Il fondo Atlante è certo una reazione tardiva e insufficiente. Ma cerca di perseguire gli interessi del paese e vuole rimediare alle imperfezioni del mercato. Oltre ad avvicinarsi a uno schema comune di assicurazione dei depositi. Gli aumenti di capitale di due banche e la partita delle sofferenze.
Un fondo accolto con freddezza
Atlante, il fondo istituito dal nostro sistema finanziario per sciogliere da solo i propri nodi, più che sostenere il cielo come narra il mito, è in trincea; il battesimo del fuoco sarà l’aumento di capitale da 1,75 miliardi della Banca Popolare di Vicenza e, a seguire, quello da 1 miliardo di Veneto Banca. E dovrà anche aiutare a smaltire le “sofferenze”, iscritte nei bilanci delle banche italiane a un valore netto di 83 miliardi, il 4,6 per cento dei loro crediti.
Commenti che vanno dallo scettico al sarcastico hanno accolto il fondo; per la stampa anglosassone è un “pasticcio italiano” e anche da noi molti, fra cui Angelo Baglioni su lavoce.info, lo giudicano tardivo e insufficiente. È vero: i 4 o 5 miliardi di dotazione “atlantica” sono una frazione di quanto serve a sgravare le banche impiombate dalle sofferenze. E certo sarebbe stato meglio che il fondo fosse stato varato prima. Ciò non significa che sia un progetto sbagliato o che ci siano alternative in grado di partire subito, raccogliendo in corsa fondi apprezzabili e ottenendo l’ok di quel segugio dall’olfatto sensibile al minimo odore di aiuto di Stato, che è la Commissione Ue.
Una proposta alternativa, di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, prevede l’ingresso massiccio della Cassa depositi e prestiti nel capitale delle banche. Però assoggetterebbe la Cassa ai requisiti di una capogruppo bancaria e metterebbe a rischio la sua esclusione dai conti della pubblica amministrazione, come rileva in una lettera al Corriere della sera Massimo Mucchetti, presidente della Commissione industria del Senato.
Atlante libera Unicredit dalla garanzia concessa per l’aumento di capitale della Vicenza; è dunque la banca milanese il vero beneficiario dell’intervento. Secondo le “voci di dentro”, per questo Intesa San Paolo era contraria ad Atlante: sentendosi tranquilla per la garanzia data sull’aumento di Veneto Banca, non amava sborsare un miliardo per togliere le castagne dal fuoco al principale concorrente. Alla fine però, trovato l’accordo, abbondano gli elogi pubblici per il costruttivo apporto di Intesa…
Il valore delle sofferenze
La prova del fuoco sarà l’aumento di capitale delle due banche, ma l’intervento più interessante sarà sulle sofferenze. Alla risoluzione, le quattro banche le cedettero al 17,5 per cento del nominale, pare per intervento della Commissione Ue, decisa a esigere la sua oncia di carne: si ceda al valore di mercato e se il mercato non c’è, al valore al quale il compratore non può perdere. Definizione davvero approssimativa di un mercato; molti, deducendone che era quello il valore delle sofferenze, subito conteggiarono quanto nuovo capitale serviva alle banche italiane, valutando all’ingrosso le loro sofferenze come quelle delle quattro banche risolte.
Naturalmente era sbagliato (e in seguito anche il valore di cessione di quei crediti è salito al 22,3 per cento). Era vero solo che al 17,5 per cento c’erano acquirenti, fondi speculativi alla ricerca di rendimenti annui sul 15-20 per cento. Speculativo non è un insulto, chi gestisce quei fondi ha diritto di cittadinanza in un sistema finanziario moderno; la Commissione Ue però non può imporre i loro criteri a tutti. Se qualcun altro è disposto a pagare meglio e a guadagnare di meno, anche questo è il mercato, bellezza.
Alle imperfezioni del mercato Atlante vuol rimediare; s’accontenta di rendimenti al 5-6 per cento – il che, in questa situazione dei tassi, non è male. Le banche potranno così cedere la fetta junior delle sofferenze cartolarizzate, segmento dove oggi scarseggiano i compratori, abbondanti invece per le fette senior, ammesse a godere della garanzia statale.
Le nostre fragilità comportano rischi per tutta l’Eurozona: Atlante è anche un interesse europeo. Di più, dietro il progetto c’è una meta ambiziosa, accelerare l’avvio (in tempi non geologici) di uno schema comune di assicurazione dei depositi, sulla scia della proposta della Commissione Ue per un European Deposit Insurance Scheme (Edis); questa è malvista dalla Germania, per la quale i rischi prima si diminuiscono e solo poi si condividono. Atlante, nella misura in cui riduce quelli delle nostre banche, avvicina la prospettiva di un Edis, essenziale complemento di un’unione bancaria ancora zoppa.
