Le mafie hanno la capacità di influenzare la politica nelle sue diverse fasi: dalla selezione dei candidati alle elezioni, fino alla vera e propria gestione del governo dei comuni italiani. Come cambia la spesa delle amministrazioni locali? Aumenta e i settori chiave sono immobiliare e appalti.
Attacchi ai candidati più istruiti
Le mafie possono influenzare le decisioni politiche nei comuni italiani, intervenendo nelle diverse fasi del processo politico, dalla selezione dei candidati, alle elezioni, fino alla vera e propria gestione delle politiche. È dunque importante riuscire a studiare la dimensione di questi fenomeni, come fanno alcuni recenti studi. La selezione dei candidati è un primo momento in cui le organizzazioni criminali possono intervenire nell’arena politica, scoraggiando candidati onesti e competenti attraverso intimidazioni e minacce. Negli anni Ottanta e Novanta, alcuni amministratori locali sono stati addirittura uccisi da gruppi criminali e sono 134 i politici ammazzati in Italia nel periodo 1974-2014. L’uccisione di un politico può modificare profondamente la vita di una città, per esempio diminuendo il livello d’istruzione degli eletti dopo il fatto (di circa il 20 per cento). Il calo è probabilmente dovuto alla percezione di rischio legata all’ingresso in politica, che porta gli individui più istruiti a prendere altre strade. Tuttavia, si osserva l’effetto opposto quando la presenza mafiosa viene combattuta. Infatti, dopo lo scioglimento di un comune per mafia, il livello d’istruzione dei politici locali aumenta notevolmente. La conclusione sembra essere che i cittadini interessati a entrare in politica valutano la presenza mafiosa come un elemento importante per decidere se candidarsi o meno e che la decisione può essere influenzata da scelte politiche, come lo scioglimento di un comune per mafia.
I mafiosi sostengono il partito più forte
Un’altra strategia per assicurarsi politici innocui o collaborativi è portare voti al partito giusto. In generale, i gruppi mafiosi sembrano votare il partito favorito alle elezioni in modo da poter negoziare col vincitore. In linea con questa teoria, un’analisi basata su dati siciliani studia i rapporti storici tra mafia e partiti nazionali, mostrando come la Democrazia Cristiana abbia ricevuto sistematicamente più voti nei comuni a più alta densità mafiosa. Tuttavia, questo è avvenuto soprattutto a partire dagli anni Settanta quando le elezioni a livello nazionale sono diventate più competitive – e quindi ottenere dei voti era più prezioso; e quando la struttura della mafia siciliana è diventata più centralizzata rispetto al passato, riuscendo quindi a mobilitare un elettorato più vasto. Quando non è possibile eleggere politici compiacenti, si passa alle minacce. Solo nel 2014, sono stati registrati 313 attacchi contro politici locali. Un momento strategico per farlo è subito dopo le elezioni locali, in modo da prevenire ogni politica avversa al gruppo mafioso fin dall’inizio della legislatura. Il grafico in basso mostra la frequenza di attacchi verso i politici locali (minacce, intimidazioni e violenza fisica) rispetto al ciclo elettorale nelle regioni a più alta presenza mafiosa (Sicilia, Calabria e Campania). Il periodo con il numero maggiore di attacchi è il mese immediatamente dopo le elezioni locali: sono diretti soprattutto verso le nuove amministrazioni locali, che diventano fin dall’inizio un obiettivo per i gruppi criminali. Se le mafie hanno la capacità di influenzare l’esito elettorale e minacciare i politici eletti, come cambia la spesa nei comuni coinvolti? Due studi (qui e qui) che usano dati differenti arrivano alla stessa conclusione: immobiliare e appalti sono i settori chiave per le mafie. Nei comuni con un’alta presenza di organizzazioni criminali aumenta sia la spesa comunale in questi settori sia la percentuale di lavoratori impiegati nelle costruzioni.
Figura 1
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ms
Bene, buone indicazioni (in generale, ma è meglio di nulla).. Noto anche che tutti o quasi i ricercatori lavorano all’estero. Sempre più mi chiedo come mai la stessa voce.info e alcune amministrazioni italiane abbiano censurato gli esiti di un lavoro, poi pubblicato in una rivista giuridica, che mostra alcuni meccanismi di incremento della spesa negli appalti pubblici in Italia, con attenzione a tutti i livelli amministrativi, ma sopratutto nelle gare “sotto soglia comunitaria”. E’ un “vecchio” lavoro del 2010, redatto da chi lavorava nel e per lo Stato, e pubblicato nel 2013 (dopo esserne finalmente uscito). Esistono almeno due problemi. Il primo è comprendere quali settori convengono alle tre principali mafie (e fenomeni affini) e perché; il secondo è comprendere “come”, attraverso quali pratiche, la spesa aumenta e il “lavoro” aumenta nei settori sotto protezione mafiosa. Sono ancora stupefatto di questa straordinaria abilità degli accademici italiani (nonché di intere amministrazioni periferiche e centrali dello Stato, in ottime relazioni “accademiche”) di non studiare nè gli appalti nè il funzionamento dell’immobiliare. Il problema non è solo la mafia, ma la convergenza di larghi strati della popolazione verso la mentalità e la cultura mafiosa. Questa convergenza ha creato una spessa coltre di omertà pubblica e privata dalla quale è ora difficile uscire. Non ci sono condizioni minime per lavorare in Italia, salvo che accettando questa legge dell’omertà.
