Una sentenza della Corte costituzionale promuove per ora la doppia sanzione amministrativa e penale per gli abusi di mercato e alcuni reati tributari. Ma il problema non è risolto. Restano da recepire i principi europei che suggeriscono una differenziazione in base alla gravità della violazione.
La decisione della Corte costituzionale
La disciplina sanzionatoria prevista per gli abusi di mercato – dall’aggiotaggio alle comunicazioni di informazioni privilegiate sui mercati finanziari – e per alcuni reati tributari passa (per ora) l’esame della Corte costituzionale. È il risultato della decisione pronunciata nei giorni scorsi dalla Consulta, che si è espressa su due questioni sollevate dalla Cassazione e su una proposta dal tribunale di Bologna (in tema di omesso versamento Iva), dichiarando inammissibili le prime due e restituendo gli atti al giudice sulla terza, per verificare se è ancora «rilevante» dopo l’entrata in vigore del decreto n. 158/2015 che ha innalzato le soglie di punibilità del reato.
La Corte costituzionale, dunque, non è entrata nel merito dei diversi rilievi portati alla sua attenzione, volti a censurare o a confermare il cumulo delle sanzioni, amministrativa e penale, in relazione al principio del ne bis in idem (“non due volte per la medesima cosa”). Si tratta del principio, sancito dal nostro codice di procedura penale e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo il quale nessuno può essere punito due volte per la stessa azione. Bisognerà tuttavia attendere le motivazioni della sentenza per saperne di più, anche se, presumibilmente, i giudici si limiteranno a spiegare che le questioni di legittimità sono state mal poste e tanto basta per dichiararne l’inammissibilità.
Un difficile equilibrio
Il tema sottoposto all’attenzione della Corte costituzionale non è tra i più semplici. Si tratta di capire se ha o meno legittimità nel nostro ordinamento un doppio sistema sanzionatorio in base al quale un medesimo fatto è punito con la sanzione penale e con quella amministrativa quando quest’ultima sia talmente grave da avere, di fatto, natura afflittiva. È quanto previsto, appunto, dalla disciplina relativa agli abusi del mercato. Sistema sanzionatorio già censurato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nell’oramai famoso caso Grande Stevens perché determinerebbe una sistematica violazione del divieto di un secondo giudizio previsto dall’articolo 4, protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Se la decisione della Corte costituzionale permette di far ripartire i giudizi penali nell’ambito dei quali le questioni di legittimità sono state sollevate, il problema comunque non può dirsi risolto.
In primo luogo, sul tema deve ancora pronunciarsi la Corte di giustizia dell’Unione Europea, alla quale si sono rivolti alcuni giudici di merito per verificare la compatibilità con la disciplina comunitaria del doppio sistema sanzionatorio previsto, in questo caso, in materia di evasione dell’Iva. La soluzione della questione dovrà necessariamente tenere conto di quanto i giudici europei hanno già avuto modo di chiarire in una loro precedente sentenza, ossia che «il principio del ne bis in idem sancito dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di Iva, una sanzione tributaria e successivamente una sanziona penale, qualora la prima non sia di natura penale, circostanza che dev’essere verificata dal giudice nazionale».
In secondo luogo, il nostro legislatore è chiamato a recepire entro il 3 luglio 2016 il regolamento Ue n. 596/2014 e la direttiva 2014/57/Ue, entrambi destinati ad adeguare ai principi europei il diritto punitivo interno per quanto concerne la fattispecie di abuso di informazioni privilegiate e l’ipotesi di manipolazione del mercato. Sia il regolamento che la direttiva – pur non vietando espressamente la possibilità per gli Stati membri di prevedere nella repressione degli abusi di mercato sanzioni di natura “formalmente” amministrativa, oltre che penali – suggeriscono di differenziare la scelta tra l’uno o l’altro tipo secondo un principio di gradualità in relazione alla gravità delle condotte. In breve, ai fatti illeciti caratterizzati da una maggiore gravità dovrà applicarsi la sanzione penale intesa come pena detentiva, mentre alle altre violazioni potrà essere riservata la sanzione amministrativa.
Compito niente affatto semplice quello al quale si appresta l’opera di adeguamento del legislatore nazionale. La speranza è che i prossimi interventi di riforma si differenzino per competenza e rigore scientifico da quelli ai quali oramai ci eravamo quasi rassegnati a doverci abituare.
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