Dopo il terremoto che ha interessato l’Italia centrale, bisogna trovare le risorse da destinare all’emergenza e alla ricostruzione. Ma è anche necessario incentivare la prevenzione. E le compagnie di assicurazione potrebbero svolgere un ruolo importante per diffonderne la cultura.
Tra emergenza e prevenzione
Nell’immediatezza di un disastro naturale è innanzitutto necessario reperire risorse economiche per far fronte alla fase di emergenza. Nel caso del terremoto nell’Italia centrale di pochi giorni fa, il governo ha stanziato 50 milioni attingendo dal Fondo nazionale per le emergenze, istituito nel 2013. Ma si devono individuare le risorse per la ricostruzione, tenendo conto che i risarcimenti assicurativi copriranno solamente una piccola parte di quanto danneggiato, a causa della bassa penetrazione delle polizze assicurative sui disastri naturali. Oltre alle risorse per l’emergenza e la ricostruzione, c’è anche la necessità di finanziare investimenti in opere di prevenzione. I differenti danni nei comuni interessati dal recente sisma dimostrano ancora una volta che, se eventi naturali come i terremoti sono imprevedibili e inevitabili, la gravità dei loro effetti dipende essenzialmente dall’opera dell’uomo. Si prospettano, dunque, due questioni. La prima: come trovare le risorse; la seconda: come utilizzarle al meglio per ottenere un livello almeno accettabile di sicurezza degli edifici. Ed è necessario mantenere un collegamento coerente tra le due, per evitare casi di risorse disponibili ma non utilizzate o utilizzate per finalità diverse dalla prevenzione. Più in generale, si pone però un problema di tipo “informativo” poiché nel passato errori sono stati causati anche da una scarsa conoscenza dei rischi ai quali siamo soggetti. Infatti nel nostro paese, predisposto a eventi di natura non solo sismica ma anche idrogeologica e vulcanica, la bassa percezione del rischio ha portato a sottovalutare il valore economico delle prevenzioni in termini di costi attesi. È quindi auspicabile che si avviino iniziative per informare non solo i (privati) cittadini ma anche i (pubblici) decisori sui dati circa le caratteristiche degli edifici e del territorio in cui si abita nonché dei luoghi dove si opera quotidianamente. Per farlo, possono essere usati alcuni strumenti che la tecnologia mette a disposizione, come ad esempio, un sito web o una app dedicati alla valutazione della rischiosità che, sulla base di variabili predefinite (ad esempio comune di ubicazione, caratteristiche costruttive, età, tipologia e superficie delle costruzioni), ci informino in modo semplice, interattivo e aggiornato circa le condizioni di rischio.
Come finanziare la prevenzione
Ma il problema principale rimane come incentivare l’adozione di misure preventive. Per gli edifici privati, negli scorsi anni è già stato introdotto un bonus fiscale per interventi edilizi antisismici che, tuttavia, non ha dato i risultati attesi. Proprio nelle zone colpite dal terremoto sono stati pochissimi gli interventi per adeguamento antisismico che hanno beneficiato del bonus fiscale (è del 65 per cento nelle aree ad alta pericolosità sismica). Lo scarso utilizzo dell’agevolazione fiscale è imputabile a diverse cause, quali l’applicazione solamente alle prime case, le procedure burocratiche, la diluizione in ben dieci anni e la spesa che comunque sarebbe gravata su famiglie già in difficoltà economica. Insomma, occorre correggere il tiro e rendere la misura più efficace. Come fonte di finanziamento per i sistemi di incentivazione si sono finora utilizzate risorse pubbliche. In futuro, sarebbe invece utile far funzionare anche il sistema di incentivi “privati” che potrebbe derivare dalla diffusione di prodotti assicurativi e finanziari ad hoc. Nel caso delle polizze a copertura dei danni da disastri naturali, per effettuare un’offerta differenziata, le compagnie di assicurazione calcolano il profilo di rischio degli edifici da assicurare considerando anche le misure preventive adottate. Dunque, sono in grado di mettere in atto una forma di incentivazione di tipo contrattuale (assicuro un immobile solo se è a norma e prevedo degli sconti in presenza di determinate misure preventive), alla quale si aggiunge un’azione di monitoraggio (le misure preventive devono essere mantenute nel tempo a pena di esclusione dai risarcimenti). Per ovviare al problema della scarsa diffusione delle polizze, si potrebbe abbinarle alla concessione di mutui e finanziamenti per l’acquisto o la ristrutturazione dell’abitazione. Oggi, per la concessione di un finanziamento è prevista la stipula di una polizza assicurativa sulla vita e sulla salute del beneficiario. In futuro, si potrebbe prevedere la sottoscrizione di polizze a copertura della “salute” degli immobili. In un paese dove è molto diffuso l’acquisto della casa e dove, grazie ai bassi tassi d’interesse, si registra un aumento dei mutui erogati, si potrebbe così avviare una sorta di “privatizzazione” almeno di una parte dell’attività di incentivazione e monitoraggio delle prevenzioni per i disastri naturali e promuovere un virtuoso coinvolgimento del settore assicurativo e bancario.
