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No-triv o no-Renzi? Le risposte del referendum

Il referendum “no-triv” è stato un costoso sondaggio elettorale. La decisione di recarsi alle urne è dipesa poco dal merito del quesito e molto dalla posizione politica degli elettori. Il Movimento 5 Stelle si conferma il principale avversario politico di Renzi. Il Pd bersaniano e quello renziano.

Su cosa si è votato

Il referendum sulle trivelle è finito in un nulla di fatto per mancanza di quorum. Anche se circa l’86 per cento dei votanti (per ciò che concerne i residenti in Italia) si è espresso a favore del quesito, il tasso di partecipazione, poco più del 32 per cento in media, è stato ovunque, esclusa la Basilicata, inferiore al 50 per cento+1 degli aventi diritto (si veda la tabella 1).
Dove si è votato di più, si è anche votato di più per il “sì”; in altre parole, c’è una correlazione positiva, sebbene non fortissima (il 39 per cento a livello regionale), tra partecipazione al voto e voto favorevole. Non è sorprendente, visto che lo stesso presidente del Consiglio si è espresso per l’astensione proprio allo scopo di invalidare il referendum.
Ma è stato solo un voto politico, pro o contro il governo, o si è votato anche tenendo conto della sostanza del quesito referendario? E quali variabili politiche hanno determinato il risultato?
Si tratta di domande interessanti anche perché si può ben immaginare che lo scontro politico sul “no-triv” sia stato un’anticipazione del conflitto che emergerà nell’assai più rilevante consultazione di ottobre sulla riforma costituzionale (su cui non è previsto quorum), dove il presidente del Consiglio si gioca il futuro politico contro le opposizioni consolidate, inclusa probabilmente la minoranza del proprio partito. Il referendum sulle trivelle, infatti, l’unico sopravvissuto al vaglio della Corte costituzionale sui cinque richiesti da un certo numero di regioni, si concentrava su un quesito relativamente minore. Anche per questo, per incentivare la partecipazione, il tono della polemica tra le forze politiche è cresciuto a dismisura, politicizzando fortemente il confronto.

Un’analisi a livello comunale

Per rispondere alle domande con qualche base di concretezza, abbiamo costruito una banca dati relativa ai risultati del voto al referendum a livello comunale e studiato con un’analisi econometrica l’effetto di diverse variabili sulla partecipazione e sul voto positivo al referendum. Per catturare le variabili politiche, abbiamo usato i risultati elettorali, a livello comunale, per le maggiori forze politiche alle europee del 2014 e alle politiche del 2013. Per catturare invece le preferenze degli elettori in merito alle questioni ambientali e al quesito specifico, si sono usate diverse proxy: la quota di raccolta differenziata a livello comunale, la distanza tra ogni comune e la piattaforma estrattiva più vicina, il fatto che si trattasse o meno di un comune litoraneo (e l’interazione tra queste ultime due dimensioni). Per tener conto del possibile effetto sul referendum del recente scandalo ambientale, si è anche inserita la distanza di ogni municipio rispetto al comune di Corleto Perticara, dove si colloca l’impianto Total di Tempa Rossa. Si sono poi inserite come controlli altre variabili comunali, tra cui la partecipazione al referendum nel 2011, per tener conto di una possibile predisposizione degli elettori di un comune a partecipare ai quesiti referendari e le caratteristiche della popolazione per classe d’età e per livello di educazione. Le regressioni sono state svolte inserendo effetti fissi a livello provinciale: significa che i risultati riportati tengono conto solo della variabilità tra i comuni appartenenti alla stessa provincia.

