L’aumento di capitale della Banca popolare di Vicenza è andato deserto. E se non ci fosse stato il fondo di emergenza costituito dal sistema finanziario italiano, oggi ci troveremmo probabilmente ad affrontare una crisi di sistema. La quotazione in Borsa rifiutata e la rinuncia di Mediobanca.
Le vicende della Banca popolare di Vicenza
È finita come doveva finire, l’aumento di capitale della Banca Popolare di Vicenza (Bpv) è andato quasi del tutto deserto e Atlante, il fondo d’emergenza costituito dal sistema finanziario italiano, se l’è caricata sul groppone, risultandone azionista per oltre il 99 per cento. Alcuni investitori (Mediobanca in primis) s’erano detti interessati, a condizione che la banca fosse ammessa a quotazione. Il totale di tali investitori poteva arrivare, sembra, al 12 per cento circa, ma Borsa Italiana, giustamente, non ha ammesso la Vicenza alla quotazione. Troppo scarso sarebbe stato il flottante, e troppo volatile il corso del titolo, soggetto a ogni stormir di fronde. Sarebbe bastato un ordine di vendita anche di modeste dimensioni, ma privo di contropartita, per farlo crollare.
In conseguenza di questa giusta decisione, anche quel misero 12 per cento non c’è. Atlante sarà il solo azionista di rilievo; gli altri sono scesi a percentuali da prefisso telefonico, avrebbe detto Umberto Bossi, quando usavano ancora i telefoni fissi. E così un’azione fino a un anno fa collocata a 62,5 euro, praticamente non ha trovato compratori esterni a 0,10 euro.
Nessuno ascoltava le Cassandre che, già anni fa, segnalavano l’assurdo di un istituto di provincia il cui valore, autocertificato, lo rendeva la terza banca italiana; i suoi titoli non erano scambiati sul mercato borsistico, ma intermediati, in base a criteri di priorità oscuri, dalla banca stessa.
I valori erano asseverati da perizie non sempre esibite al pubblico, comunque condite da tante e tali riserve, in quanto basate su dati forniti dalla banca e presi a scatola chiusa, da svuotarle di senso.
Di non essere quotata Bpv si faceva un vanto; così non era soggetta alle oscillazioni speculative, dicevano i suoi indimenticabili vertici. Viene in mente una vignetta del grande Altan, ai tempi in cui maturava la crisi dell’Urss: “Dollaro sulle montagne russe”, dice a Cipputi il suo compagno di officina e lui: “Guarda invece il rublo, fermo lì che non gli rompe i coglioni nessuno”. E l’azione della Bpv era salda, proprio come il rublo.
Il ruolo di Atlante
Secondo i media, sempre positivi, Atlante è stato un flop; l’aumento della Popolare di Vicenza sarà stato sì un flop, non certo Atlante, che se non c’era andava inventato. Per fortuna, o per la buona volontà di alcuni, c’era. Tutte le critiche ad Atlante apparse sulla stampa italiana e su quella estera erano sensate; peccato che, non fosse stato per Atlante, oggi avremmo un problema sistemico, a Vicenza, in Unicredit e forse ben oltre.
Se la banca milanese avesse dovuto, come Atlante, sottoscrivere tutto l’aumento di capitale della Vicenza, avendolo garantito, ne avrebbe dovuto fare uno lei, almeno altrettanto grande, per tornare ad avere mezzi propri sufficienti a operare. Sorprende che una Mediobanca si sia chiamata fuori dall’impegno a fronteggiare un’emergenza di tale gravità; a esser buoni si potrebbe pensare che lo abbia fatto per non favorire il proprio principale azionista, primo beneficiario dell’intervento atlantico. Avrà davvero voluto mantenere una corretta “distanza di braccia” con Unicredit? È però strano che tale motivazione non sia stata fornita; probabile dunque che siano piuttosto stati altri, i motivi del diniego di un aiuto essenziale al sistema finanziario italiano.