Il fondo è la reazione, certo tardiva e insufficiente, di un paese che vuol perseguire i propri interessi e non restare in balìa degli eventi. Ci sono certo investimenti più redditizi, magari più rischiosi, ma liquidabili più in fretta. Azzardo però una previsione: chi investe in Atlante guadagnerà soldi. Quando il governo Usa lanciò l’operazione di sostegno del sistema bancario scosso dalla caduta della Lehman Brothers non voleva massimizzare i ritorni; alla fine però ha guadagnato, e non perso, i soldi che lì erano dei contribuenti, mentre qui sono in buona parte di soggetti privati.
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neviana.salomone@libero.it
Semplicemente, credo che i commenti sarebbero meno scettici e/o sarcastici se il sistema bancario italiano dimostrasse una minima capacità di rigenerarsi: un sistema che ha prodotto il 20% di crediti di dubbio realizzo e che non è stato in grado di individuare un solo responsabile di tali disastri, difficili da giustificare solo con la crisi economica; un sistema che non riesce a proporre azione di responsabilità nei confronti dei massimi vertici di una Banca che oggi ha titoli che valgono decimali di euro; un sistema che ha un amministratore delegato che rilascia interviste rassicuranti sulla tenuta delle banche ma che non è in grado di licenziare il proprio manager che ha assunto la decisione di assicurare il collocamento della popolare di Vicenza; un sistema che pensa solo agli stipendi stratosferici dei propri altissimi manager, davvero ingiustificabili alla luce dei risultati; un sistema dove il capo della Vigilanza nazionale ha la prepotenza di continuare a dare consigli al mercato e non, invece, la decenza di dimettersi per manifesta incapacità.
E mi fermo, perchè gli esempi potrebbero continuare a lungo.
Ecco, forse anche commenti sarcastici (o semplicemente veri) potrebbero aiutare a smuovere questa foresta di pietra.
Alberto
Condivido pienamente i suoi commenti. Un lettore.
Marco
Direi che il commento precedente sintetizza bene la situazione del sistema bancario (e del paese)…personalmente sono curioso di vedere, all’atto pratico, se veramente non vi sarà alcun intervento “pubblico” (ovviamente per via traverse)….tanto per far pagare nuovamente ai contribuenti le colpe gravi di manager incapaci o semplicemente mossi da interessi più personali che aziendali
Pier Francesco Veronics
Tutto bene, però non era un’oncia (Il Mercante di Venezia) ma una libbra. Ad un’oncia corrispondono circa 30 g., ad una libbra circa 450 grammi. Shylock come avrebbe potuto pretendere un cuore per il pagamento di un pegno di soli 30 grammi ?
luigi collareda
Approvo il commento della Sig.Neviana e aggiungo da risparmiatore TRUFFATO dov’era chi(pagato)i doveva controllare e una vergogna perche sappiamo tutti che quando una persona perde dei soldi qualcunaltro li guadagna inb che modo vedete Voi:
Claudio
E’ il gioco delle tre carte tutto italiano.
sono pessimista. In questo paese è necessario un RESTART dal fondo.
Non è stato possibile agire come gli altri paesi (vedi la “famigerata” Germania ormai diventata nostra nemica e causa di tutti i nostri problemi) perchè avevamo e abbiamo un debito pubblico di quattro milioni di miliardi delle vecchie lirette. Se avessimo “salvato” le nostre banche il debito pubblico avrebbe superato il 150% del PIL ! lascio immaginare quali sarebbero state le conseguenze. pur tuttavia è da dimostrare come il fondo Atlante (7 miliardi di euro) possa far qualcosa contro i quattrocentomila miliardi delle vecchie lire di NPL e duecentomila miliardi di crediti dubbi, in totale seicentomila miliardi delle vecchie lirette, in euro 300 miliardi. Ci vuole proprio un restart.
Michele
“Accontentarsi” di un rendimento del 5/6% per sottoscrivere capitale rischio in banche in grave difficoltà e per comperare la quota più rischiosa di NPL non è una operazione di mercato. È un regalo. Fatto per mantenere lo status quo nel mondo bancario italiano. Ma non si ferma il mare con le mani.
Michele
Perchè per gestire fondo Atlante è stata scelta la società lussemburghese Quaestio Capital?
Luca
Un altro pessimo articolo. Sono d’accordo con Michele che accontentarsi di un rendimento del 5/6% per sottoscrivere azioni e comprare tranche junior o mezzanine di cartolarizzazioni di NPL è un regalo per mantenere lo status quo. L’autore dell’articolo si dimentica che in finanza esiste il concetto di rischio/rendimento: maggiori rischi, maggiori rendimenti; 5-6% è al di sotto dei livelli di mercato per titoli simili.
Meglio sarebbe focalizzarsi su come accorciare e facilitare il recupero di NPL (aumentandone così il valore, riducendone il rendimento richiesto, facilitando l’erogazione di nuovo credito) e migliorare davvero il sistema bancario italiano. In mezzo a purtroppo tanta disinformazione, da un sito autorevole come La Voce sarebbe opportuno invece avere contributi più ragionati e meno populisti di questo articolo.