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Andrea
Condivido quanto espresso nell’articolo, con una obiezione in merito alle assicurazioni private. C’è il rischio che i sinistri, non diluiti nel tempo ma concentrati in un singolo evento, causino il fallimento della compagnia assicurativa. Inoltre appare difficile applicare criteri di progressività delle polizze in base al rischio sismico (che non è uniforme in tutta Italia) posto che questa sia da stipulare su base volontaria: chi non è toccato dal rischio non sottoscriverebbe la polizza e ciò inflazionerebbe il costo della stessa per le persone in territorio, riducendone a sua volta la penetrazione (problema simile a quello del sistema assicurativo sanitario americano). E’ lo stato a dover far da “assicurazione” garantendo un patto sociale tra tutti i cittadini, affinché il rischio che colpisce i pochi sia ridistribuito sulla comunità.
tiberio damiani
la ricorrenza di tragedie umane e anche materiali per cause naturali ha colpito anche questa volta un’area particolarmente disagiata economicamente e con una popolazione ridotta numericamente dalle emigrazioni ormai secolari e per di più anziana. una politica di restauro del territorio montano complessivo (l’Appennino e buona parte della regione alpina sopra quota mille slm come Amatrice) dovrebbe tenere conto di questi elementi, oltre alla mancanza di lavoro, se non quello legato al turismo e alla agricoltura, esiste poi una ulteriore specificità urbanistica: i paesi hanno un nucleo contornato da una miriade di frazioni e case sparse, spesso luogo di vacanza e rientro episodico per figli e nipoti di emigrati.proporre incentivi per il restauro e la emssa in sicurezza dei paesi deve tener conto di queste caratteristiche complessive, non si può intanto discriminare la casa di prima o seconda residenza, che spesso sono sovrapposte e intersecate per fatti ereditari secolari, quindi occorre un progetto organico per tutto il complesso abitativo, che veda la partecipazione del privato (con la possibilità di recupero intero delle spese e non troppo dilazionato (immaginiamo una persona di settanta anni con la dilazione a dieci del recupero e pensionato e che ha tre figli lontani da una generazione e inizia ad aver bisogno di una badante…) ed il ruolo della amministrazione nel garantire un’opera completa cercando di superare le difficoltà di ordine proprietario con garanzia pubblica
tiberio damiani
inoltre è da considerare che il restauro antisismico di un paese e del suo comprensorio ha un valore complessivo di tutela del paesaggio e della nostra cultura. quindi dovrebbe essere considerato un investimento e non una spesa. affidare i lavori alla manodopera locale significa potenziare la occupazione e le competenze professionali storiche, ma anche controllare chi li effettua. è difficile immaginare un restauro del centro storico senza che avvenga lo stesso per le frazioni e le case isolate e per tutte le sedi di beni artistici che in esse si trovano. basta vedere quante chiese affrescate si trovano in amatrice e nelle frazioni… chi meglio di un artigiano locale può assicurare la necessaria conoscenza di base per arrivare al restauro? infine, ma non di minore importanza, è la creazione di lavoro in appennino, privilegiando i piccoli insediamenti artigiani e di trasformazione agricola con opportune agevolazioni. sempre che si voglia avere una regione montana abitata e non spopolata, la copertura assicurativa degli immobili ha senso solo come complemento di un programma complessivo di risanamento edilizio sociale ed economico. il ruolo pubblico di garanzia potrebbe essere una contrattazione aperta e collettiva sui lavori e sui materiali. è bene tenere presente che il reddito personale e familiare in montagna è direttamente proporzionale all’età delle persone e alla loro condizione lavorativa. osservazioni di chi lavora in montagna da quasi trenta anni. cordialità