Ora Atlante, quasi unico azionista di Bpv, dovrà solo rapportarsi con la vigilanza bancaria e con gli investitori che gli han dato i fondi: potrà dunque agire, a tutti gli effetti, come un fondo di risoluzione, offrendo a terzi quote della Bpv, vendendo pezzi del gruppo o adottando le misure organizzative e gestionali opportune.
Mentre scrivo queste note è in corso l’assemblea di Veneto Banca, altro paziente che potrebbe finire nella corsia di Atlante; si spera che a Montebelluna, sede di quell’istituto, emerga una determinazione a rompere i ponti con un passato non commendevole che a Vicenza è mancata.
Sta crollando, nel disonore se non nella vergogna (in giro se ne vede poca), un piccolo mondo antico. In Italia critichiamo le autorità bancarie europee, che non userebbero gli stessi criteri nel gestire le crisi bancarie nostre e quelle di altri paesi, Germania in primo luogo. Quelle critiche sono spesso, pur se non sempre, giuste, ma per l’Italia è bene che lo scandalo vicentino sia scoppiato; se i tedeschi nascondono sotto il tappeto la polvere degli scandali loro, ne subiranno anche, in definitiva, i danni.
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Mario Rossi
Ma io mi meraviglio di quello che stiamo a scrivere! Salvatò ma dico secondo te i soldi del fondo da dove vengono? sempre dalle tasche di chi lavora sai! e quando fallirà la prossima banca? e poi a seguire? mi sa che non è una bella strada quella imboccata. Io intanto cerco di fare fagotto e di nascondere più soldi possibile perchè mi sa che quelli che abbiamo visibili ci stanno mettendo le mani sopra e giù tasse e gabelle. Sai che c’è? io non pago più niente a nessuno e fate un pò come vi pare
Enrico Motta
Articolo chiarissimo e interessante. Per completezza: chi erano “le Cassandre che, già anni fa, segnalavano l’assurdo…ecc.”, e d’altra parte chi ha fatto le “perizie non sempre esibite al pubblico” ? Grazie
Massimo Matteoli
Nulla da aggiungere al giudizio Atlante. Meno male che almeno questo c’è.
La gestione dell’aumento di capitale della Banca Popolare di Vicenza rimarca, però, ancora una volta il dilettantismo delle nostre classi dirigenti.
Per “risparmiare” le banche italiane hanno fatto sottoscrivere l’aumento solo dal Fondo, ottenendo così il risultato di non far quotare in Borsa la banca. Inevitabili le ripercussioni negative sul listino e soprattutto su risparmiatori ed investitori che staranno ancora di più lontani da ogni futuro aumento di capitale di altre banche ( e lo sappiamo che ci saranno) Eppure non doveva essere difficile prevedere un simile risultato che alle fine è costato al sistema bancario sicuramente di più dei soldi risparmiati. D’altra parte perchè stupirsi, Banche Governo e Banca d’Italia sono gli autori di quel disastro che è stato il bail in all’italiana dello scorso novembre. Per non rimborsare poco più di 300 milioni di risparmiatori – obbligazionisti subordinati di Banca Etruria e delle altre tre banche in risoluzione hanno mandato un messaggio devastante ai milioni di risparmiatori a cui le banche italiane hanno venduto decine di miliardi di obbligazioni. E sempre per risparmiare hanno accettato la draconiana valutazione della Commissione del 18% circa sul valore nominale dei crediti in sofferenza di queste 4 “banchette”, senza capire che in questo modo svalutavano i crediti di tutte banche italiane alla solita percentuale. Sarà bastata la lezione? Speriamo.
Henri Schmit
Ma quale “commissione” ha valutato i NPL delle quattro banchette al 18% del nominale? Mi sembrava che fosse il mercato, cioè gli sciacalli del mercato. Ma se ci fosse un leone, meglio tre o cinque, non ci sarebbe più nulla per gli sciacalli. Con un solo leone i NPL valgono in media al massimo il 20%, con tre o cinque magari 25% o 30%. Ma questo paese è una savana da sciacalli e bracconieri mi sa ….
