I giornalisti italiani si collocano politicamente più a sinistra dei cittadini. Ne consegue una scarsa fiducia dei lettori nella carta stampata. Perché i giornali non reagiscono? Perché a leggerli e comprarli sono coloro che hanno una posizione ideologica in media più vicina a chi li scrive.
Il difficile rapporto tra italiani e stampa
Stando ai sondaggi periodicamente effettuati da Eurobarometro, i cittadini italiani hanno poca fiducia nella carta stampata. Sostanzialmente più di un italiano su due esprime un giudizio negativo a riguardo: negli ultimi quindici anni la media del livello di fiducia verso la stampa è stata complessivamente del 43 per cento, quattro punti in meno del dato europeo nello stesso periodo.
Le spiegazioni più ricorrenti riconducono la sfiducia al modello di giornalismo italiano contraddistinto da una propensione al commento, da un alto livello di parallelismo politico e da una stampa che storicamente si è indirizzata a una élite, producendo, come conseguenza, bassi livelli di lettura. In questo quadro, il rapporto tra giornalisti e cittadini rimane tuttavia in secondo piano. Un peccato, a dire il vero, dato che, in una importante ricerca che risale oramai a venti anni fa, si mettevano bene in luce le conseguenze relative alla possibile “discrasia” tra credenze politiche e ideologiche dei giornalisti rispetto ai loro lettori, senza peraltro controllare empiricamente la cosa. Abbiamo dunque voluto esplorare direttamente l’ipotesi mettendo in relazione tra loro i dati relativi al posizionamento politico dei giornalisti italiani raccolti durante la recente ricerca demoscopica The Worlds of Journalism Study con quelli che si possono estrarre da Eurobarometro per quanto riguarda i cittadini italiani, sfruttando il fatto che in entrambi i sondaggi viene somministrata la medesima domanda relativa all’autocollocazione ideologica dei rispondenti lungo una scala che va da sinistra a destra. La figura qui riportata mostra il confronto tra le rispettive distribuzioni di preferenze ideologiche nello stesso periodo temporale (inizio 2015). Come si può facilmente osservare, la distribuzione ideologica dei giornalisti italiani appare marcatamente posizionata più a sinistra rispetto a quella degli italiani in generale.
Figura 1 – Distribuzione ideologica dei giornalisti italiani rispetto a quella complessiva degli italiani
Chi scrive e chi legge
Quello che tuttavia ci interessa è capire la conseguenza di tutto ciò. Prendiamo un italiano che, magari dopo aver letto una serie di tweet o interviste televisive a vari giornalisti, si auto-percepisce complessivamente come lontano ideologicamente da questi ultimi (perché più a sinistra oppure, più plausibilmente, a destra rispetto a tali posizioni). Il cittadino presenterà anche una minore fiducia nella stampa? E se sì, in che misura? I risultati di una semplice analisi logistica mostrano che il fattore ideologico conta, e molto: pur controllando per tutta una serie di fattori considerati rilevanti in letteratura (come il genere, l’età, il reddito, il luogo in cui si vive, l’interesse per la politica e la stessa propria posizione ideologica del singolo rispondente) l’impatto della prossimità ideologica tra italiani e giornalisti non solo si conferma significativo, ma risulta assai rilevante (qui di seguito il link per chi è interessato all’analisi econometrica): la probabilità attesa di avere fiducia nella stampa passa, ad esempio, da poco più del 30 per cento per un italiano che si auto-colloca in modo molto distante dalla posizione media dei giornalisti, a un più che soddisfacente 65 per cento per chi presenta la stessa posizione ideologica registrata, sempre in media, dai giornalisti.