Umbe
Bravissimo.
La cosa interessante è che tutta Italia è d’accordo con te e NESSUNO fa nulla!
Massimo de Franchi
Il commentario di ms, resta inconcluso se non da le indicazioni per leggere il lavoro citato. Il non detto, il farmi dire ciò che dovrei, il nascondersi dietro un acronimo, è seguire la legge dell’omertà tanto citata. Chi ha esperienza, e non la racconta, segue “la convergenza di larghi strati della popolazione verso la mentalità e la cultura mafiosa.”. Se vogliamo uscirne, dobbiamo parlare ad alta voce, citare e commentare. Qui non c’è una cultura dell’osservazione. Non c’è organo di controllo, se non ex-post, quando il topo è gia scappato. Un argomento è la mancanzadi etica, non c’è patto sociale ne onestà interna. Non ci sono regole scritte, ma anche i mafiosi hanno regole, patti e li rispettano, perchè i non mafiosi non le rispettano?
salvatore
Complimenti per la scoperta dell’acqua calda!
Il primo problema italiano è la corruzione e la criminalità organizzata che ne fa largo uso.
E se uno “dimentica” quale è il primo problema per (dis)fare una nuova costituzione che tipo è?
Un grande statista?
O un Verdiniano?
Umbe
In un comune di 40/50 mila abitanti, con 100 preferenze sei tra i primissimi degli eletti.
100 voti si comperano senza problemi.
Henri Schmit
Sono d’accordo con la penultima frase e con i commenti del misterioso ms. La mafia non è una o più organizzazioni, ma un modo di operare che caratterizza tutto il paese (che ovviamente non ne ga l’esclusiva): Poca trasparenza, flessibilità delle regole, importanza del legame personale. La mafiosità è il prodotto di un sistema che poi determina la mentalità, alla fine è un modo per campare o per arricchirsi. La maniera truffaldina o il potere (e l’arricchimento) senza regole ha bisogna di varie forme di violenza per prevalere contro l’evidenza dei fatti e il significato delle regole ufficiali. Questa maniera truccata e furba poggia su una determinata organizzazione del potere, ora anche su un certo modo di scrivere la costituzione, le leggi elettorali e tante altre norme, le procedure edili, quelle fallimentari, quelle per gli appalti pubblici, quelle fiscali etc. La politica italiana (chi scrive, interpreta ed applica le regole) vive della connivenza con il malaffare degli appalti e delle concessioni pubbliche, dell’evasione fiscale dei potenti, della giustizia pilotata, e del far finta di seguire delle regole in cui nessuno crede. La mafia di cui parla l’articolo è un epifenomeno marginale di quello a cui sembra riferirsi il commentatore anonimo, cioè la mafiosità. Rifletto e parlo perché mi sento una delle tante vittime di questo modo di fare.
ms
E’ un anonimato relativo (la redazione conosce l’email), ma utile quando un commento entra nel merito di vicende insieme personali e pubbliche. Che chi lascia ambienti silenti/omertosi si prenda più prudenza che in passato è anche scontato. Questo sito è tra i più letti nell’accademia e nella pubblica amministrazione. L’omertà è peggiore ai livelli medio-alti, se diventa fattore di successo e favorisce coperture incrociate (crea legami insomma). L’assenza di modalità pubbliche per discutere malfunzionamenti di norme o attività dei governi centrali e locali aggrava questo stato di cose. Non si può pensare di introdurre, ad es., attraverso nuclei di valutazione, una migliore “mentalità valutativa” (generica) senza che le analisi trovino pubblicazioni e luoghi di discussione istituzionale che costringano il decisore ultimo (politico) a renderne e tenerne conto (senza nascondere, coprire). Uno Stato può avere cose che non vanno in molti ambiti (è anche “normale”, con molte virgolette). Se non si può parlarne che nei corridoi, senza farci analisi ben fatte, fare si che il Parlamento ne discuta o i magistrati (per parte competente) se ne facciano carico, si crea man mano una sorta di Stato-mafia. Chi ha contratti a termine e una carriera che dipende da nomine e ri-nomine trova più conveniente tacere, usare informazioni e memoria per la coesione con gli altri e i rinnovi. Poi si costruiscono gli alibi dei singoli o di interi gruppi.
Henri Schmit
Ringrazio dell’attenzione. Penso di capire che cosa sono le ‘tre mafie’ che si reggono l’una sull’altra. Senza malaffare, arrichimento fraudolente, evasione fiscale e gare truccate non ci sarebbe la mafia del pizzo, della droga e della lupara; senza la corruzione dell’amministrazione pubblica e della politica, ci sarebbe poco spazio per l’illegalità negli affari; e quando i soldi fatti così sono messi al sicuro in qualche paradiso, sono tutti uguali e solidali. Per combattere le mafie bisogna contrastare la mafiosità presente nel potere pubblico e privato.