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I risultati

I risultati dell’esercizio sono presentati nella tabella 2; una seconda analisi, limitata solo alle regioni che hanno richiesto il referendum, non presenta differenze di rilievo ed è quindi omessa (ma disponibile su richiesta).
La tabella consente innanzitutto di rispondere alla prima domanda, se si sia trattato o meno di un referendum di tipo politico. La risposta è nettamente positiva, almeno per quello che concerne la partecipazione al voto. La varianza spiegata dalla regressione è molto alta, quasi il 70 per cento per entrambe le variabili dipendenti, ma tolta la parte spiegata dagli effetti fissi e le altre variabili di controllo, quella residua spiegata dalle variabili politiche sulla partecipazione al voto supera il 90 per cento. Un maggior ruolo delle variabili che catturano le preferenze ambientali, l’interesse relativo al tema referendario e la rilevanza geografica dello scandalo Tempa Rossa si ha invece sul “sì” al referendum, cioè tra chi ha votato: spiegano circa il 55 per cento della varianza relativa al netto degli effetti fissi e altre variabili di controllo.
Più in dettaglio, si osserva che la decisione sulla partecipazione al voto e il voto stesso dipendono fortemente dalle variabili politiche. Un punto percentuale in più di voto al Pd alle europee comporta una diminuzione di circa un decimo di punto di partecipazione al referendum (in termini percentuali, una diminuzione dello 0,3 per cento nella partecipazione complessiva) e una diminuzione quasi nella stessa misura del voto positivo. Ma è stato il partito “renziano” a seguire le indicazioni del leader, non il partito “bersaniano”. Il voto al Pd nel 2013 non ha infatti alcun effetto sulla partecipazione o sul tipo di voto. È quindi il nuovo elettorato che ha seguito Matteo Renzi alle Europee ad avere determinato il risultato, non quello tradizionale del Pd che si era riconosciuto nella segreteria di Pier Luigi Bersani. Il risultato del referendum suggerisce dunque che il premier abbia ancora una leadership rilevante sul nuovo elettorato Pd emerso alle Europee, ma anche che abbia difficoltà a controllare l’elettorato più tradizionale del suo partito.
In secondo luogo, è il Movimento 5 Stelle a confermarsi come il vero avversario politico del presidente del Consiglio. Sia la partecipazione sia il “sì” sono fortemente influenzati dal voto al Movimento nel 2013 e il 2014. Non solo, ma l’effetto è molto più forte che nel caso del Pd; un punto percentuale in più alle Europee ai Cinque Stelle equivale a 0,36 punti percentuali in più nella partecipazione elettorale (un aumento dell’1,20 per cento nella partecipazione complessiva) e a un incremento di mezzo punto percentuale nel “sì”. I risultati sono inoltre molto simili utilizzando il voto alle politiche del 2013. Sembra quindi che il Movimento 5 Stelle sia stato più efficace nel portare i propri elettori alle urne di quanto non sia stato Matteo Renzi a persuadere i propri a rimanere a casa. Aver votato in passato Pdl/Forza Italia o alla Lega Nord ha invece effetti limitati: influenza positivamente la partecipazione, ma non il voto.
Per le variabili ambientali, quella che appare più rilevante è l’essere un comune litoraneo: comprensibilmente, vivere sul mare aumenta il rischio percepito di possibili disastri ambientali legati alle piattaforme e incentiva sia la partecipazione sia il voto positivo. Ciò è tanto più vero, ancora ragionevolmente, per i comuni più vicini alle trivelle; l’interazione tra l’essere un comune litoraneo e la distanza dalle piattaforme è negativa su entrambe le variabili dipendenti.
Infine, si vota di più dove il numero dei laureati è più alto (come di solito avviene in ogni consultazione elettorale e referendaria) e si vota di meno dove ci sono più giovani, sebbene i giovani, quando votano, votino più a favore del referendum.

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Lo strumento del referendum

Le stime empiriche confermano dunque che il referendum “no-triv” è stato essenzialmente un sondaggio elettorale. Magari anche interessante perché offre suggerimenti utili sulla situazione delle forze politiche in campo e della loro capacità di motivare i propri elettori. Ma si è trattato di un sondaggio molto costoso, circa 400 milioni di euro secondo alcune stime. È una somma oltre tre volte superiore a quanto il governo ha stanziato nel 2015 per finanziare, con i Prin (progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale), l’intera ricerca universitaria e più di quanto si potrebbe risparmiare, sulla base di nostri conti, nel ridurre i “mitici” costi della politica a livello territoriale. È chiaro che così non va: negli ultimi vent’anni, solo il referendum del 2011 ha raggiunto il quorum richiesto. Se non si vuole sminuire lo strumento della partecipazione diretta, vanno trovati correttivi per evitare di votare su temi di scarso rilievo per i cittadini e, allo stesso tempo, per ridurre il quorum su quelli rilevanti.