I risultati della nostra analisi pongono però anche un ulteriore quesito: se è vero che la prossimità ideologica conta in termini di fiducia verso la stampa, perché la stampa in senso lato non reagisce in qualche modo a questa situazione? Qua le risposte possibili sono due, una ottimista e una meno. Per quanto riguarda la prima, ci si potrebbe (dovrebbe?) attendere che l’accentuata competizione sul mercato editoriale sia in grado presto o tardi di colmare l’apparente disequilibrio che emerge dalla figura sopra (e in parte è quello che sembra stia avvenendo nel panorama delle testate digitali). C’è un “ma”, tuttavia. Sempre i dati dell’Eurobarometro ci mostrano che i lettori più assidui dei giornali sono anche quelli che hanno una posizione ideologica in media più prossima ai giornalisti. Il che potrebbe condurre a un circolo che si auto-riproduce e si auto-rinforza: ovvero lo iato ideologico con gli italiani in senso lato (e la conseguente crisi di fiducia) non risulta alla fin fine davvero rilevante per il mondo editoriale, perché dopotutto chi legge (e compra) i giornali ha la stessa visione del mondo che ha chi ci scrive, e così via. Un apparente paradosso, con esiti complessivi facilmente prevedibili.
Figura 2 – Confronto tra la distribuzione ideologica dei giornalisti italiani e quella degli italiani che leggono molto e quella di chi legge poco
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mauro
Molto interessante e quanto mai vero nel suo contenuto. Io aggiungerei al problema una tendenza tutta italiana dei giornalisti a volere “insegnare a pensare” e a spiegare “cosa è giusto o sbagliato” come se la quasi totalità dei lettori avesse bisogno di essere condotta per mano verso la “luce”. Quindi più che informazione volta a fornire dati ed idealmente i due punti di vista siamo spesso a comizi. Non aiuta poi il fatto che “sull’altra sponda” la credibilità dei giornalisti (vedi Il Giornale e Libero) è ancora minore data una sudditanza imbarazzante anche per un giornalista della vecchia Pravda. Anche perché le “lezioni” da un quotidiano le posso accettare su alcuni argomenti da un nobel o persona di chiara competenza ma non da un Rampini, Facci, Zucconi o Ostellino
DDPP
Concordo pienamente con il commento.
Leggendo quotidiani che dovrebbero soprattutto dare norizie o approfondirle, è’ davvero fastidioso percepire costantemente l’atteggiamento “didattico” di chi scrive.
Fintanto che leggo un articolo di fondo potrei anche accettarlo, passo ad altro quando scrive un signor nessuno…
bob
… ci sono tante braccia sottratte all’ agricoltura …..e soprattutto in questo momento reclamate. Ma tante, tante…………………
Methodos
Sembra un intervento persosi in qualche meandro digitale dieci anni fa e ricomparso ora.
Non forse il caso di dubitare, di questi tempi, su semplicistiche categorizzazioni di “destra” e “sinistra” fatte da una esotica organizzazione internazionale? E non sarebbe bene un po’ di problematicità prima di trarre conclusioni tanto sbrigative? I cittadini, per esempio, potrebbero essersi stancati di chi fa soltanto gli interessi dei propri padroni (di sinistra, di destra e anche di centro…).
Alberto
Forse perché i giornalisti sono dei teorici della società globale dove tutti sono uguali tranne quei pochi come loro che essendo più uguali degli altri hanno il diritto di esprimere le loro regole (e l’uguaglianza) a tutti.
Wallerstein
Giornali di sinistra? Quali? Il Manifesto?
Gianfranco
Categorie destra e sinistra non sono più categorie che possono spiegare gli accadimenti. I giornalisti in Italia non danno informazioni e la loro verifica. Non forniscono neppure un minimo di informazione su cosa pensano i cittadini europei dei vari stati membri e neppure sono in grado di fornirci informazioni certe su quello che accade nel mondo ed in Europa. I loro articoli sono un pastone di opinioni e sopratutto amano il ping…pong…Riportano le parole di un personaggio e chiedono le risposte ad altri personaggi, guardandosi bene di appurare la vericidità di quanto viene riportato. Io vedo essenzialmente impiegati non giornalisti. Se sono capaci, Curini e Splendore dovrebbero indagare sulla capacità dei giornalisti di riportare informazioni e non opinioni.
