili e femminili, pari all’11 per cento. Molto male invece per la partecipazione femminile alla forza lavoro, parametro per cui l’Italia si posiziona al ventisettesimo posto. Complessivamente per l’Italia la strada verso una compiuta parità di genere sembra ancora molto lunga. E l’assenza di un referente per le pari opportunità nel governo di certo non aiuta.
Figura 2
(Rielaborazione lavoce.info su dati The Economist)
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