Tabella 1

Schermata 2016-04-26 alle 10.21.10

Tabella 2

Schermata 2016-04-26 alle 10.36.30

 

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16 commenti

  1. Filippoo Crescentini

    400 milioni di spesa sono la conseguenza della scelta del governo di non concedere autonomamente, modificando la norma della quale si chiedeva l’abrogazione, quello che, eventualmente, si sarebbe dovuto concedere a seguito della vittoria del SI in un referendum che avesse raggiunto il quorum. Ovvero, la revoca del regalo – puro e semplice, senza alcuna motivazione di politica energetica, di interesse della finanza pubblica, ecc. – fatto dal governo ai petrolieri. Che estrarranno con impianti che saranno completamente ammortizzati e che potranno modulare i ritmi di estrazione in funzione del livello della franchigia. Tanti profitti in più con lo sfruttamento degli investimenti protratto oltre il loro ammortamento finanziario e tante royalties in meno da pagare allo Stato. Renzi ha confermato la sua subordinazione e la sua funzione servente rispetto agli interessi del capitale. La famosa affermazione di Sergio Marchionne “lo abbiamo messo lì apposta” può essere ripetuta da tutto l’insieme di “lorsignori”. Senza contare i 300 milioni di spesa in più per aver rifiutato l’accorpamento con le amministrative, per il quale sarebbe bastata una leggina.

    • Francesco Marconi

      Questa idea del regalo fatta ai petrolieri è una delle più grandi stupidaggini girate nel corso di questa campagna referendaria e non degna di un sito serio come questo.
      Le aziende petrolifere, in quanto aziende, non si limitano a pagare le royalties, ma anche tasse come Ires e Irap (dovuta anche in caso di perdita d’esercizio). Nonché gli stipendi agli operai che a loro volta versano contributi e Irpef. E tante altre tasse che non sto ad elencare.
      A questo andrebbe aggiunto quanto avrebbe perso il maggior petroliere d’Italia, l’Eni, a “partecipazione statale” (ebbene sì, lo stato è lui per primo petroliere), e quanto ci sarebbe costato importare gli stessi prodotti da Russia e paesi arabi per sopperire alla minor produzione interna.
      Credo che i veri responsabili di questo sperpero siano stati proprio i comitati referendari.

      • anna

        Questo però riguarda tutte le industrie , non lo specifico delle estrattive a mare , altrimenti dovremmo anche parlare di produzioni energetiche in generale comprese le rinnovabili (Che hanno perso tanti posti di lavoro per lo meno uguale a quanti se ne sono salvati nelle vecchie trivelle) , …tutto questo non era nell’oggetto del contendere, anche le alimentari pagano le tasse.; in quanto all’import mi pare che l’eni non investa molto in Italia, da noi Total, Schell…. non so forse sbaglio????..

      • Henri Schmit

        Sono perfettamente d’accordo. Bisogna solo aggiungere che i comitati non decidono da soli, ci sono procedure (sbagliate) da rispettare e organi costituzionali (la consulta) che mettono i loro zampini, applicando o inventando condizioni arbitrarie e divieti artificiosi che non permettono di proporre al verdetto popolare quesito importanti, chiari e decidibili.

  2. Umbe

    Leggo e Sostengo “lavoce” perché mi descriva i fatti.
    Non mi interessano le opinioni politiche dei ricercatori.

  3. Silvia Bianchi

    Come dice quel detto: “se torturi i dati abbastanza a lungo, potrai fargli confessare quello che vuoi”…

  4. Henri Schmit

    Condivido lo spirito dell’articolo. Non saprei dire quanto valgano le analisi numeriche, ma il giudizio è azzeccatissimo. La questione non è se fare regali a certe lobby a scapito dell’ambiente, ma come organizzare dei verdetti popolari sensati, decidibili. Questo referendum ha fallito perché non era chiaro che cosa fosse in gioco e perché pur di gridare contro tutto, i promotori l’hanno trasformato in un giudizio sul governo e sul primo ministro. Ormai è andata così. Ma il costo non sono solo i 400 milioni. Qua si sta squalificando l’unico strumento di cui dispone il popolo sovrano per contrastare l’abuso dei rappresentanti. La legge elettorale, quella nuova come quella precedente dichiarata incostituzionale, permette ai cittadini di esprimersi solo per liste nazionali non coalizzabili, non a favore di deputati responsabili. La gente si stufa di campagne confuse che non permettono di esprimere una scelta precisa su un punto chiaro e decidibile. I futuri referendum, di ratifica della revisione costituzionale e di abrogazione dell’italicum rischiano di perdere l’importanza che obiettivamente rivestono. I promotori commettono lo stesso errore: pur di convincere sono contro tutto; sono loro insieme al primo ministro (che ha dichiarato che si dimette in caso di insuccesso) di farne dei test di popolarità personale. Quanti ne capiscono abbastanza per esprimere un giudizio fondato sul quesito? Non è colpa dei cittadini ma dei comitati, delle procedure e degli organi costituzionali.

