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Il confine tra cyberbullismo e libertà di espressione

Giusto fermare il cyberbullismo. Ma se è mal congegnata, la tutela di un diritto rischia di danneggiarne altri. Ed è quello che si prefigura con il disegno di legge approvato alla Camera. Le sanzioni potrebbero portare a forme di censura preventiva. Compiti e risorse del Garante per la privacy.

La legge contro il cyberbullismo

Tutti condannano fermamente il bullismo e il cyberbullismo, cioè la versione 2.0 della prevaricazione contro un soggetto debole e indebolito, che sfrutta l’ampiezza e la potenza di internet e dei social network. Tuttavia, sia dal punto di vista giuridico che secondo il buon senso ogni meccanismo mal congegnato di tutela di un diritto rischia di danneggiarne altri che finiscono indebitamente schiacciati.
Come ben sottolineato da Guido Scorza, il fatto che il disegno di legge appena approvato dalla Camera tratti di un tema serio e preoccupante come il cyberbullismo non deve “bullisticamente” impedire un’analisi senza sconti dei pregi e dei difetti del testo finale votato.
E i difetti ci sono eccome. In particolare, si configura un rischio pesante di comprimere la libertà di espressione dal momento che – secondo l’articolo 2 del progetto di legge approvato – “Chiunque, anche minore ultraquattordicenne, nonché ciascun genitore o soggetto esercente la responsabilità di un minore che abbia subìto un atto di cyberbullismo può inoltrare al gestore del sito internet, del social media, del servizio di messaggistica istantanea o di qualsiasi rete di comunicazione e trasmissione elettronica, nonché al Garante per la protezione dei dati personali, un’istanza per l’oscuramento, la rimozione, il blocco delle comunicazioni che lo riguardano nonché dei contenuti specifici rientranti nelle condotte di cyberbullismo”. Qualsiasi soggetto che non esegua il provvedimento emanato dal Garante della privacy può essere condannato a una sanzione amministrativa fino a 180mila euro o alla reclusione da tre mesi a due anni.
Nel migliore dei mondi possibili, la procedura viene attivata soltanto da chi davvero è soggetto a prevaricazioni bullistiche sulla rete – oppure difende i propri figli che ne sono vittime -, il Garante della privacy interviene con forza o con precisione chirurgica a seconda delle situazioni e le sanzioni pesanti comminabili hanno un’efficacia preventiva, minimizzando i casi in cui davvero finiscono per essere comminate.
Tuttavia, le maglie larghe della norma stessa danno spazio a comportamenti opportunistici di vera e propria censura nei confronti di qualsiasi espressione sgradita, che venga qualificata come atto di cyberbullismo. A questo punto le sanzioni – in particolare quelle pecuniarie – potrebbero avere un’efficacia di censura preventiva soprattutto sui soggetti piccoli, ovvero gestori di siti internet che non sarebbero in grado di sostenere finanziariamente la multa.

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Tutto sulle spalle del Garante

A parte l’aspetto sostanziale, ce n’è un altro procedurale che lascia molto perplessi: la scelta di affidare al Garante della privacy la decisione sull’oscuramento, la rimozione o il blocco dei contenuti di cyberbullismo. Se è apprezzabile che la proposta di legge dia per la prima volta una definizione di bullismo e cyberbullismo a cui potersi rifare, il Garante della privacy non ha oggi le risorse per prendere decisioni in un tempo brevissimo, cioè entro 48 ore dalla richiesta del soggetto interessato, qualora il sito incriminato non abbia provveduto spontaneamente. Il deputato di Scelta civica Stefano Quintarelli aveva peraltro proposto un emendamento – poi respinto – secondo cui la multa non sarebbe stata automatica, ma si sarebbe aperto un contenzioso civile in cui il sito oggetto della richiesta da parte del Garante avrebbe potuto far valere le proprie ragioni. E sotto c’è un problema di risorse, come sottolineato dallo stesso Quintarelli: una procedura più attenta al bilanciamento degli interessi in gioco (lotta al cyberbullismo contro tutela della libertà di espressione) necessita di organici più numerosi presso il Garante della privacy per gestire dispute successive. Ma la Commissione bilancio alla Camera aveva dato il suo assenso al provvedimento solo in assenza di ulteriori oneri per le pubbliche finanze. E anche nella versione attuale del disegno di legge, come potrà il Garante decidere così velocemente su un numero potenzialmente elevatissimo di casi? Spiace che il legislatore prenda decisioni in cui l’afflato emotivo sembra prevalere sul bilanciamento razionale dei diritti in gioco e sulla valutazione pragmatica delle procedure corrette per arrivarvi. Purtroppo, l’Italia è un paese in cui troppo spesso si spera di risolvere le emergenze con provvedimenti che assomigliano a grida manzoniane: il problema è che alcune grida non sono inefficaci, ma direttamente dannose.

 

 

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Quell’Italicum che tutti (non) vogliono cambiare

  1. amorazi

    l’intelligenza emotiva è importante per una migliore comprensione della natura umana, invece la legislazione emotiva è sempre un rischio per una equilibrata convivenza umana

  2. Lorenzo

    L’impressione è che l’articolo pecchi di superficialità. Non penso che la legge salti a pie’ pari l’istituzione scolastica che non è nemmeno citata. Non penso nemmeno che un semplice commento o battuta sull’aspetto fisico, psicologico etc. postata su di un social possa far scattare l’accusa di cyberbullismo.
    Casi di reiterazione, pressione continua, offese etc. saranno invece sanzionabili.

  3. stefano

    Ammetto di conoscere poco la legge e quindi non entro nel merito. Mi lascia molto perplesso quando si parla di bilanciamento fra di rirro alla linbertà d’espressione e tutela dele persone. Io penso che libertà d’espressione non possa essere mai confusa con la libertà di pubblicare qualsiasi panzana. L’Autorità dovrebbe essere in grado di valutare immediatamente il confine fra la stupidità ed una libera espressione. L’idea della causa civile mi sembra poi poco praticabile dati i tempi della giustizia civile. Quintarelli farebbe bene ad ocuparsi della vera censura che agisce in rete, quella per esempio di Facebook, che ha inserito meccanismi automatici di esclusione di contenuti “politici”, come nel recente caso del post di zerocalcare su Carlo Giuliani.

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