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Incentivi solo alle madri under 30? Sbagliato e arbitrario

Collegare, come ha annunciato il ministro Costa, il bonus figli all’età della madre – concedendolo solo se questa è under 30 – sarebbe un errore. Bisogna invece mettere al centro caratteristiche del bambino ed equità di genere.

La situazione delle famiglie con figli in Italia è chiaramente problematica, e i livelli di fecondità ne sono un sintomo inequivocabile. Tuttavia, varare un bonus per le nascite collegato all’età della madre, come annunciato dal ministro con delega alla famiglia Enrico Costa, sarebbe sbagliato. Per tre motivi.

Al centro l’età del bambino

Primo, le misure di sostegno alle famiglie con figli sono efficaci quando sono stabili nel corso della crescita del bambino, idealmente seguendolo fino alla maggiore età. Questo accade nei sistemi di welfare più amichevoli nei confronti delle famiglie, nei paesi nordici e in Francia, ma anche in quelli, come la Germania, dove gli sforzi sono più recenti. Quello che dovrebbe contare veramente è l’età del figlio o della figlia (ad esempio, da 0 a 18 anni) e non l’età della madre (o del padre). Il sostegno dovrebbe essere infatti mirato ai bambini (e quindi legato alle loro caratteristiche) e non ai genitori. Ogni nuova misura andrebbe dunque valutata nell’ottica dei figli.

Il rischio delle soglie soggettive

Secondo, in questo caso non vi è nessun motivo di sostanza per introdurre delle soglie di età che sono soggettive e portano a distinzioni nette tra chi è appena al di sotto della soglia e chi è appena al di sopra. Ad esempio, si rischia di incentivare parti cesarei mirati ad evitare che la madre compia trent’anni. Anche se, come mostrano le ricerche, le età ‘tonde’ come i 30 anni hanno spesso un significato sociale, dal punto di vista biologico esse non hanno infatti un significato fondamentale. Nessuna età tonda rappresenta una discontinuità nei rischi né per la salute della madre né per quella dei figli. Inoltre, non è affatto scontato che avere una madre ultratrentenne sia peggio per il bambino.

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Ci vuole più equità di genere

Terzo, legare le misure alle caratteristiche delle madri ha l’indubbio vantaggio della semplicità, ma ha l’effetto indesiderato di distogliere l’attenzione dal ruolo dei padri. Le ricerche sul tema sono ormai concordi: l’equità di genere è un elemento essenziale per la ripresa della fecondità. Ogni nuova misura andrebbe dunque valutata nell’ottica di incentivare una maggiore equità di genere e un ruolo attivo dei padri.

Un segnale nella giusta direzione

L’idea del ministro Costa di riunire le misure relative alle famiglie in un testo unico è ottima. Andare verso una maggiore chiarezza e semplicità delle misure di sostegno la direzione giusta. Meglio però non introdurre nelle politiche soglie arbitrarie legate all’età della madre.

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  1. Ermanno Martignetti

    Trovo molto importante e corretto puntualizzare che nelle politiche per la famiglia sia messo al centro il/la bambino/a, per sfuggire all’ideologia sociale per cui la donna deve essere particolarmente tutelata – ed incentivata – in quanto madre, mentre il padre può anche cadere nel dimenticatoio; per evitare l’ipocrita logica del bonus una tantum che pone l’asticella del successo solo nei termini di aumento quantitativo delle unità di popolazione, del tutto disinteressandosi della qualità di vita dei minori dal parto in poi; infine, per ampliare lo spettro dei minori beneficiari delle politiche familiari, comprendendo anche quelli inseriti in contesti omogenitoriali, nei quali la “beneficiaria” potrebbe anche non esserci.