tiberio damiani
ad esempio una contrattazione unica standard con le ditte che effettuano i lavori, privilegiare l’artigianato locale e uso e recupero di matriali locali, favorire l’impiego di tecnici locali e creare scuole di restauro edilizio e manutenzione del territorio aperte sia agli studenti delposto sia a quanti vogliano visitare, per creare e rafforzare una cultura del territorio e della sua manutenzione. sono osservazioni che nascono da trenta anni di lavoro in Appennino. cordialità
bob
..il localismo e la discutibile figura del ” geometra” è quella che ha causato i maggiori danni in questi territori. La convivenza familistica in piccoli comuni è deleteria oltre che vergognosa di uno Paese arretrato. Alla affermazione “..chi meglio di un artigiano locale può assicurare la necessaria conoscenza di base per arrivare al restauro?” rispondo ” molte , tante competenze non necessariamente locali, che oltretutto spesso hanno carenza di esperienza globale e anche mentalità di approccio molto limitata, oltre come già sostenevo a convivenze deleterie da ” bar di paese”
bob
La prevenzione di un Paese e di un territorio si fa con progetti e politiche lungimiranti e non con le assicurazioni che è solo uno scaricabarile verso soggetti più deboli. Si possono attuare strumenti come quelli descritti nell’ articolo solo dopo una pianificazione che ha tempi lunghi come tutti i progetti seri.A mio avviso il problema è solo politico. Senza progetti politici di lungo termine un Paese è allo sbando. L’ Appennino che è la zona maggiormente interessata da sempre da movimenti tellurici è completamente abbandonato. Una vergognosa inesistente politica demografica avrebbe dovuto fare quello che si è fatto in Alto Adige, gestire il territorio perchè la gente rimanesse e non andasse ad infoltire le periferie di grandi città. In Appennino si poteva poichè ha grandissime risorse su un territorio non particolarmente aspro come possono essere le Alpi: risorse agricole, turistiche e di produzione di energia. Se alla casalinga di Vipiteno diamo 1000 euro per tenere i gerani sul balcone con la stessa lungimiranza e forse con molto meno risorse si doveva guradare ad un territorio così ampio come gli Appennini. Ma il Paese Italia a finito di esistere dal ’70 in poi e qualcuno ancora ci viene a raccontare favole
Federico Leva
Le polizze hanno lo stesso problema degli incentivi: non saranno minimamente considerate da chi non dispone di contanti da investire in vista di un beneficio futuro.
C’è chi propone un modello ESCo per gli adeguamenti sismici nel progetto “casa italia”, ma gli interventi di risparmio energetico si finanziano col risparmio sulle spese correnti. L’adeguamento sismico invece si ripaga aumentando il valore dell’immobile (ovvero riducendo la probabilità che il valore si azzeri in seguito a un terremoto). Il finanziatore allora deve giocoforza finanziarsi con una quota di tale capitale.
Non si può immaginare un vettore finanziario che attinga prestiti a tasso quasi zero dalla BEI, li giri a imprese qualificate per l’esecuzione di interventi di adeguamento sismico, e ottenga in cambio un pari capitale sotto forma di ipoteca di lungo periodo (50 anni?) sugli immobili privati?