    • michele

      Cosa non era chiaro?
      Il referendum era chiaro. Semplice.
      La verità è che VOLUTAMENTE non l’hanno spiegato, e chi non voleva informarsi rimaneva nella sua ignoranza (inteso come non conoscenza).
      A volta ho paura che molta gente preferisca essere suddito che cittadino, avere un capo che dica cosa fare piuttosto che avere una testa che pensa..

  5. Massimo Matteoli

    La spesa del referendum va addebitata a chi, per colpire il quorum, ha rifiutato perfino di esaminare l’ipotesi di unificare le elezioni. Quanto al valore “politico” la scelta contro Renzi anche qui è stata determinata dall’incomprensibile astio del Presidente del Consiglio contro un referendum, certo significativo ma che non aveva questo valore. Non a caso era stato promosso per la maggior parte proprio da Presidenti di Regione del Partito Democratico se non “renziani” (per chi se ne fosse scordato Emiliano era uno della Leopolda). Ricordo, comunque, che anche se non ha raggiunto il quorum il referendum ha dato un’indicazione netta che avrà di sicuro conseguenze positive nella direzione voluta dai referendari.

  6. Pierantonio Rancati

    L’analisi l’ho letta e capita, la prima tabella idem,la seconda tabella è incomprensibile.
    Anche se forse è la più interessante.
    Credo esista anche un modo grafico “più aggiornato” di esporla (sì è un eufemismo).

  7. anna

    Salve, personalmente con tante persone che conosco, siamo andati a votare perché l’equilibri marino è delicato e siamo seriamente preoccupate delle trivellazioni a mare, e soprattutto della facilità con cui sarà consentito di non smantellare trivelle obsolete ; smantellamento che costa moltissimo. Inoltre le royalties troppo basse, attireranno società poco sicure. Mi è molto dispiaciuta la posizione del governo, di cui su altri temi condivido l’operato. Secondo me la questione ambientale e alcuni passaggi dello sblocca Italia, andrebbero rivisti. agli articolisti del complesso lavoro di indagine , vorrei solo dire sommessamente e per quanto poco conti la mia opinione, che gli studi statistici sono complicati e che le conclusioni vanno sempre tratte con cautela e che che se le intenzioni del voto fossero così chiare, il voto non sarebbe segreto.
    Cordiali saluti e buon lavoro.

  8. Corrado

    Non siete i soli a pensarla così, personalmente condivido.
    https://twitter.com/spinozait/status/721633270237159424 (Spinoza.it)

  9. Sara Mangani

    Forse si potrebbe obiettare che il costo si sarebbe ridotto accorpando il referendum alle prossime consultazioni elettorali.
    Resta comunque inconfutabile l’uso politico del quesito.
    Grazie e coridali saluti.

    • Sonia

      Tutto è politico. Circoli, asili, strade, parchi.. Tutto viene devoluto “se mi votate”. Quindi, di cosa parliamo? Noi dobbiamo votare per noi, per le nostre idee e per la nostra salute. “I MANGIONI” si fot**ano. Scusate, quando ci vuole ci vuole!

  10. Francesco Acanfora

    Immagino che questo articolo sia stato inviato a qualche rivista scientifica. Quale, precisamente?

  11. QualeWelfare

    Le proxy, oibò, le proxy… a volte suonano come se uno ci chiedesse “sei andato al supermercato a prendere il pane” “no, però son andato all’edicola più prossima e ho preso il giornale, fa lo stesso, no?”…… già quando son utilizzate con finalità “positive” (leggi, non normative o prescrittive) fan ribollire il petrol….pardon, il sangue, nelle vene, se poi son piegate a fini valutativi e prescrittivi, il povero Hume si rivolta nella tomba….

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