  2. Carmela

    giusta affermazione per l’età. Perché indicare sempre un reddito massimo di 26mila€, le famiglie il cui reddito è superiore anche due volte e mezzo o tre di 26€ devono essere escluse, anche queste famiglie hanno difficoltà a mantenere più di un figlio. Bisogna togliere l’età e l’ISEE da presentare e guardare fino a che età lo Stato può aiutare le famiglie

  3. Supporter

    Trovo le obiezioni contenute nell’articolo del tutto condivisibili e meritorie della massima attenzione da parte del legislatore. Provando pero’ a capire lo spirito della normativa credo che essa vada alla ricerca di colpire due problemi legati strettamente alla demografia: le donne, e le relative famiglie, fanno pochi figli e questo pesuccede perchè li fanno tardi. Credo che il bonus tenda a incentivare le donne a fare figli prima nella speranza correlata che ne facciano di piu’ perchè, intendiamoci, questo è l’unico obiettivo diretto e finale che puo’ migliorare la nostra situazione demografica e non solo. Le altre politiche, il sostegno, le strutture, la parità delle cure parentali tra uomo e donna sono tutte cose giuste e doverose che serviranno e dovranno essere pure esse incentivate ma almeno il ministro ha avuto il realismo di chiamare il problema con il nome giusto “piu figli per donna e fatti in età piu’ giovane”.

    • Michele

      Si diano alle donne giovani e meno giovani condizioni di lavoro meno discriminatorie, tranquillità di ritrovare il proprio posto di lavoro dopo una gravidanza, servizi sociali in linea con l’elevata tassazione e si avranno più figli. I bonus servono solo a far fare a ministri e sottosegretari belle interviste sui giornali

    • Bice

      Anche io cerco di capire il ragionamento dietro l’idea di un bonus con limiti di eta’, e mi viene in mente un’altra spiegazione molto piu’ tetra: risparmiare sui costi sanitari per le donne (le primipare ultra-trentenni sono a maggior rischio di gravidanze e parti difficili) e ridurre il numero di disabili, in particulare con sindrome di Down. Inoltre, lasciatemelo dire: questa proposta contiene un giudizio moralista da parte dello Stato su quando si debbano fare i figli. Se li fai prima dei 30, brava, sei una buona cittadina; se li fai dopo, lo Stato prende atto ma sappi che non ti sei comportata come la collettivita’ avrebbe richiesto. Le misure a sostegno della natalita’ sono tante (sostegno al part-time e al lavoro flessibile, vera difesa della lavoratrice contro licenziamento e demansionamento, asili aziendali, comunali, statali, e financo nelle universita’ (Germania docet), quoziente familiare), questa mi sembra frutto di una insolazione, se non peggio.

  4. Michele

    Non si governa un paese con i bonus. Specialmente se estemporanei, mal pensari e peggio gestiti. Se si vuole favorire le nascite si garantiscano ai lavoratori (donne e uomini) stipendi più equi, minore precarietà dei posti di lavoro, una curva delle aliquote irpef più equa, servizi sociali (asili, trasporti locali) più efficienti e meno costosi. Allora vedrete che ci saranno più figli. Ogni altro provvedimento è pura fuffa, pura propaganda populista.

  5. Michele

    Con i bonus estemporanei non si fa una politica economica e tanto meno le riforme strutturali.

  6. Michele

    Estate, tempo di annunci balneari. Così tanto per comparire sui giornali. Poi arriva settembre (il 12 o 13 settembre dopo 40 gg di ferie, per la precisione) e si parlerà d’altro.

  7. Elena

    Concordo su tutti i punti esposti nell’articolo e suggerirei di aggiungerne un quarto: vista la bassissima partecipazione al mercato del lavoro delle donne italiane, e visti recenti studi nazionali ed internazionali che trovano correlazioni fra l’età della donna all’inizio della gravidanza, e il raggiungimento o meno di una vita professionale e lavorativa stabile e con salari adeguati per la donna stessa, una misura del genere, se non accompagnata da un rafforzamento e miglioramento delle politiche sociali e di sostegno alla famiglia (congedi ed asili, in primis, ma anche lotta alla discriminazione e licenziamenti), sarebbe deleteria per il raggiungimento di un’effettiva equità di genere.

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