Servirà tempo per stabilire se la riforma del codice degli appalti avrà raggiunto gli scopi che si prefiggeva. Ma già ora si può dire che non riesce nell’intento di semplificare e rendere più agili le regole. La norme sulla lotta alla corruzione e per il miglioramento della qualità dei progetti.
Una riforma complessa
La riforma del codice degli appalti è da pochi giorni finalmente in vigore. Il termine del 18 aprile è stato mancato di un giorno, ma il “nuovo codice” (decreto legislativo 50/2016) è operante.
Come spesso avviene in questi ultimi tempi, sulle riforme si polarizzano i commenti a caldo. C’è chi le esalta e chi le critica a prescindere.
A uno sguardo semplicemente di carattere tecnico, sembra che il codice dei contratti riformato debba essere visto per quello che è: una riforma molto complessa e articolata, che richiederà qualche tempo per essere attuata e compresa.
È, dunque, difficile immaginare che dal nuovo codice possano derivare subito effetti mirabolanti, quali il rilancio degli appalti e dell’edilizia in grande stile. E non solo per la qualità oggettivamente tutt’altro che eccelsa della riforma, come evidenziato in modo tranciante dal Consiglio di Stato nel suo parere; ma, soprattutto, perché per rilanciare attività che presuppongono ingente spesa pubblica, occorre la disponibilità delle risorse connesse.
Non basta modificare le regole procedurali per il rilancio degli appalti, quando gli investimenti restano al palo e se le regole sulla spending review impongono (non è ancora chiaro con quale efficacia) di diminuire e non aumentare la spesa per acquisti di beni e servizi. Lo ha insegnato, del resto, lo stesso Jobs act: per modificare l’andamento di un mercato (in quel caso, del lavoro) non è sufficiente modificare le regole giuridiche, ma occorrono investimenti e crescita economica.
Sempre sul piano strettamente tecnico, il nuovo codice non sembra nemmeno riuscito davvero a cogliere l’altro effetto annunciato: rendere la normativa sugli appalti più semplice e agile. Qualche “numero” lo dimostra. Il nuovo codice è composto di 220 articoli: sono solo 37 in meno rispetto a quelli del precedente: non una grande riduzione delle regole. Le quali, comunque, non vanno certo misurate a numero di articoli: la legge di stabilità per il 2016 ha un solo articolo, ma di 999 commi. Per altro, se il numero degli articoli nel nuovo codice è leggermente inferiore a quelli del precedente, la loro lunghezza e complessità sono ampiamente maggiori. Basti pensare che la norma che contiene le “definizioni” (cosa si intenda per appalto, operatore economico, concessione, rischio e così via) ha un’elencazione organizzata per lettere talmente lunga (sono 83 voci) che parte con la lettera “a” e finisce con la lettera “ggggg”: non proprio il massimo della trasparenza e leggibilità.
Certo, si prevede l’addio a un altro corpus normativo molto pesante, come il regolamento di attuazione (Dpr 207/2010). Ma l’abbandono del regolamento richiederà l’approvazione di circa una cinquantina di decreti attuativi e implicherà l’attivazione della cosiddetta soft regulation, cioè la fissazione di regole operative, che non hanno valore di legge, da parte dell’Anac, l’Autorità anticorruzione. Dal sito dell’Autorità è facile vedere quanti pareri e delibere ha emesso negli anni ed è altrettanto facile immaginare quale dimensione potrebbe assumere l’insieme delle regole che l’Anac detterà in applicazione della nuova potestà assegnatale dal codice.
Ad assicurare semplificazione e trasparenza non contribuisce di certo l’articolo 216 del codice (composto di 27 commi), contenente una giungla intricatissima di norme transitorie e di coordinamento, mentre le abrogazioni espresse sono contenute nel successivo comma 217, elencate dalla lettera “a” alla lettera “uu”.
Norme contro la corruzione
La riforma dovrebbe garantire una maggiore cautela contro la corruzione e il miglioramento della qualità dei progetti. Il cavallo di battaglia è l’ampliamento del criterio della cosiddetta “offerta economicamente più vantaggiosa” (rapporto qualità/prezzo), con simmetrica riduzione degli spazi per il massimo ribasso, ben oltre le indicazioni delle direttive Ue recepite col codice.
Il massimo ribasso risulta dannoso quando la qualità della progettazione è deficitaria, in quanto si consentono prezzi vistosamente troppo bassi, presentati con la consistente possibilità di recuperare il vantaggio economico attraverso varianti correttive ai progetti scarsamente precisi.
Poiché, però, il nuovo codice dei contratti punta su progetti meglio dettagliati e definiti (anche se sostanzialmente i livelli di progettazione restano tre e qualitativamente non appaiono troppo diversi dal precedente regime normativo), sembra che la quasi totale eliminazione del criterio del prezzo più basso sia frutto più di un’idea preconcetta e non l’applicazione di strumenti tecnici rigorosi posti a evitare offerte strumentali. Oltretutto, il criterio resta possibile per i lavori di importo fino a un milione di euro, che sono moltissimi, specie nelle amministrazioni locali.
Comunque sia, anche il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa prevede l’elemento del ribasso, mentre molti elementi da valutare, come ad esempio il possesso di marchi di qualità, accessibilità per le persone con disabilità, certificazioni e attestazioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, costo di utilizzazione e manutenzione appaiono accessori ma esterni al progetto. E, d’altra parte, appare quasi pleonastico che l’offerta economicamente più vantaggiosa debba riguardare, come pure si prevede, il “pregio tecnico” o una “progettazione adeguata per tutti gli utenti”, come se questi requisiti non dovessero essere assolutamente fondamentali per il progetto da porre a base di gara anche con il criterio del massimo ribasso.
Solo il tempo necessario per attuare la riforma, che sicuramente non sarà breve, rivelerà quanto sia stata capace di migliorare il quadro degli appalti. Nel frattempo, appare facile pronosticare che, come è già avvenuto col codice precedente, nel breve e medio periodo giungeranno frequenti e numerosi aggiustamenti.
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Adriano
Complimenti per l’articolo. Tuttavia vorrei sottolineare anche il fatto che il nuovo elemento riguardante il rischio operativo in carico al concessionario potrebbe costituire un disincentivo ad offrire un ribasso molto elevato da parte dei partecipanti a una gara
bob
“Comunque sia, anche il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa prevede l’elemento del ribasso”. Il concetto del massimo ribasso cioè il prezzo più basso è un concetto che può albergare solo nella testa di un burocrate. Presuppone a posteriori che il dato fondamentale è il prezzo come viene fatta l’opera è un fatto secondario se non insignificante. Una cultura figlia di una burocrazia che fa carriera per anzianità, abituata a chiedere il posto al “galoppino” di turno, non sapendo cosa sia un CV o un colloqio di lavoro. Cosa ci possiamo aspettare?