Massimo Matteoli
Caro Henri Schmit mi devo essere perso qualcosa a meno che lei non chiami “mercato” la valutazione dei crediti deteriorati di banca Etruria al 17,6% del valore nominale contenuta in un Decreto legge del Governo concordato con la Commissione. Siamo al massimo del dirigismo politico, poco o nulla da invidiare al Gosplan. Dove ha ragione è nel sottolineare l’insipienza e la’incapacità del sistema bancario che subisce supino, incapace di dare una vera risposta di sistema, non capendo che questa crisi di fiducia danneggia tutte le banche, nessuna esclusa.
Henri Schmit
Grazie della gentile risposta. Avevo capito che il 18% fosse venuto fuori da un’offerta, magari non ancora vincolante, di operatore concreto. Penso tuttora (per deduzione, non certo per informazione) che debba essere andata così. Siamo perfettamente d’accordo. La Commissione fa bene se contesta operazioni “sporche” cioè fatte con i soldi dei risparmiatori, ma non si può permettere, come ahimè! ha fatto in varie occasioni, di esprimersi su che cos’è il prezzo di mercato.
Henri Schmit
Perfettamente d’accordo con l’articolo. In positivo aggiungo l’ottimo modo di difendere il proprio operato da parte dei vertici della sgr di gestione del fondo, indipendenti rispetto ai sottoscrittori e che rispondono solo al loro regolamento (predisposto al di fuori della sgr), alle autorità di vigilanza e al comitato consultivo dei quotisti. Per quanto riguarda Mediobanca mi sembra che sia rimasta fuori non per ragioni deontologiche, ma per interesse strategico, cioè essere consulente invece di essere operatore e essere terzo rispetto a tutti. Finora non poteva andare meglio per la sgr piuttosto che per il fondo, non poteva andare peggio per la banca che se lo merita, adesso rimane a vedere come andrà per il fondo, per i suoi investitori. Dipende dalle capacità di chi sarà al vertice della banca per risanarla.
Michele
Curioso che un operatore con logiche di “mercato” operi dichiaratamente per far salire il prezzo degli asset in cui deve ancora investire. Curioso un fondo “privato” che di fatto viene collocato attraveso l’attività del MEF Curioso che tale fondo di “sistema” sia gestito da una sgr controllata da una holding lussemburghese. Curioso che un fondo “privato” investa in attività altamente rischiose avendo come obiettivo dichiarato un ritorno del 6% ben al di sotto del rendimento di attività molto meno rischiose. Curioso che…
Henri Schmit
Penso che rientri nel ruolo del MEF (forse si potrebbe considerarlo addirittura come un obbligo) aiutare, suggerire, convincere gli operatori a fare un’operazione come questa nell’interesse del sistema. Non so come sia stata scelta la fortunaissmta SGR. Non mi sono accorto che la SGR si sia mossa per far alzare il prezzo di sottoscrizione. Non è un difetto della SGR se i suoi astuti azionisti hanno ritenuto opportuno rivestirsi con abiti fiscali lussemburghesi; mostra piuttosto quanto la legislazione italiana sia inappropriata per reggere nella concorrenza internazionale; (se tutto è trasparente) non bisogna biasimare i soci della SGR, ma il legislatore italiano. Condivido pienamente il giudizio sull’obiettivo di rendimento. Con il rischio di fallimento dell’una o dell’altra operazione o di relativo insuccesso dei vari risanamenti il rendimento atteso da business plan previsionale dovrebbe essere ben superiore al doppio della percentuale indicata.
Michele
1. Credo la funzione del governo e dei ministeri sia quella di creare condizioni generali per favorire lo sviluppo e ridurre i rischi del paese (un tempo si chiamavano politiche industriali) e non quello di favorire il successo di uno specifico operatore “privato” 2. Curiosamente è proprio negli obiettivi dichiarati dal fondo atlante quello di favorire l’incremento delle valutazioni dei NPL, cioè si pone l’obbiettivo di pagare di più gli asset in cui deve investire, comportamento bizzarro per un operatore “privato” 3. Ovviamente ogni operatore privato ha diritto di stabilire la propria sede ove meglio ritiene, però ci si potrebbe chiedere perché sia stato scelto proprio questo operatore per ricevere gli aiuti del MEF