La nuova disciplina della cassa integrazione concorsuale penalizza ingiustamente le situazioni in cui l’impresa fallisce e non viene disposto l’esercizio provvisorio, anche se l’azienda è appetibile sul mercato. Disoccupazione di lunga durata e una soluzione che eviti disparità di trattamento.
Come si accede alla Cigs
Fino all’agosto 2012 l’articolo 3 della legge 223/91 garantiva alle sole procedure concorsuali liquidatorie l’accesso alla cassa integrazione straordinaria per i dipendenti, senza alcun principio di condizionalità. Era di fatto un sussidio a pioggia, costoso e inefficiente; di qui la decisione di abrogarlo, con la legge Fornero (n. 92/12), a partire dal 1° gennaio 2016. Per l’ultimo periodo di vigenza (legge 134/12, di conversione del decreto legge 83/12), veniva introdotto il principio di condizionalità, subordinando l’ammissione al beneficio all’esistenza di “prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione, da valutare in base a parametri oggettivi definiti con decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali”, poi stabiliti dal decreto ministeriale 70750/12. Il decreto legislativo 148/15, di attuazione del Jobs act, ha chiuso il cerchio, escludendo dal beneficio i casi di “cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa”, con una sola rilevante eccezione: “qualora all’esito del programma di crisi aziendale, l’impresa cessi l’attività produttiva e sussistano concrete prospettive di rapida cessione dell’azienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale”. Per tali casi, la legge ha previsto una doppia deroga sia sul versante della spesa (“50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018”), sia su quello della durata massima (12, 9 e 6 mesi per i medesimi anni, aggiuntivi rispetto alla durata di 12 mesi prevista dall’art. 22, co. 2). Le successive circolari ministeriali 24/15 e 1/16 hanno chiarito che l’accesso alla cassa integrazione straordinaria per le imprese in procedura concorsuale sarà limitato alle causali previste dal Dlgs 148/15 (“crisi aziendale, ristrutturazione aziendale, contratto di solidarietà”), solo però ove esse concorrano con la “continuazione dell’esercizio d’impresa”. Infatti, nel caso di imprese che abbiano chiesto la Cigs ai sensi della previgente disciplina (art. 1, legge 223/91) o di una causale ora prevista dal Dlgs n. 148/15 e che siano sottoposte a procedura concorsuale, la circolare 1/16 ha precisato che il trattamento potrà essere autorizzato – limitatamente al periodo già richiesto – qualora gli organi della procedura si impegnino a proseguire il programma inizialmente presentato. La circolare pare inoltre specificare che condizione imprescindibile sia la “prosecuzione dell’esercizio d’impresa”. Se l’interpretazione fosse confermata, saremmo di fronte a un’illogica disparità di trattamento tra i dipendenti di una società che abbia cessato l’attività in costanza di Cigs per “crisi aziendale”, che si troverebbero a beneficiare di un ulteriore intervento di cassa straordinaria laddove sussistano concrete prospettive di rapida cessione dell’azienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale, e quelli di un’impresa che, seppur in costanza di Cigs per “crisi aziendale” e con le medesime prospettive di rapida cessione dell’azienda, sia stata sottoposta a procedura concorsuale senza “prosecuzione dell’esercizio di impresa”.
Una soluzione per evitare disparità di trattamento
Più in generale, l’attuale disciplina penalizza in modo ingiustificato le non rare situazioni in cui l’impresa in crisi fallisca e non venga disposto l’esercizio provvisorio, pur in presenza di un complesso aziendale appetibile sul mercato. In questo caso, infatti, gli organi della procedura si trovano nella difficile situazione di condurre trattative per la cessione dell’azienda (che richiedono nella migliore delle ipotesi quattro-cinque mesi) senza poter contare su alcun ammortizzatore sociale da offrire alla forza lavoro per consentirle di far fronte a questa fase. Una soluzione, che non richiederebbe stravolgimenti del sistema, ci sarebbe: ripristinare la Cigs concorsuale, nella versione della legge Fornero, magari ponendo opportune condizioni (ad esempio, si può richiedere che le “prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione” siano garantite da un’offerta irrevocabile di acquisto dell’azienda, la cui congruità sia verificata dagli organi della procedura – comitato dei creditori e giudice delegato – sulla base di apposita perizia, e munita di adeguata cauzione) e stabilendo una durata massima di sei mesi, un tempo sufficiente per portare a termine gran parte delle operazioni di cessione di ramo di azienda. La Cigs così goduta, in caso di mancata ripresa dell’attività, sarebbe “defalcata” dalla Naspi. Il difetto principale della Cigs concorsuale, nella versione ante 2012, era di non disincentivare, se non addirittura di favorire, la disoccupazione di lunga durata, dalla quale è particolarmente difficile uscire. Ma tra l’estremo di ieri (garantirla a tutti, senza condizioni) e quello di oggi (eliminarla totalmente, per di più con le potenziali disparità viste sopra), esiste forse un giusto mezzo che consente di contemperare meglio tutti gli interessi in gioco.
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