Lorenzo
Mi trovo concorde più con i commentatori che con l’articolo. La divisione destra/sinistra è ormai insensata visto l’affastellarsi di politiche incongruenti con ciò che la vecchia “sinistra” è di fatto diventata. Inoltre la percezione di scarsa professionalità dovuta al continuo tentativo di iterare idee vicine all’editore emerge in molti quotidiani sia (tradizionalmente) a dx sia sin
Giovanni.M
Mi sono ritrovato pienamente nell’articolo. C’è anche da dire che in Italia esiste un incolmabile vuoto politico che si contrapponga, con temi concreti e in maniera seria, alla sinistra italiana molto forte.
Ad oggi definirsi “di sinistra” fa capo ad una serie di idee e valori. Definirsi “di destra” si viene automaticamente collocati nel nostalgico-fascista.
Tutto ciò che è liberale/conservatore viene completamente escluso.
francesco
Giovanni e Mauro hanno colto il punto del problema. Da una parte la totale assenza di giornalisti degni di questo nome nell’area di destra (dopo Montanelli il nulla … grazie a Berlusconi…) e dall’altra la tendenza dei media a volere “insegnare” come si pensa. Lo abbiamo visto con la Brexit e ora con Trump, con l’immigrazione e il buonismo imposto … è tutto un rincorrersi su posizioni distanti dal pensiero della persona media (approccio top-down) e allo schierarsi con fini di condizionamento dell’opinione (lo fa anche il NYTimes contro Trump e gli scandali che appaiono improvvisamente). La vera tragedia è che in questa assenza di contraddittorio dell’elaborazione delle news si è innestato un rimedio peggio ancora del male cioè la pretesa di tanti di trovare nella “rete” la verità che i “poteri forti giudoplutomassonici” coprono. Con risultati tragici come ben dimostrano le leggende su scie chimiche, vaccini e chip innestati nel cervello. ARRIDATECE MONTANELLI
stefano
I giornalisti italiani portano la maggiore responsabilità della crescita del razzismo (a partire dalla metà degli anni ’80), tranne pochissime e marginali eccezioni, usando un lingaggio ed una rappresentazione simbolica del fenomeno.come hanno dimostrato vari studi (come quelli di Jessika ter Wal che riguardano anche la stampa italiana). Dire che la stampa è prevalentemente di sinistra perchè tali si definiscono (Scalfari si definisce di sinistra, ma anche Norma Rangeri: vedete qualche affinità fra i due?) e poco significativo. Invito i due ricercatori ad individuare modalità maggiormente euristiche per le proprie indagini.
roberto
in realtà sebbene diversi Scalfari e la scuola del Manifesto sono uniti dal credere che il ruolo del giornalista non sia quello di riportare le notizie (e separle dai commenti) ma di educare il lettore in modo da fargli capire cosa è giusto e come si pensa. Il che è una blasfemia per la scuola anglosassone che ha inventato il mestiere (ricordiamocelo sempre invece di metterci su dei piedistalli culturali). Giusto per capirci e citando l’ottimo Papuzzi nel suo manuale “Mestiere giornalista” fu di fatto Repubblica a sdoganare la moda tutta (e SOLO) italiana del virgolettato non inteso come la frase testuale o sentita ma “quello che forse potrebbe avere detto ma io non ho sentito”. Una cosa del genere farebbe cacciare un giornalista anche in un tabloid se sgamato mentre da noi va in prima pagina ed è diventato uso comune a tutti.
Ersilio
Ne avevo sentito già parlare di questa dichiarazione di Scalfari (io sapevo di Ezio Mauro) che voleva educare piuttosto che informare il cittadino, ma sarebbe interessante poter recuperare il riferimento esatto.
Qualcuno saprebbe dirmi quando e in quale occasione questa cosa è stata detta? Il massimo sarebbe poter avere un video…
Grazie!
Roberto
Concordo con quanto scritto nell’ articolo e aggiungo che il commento di alcuni sulla impossibilità di differenzazione sinistra -destra non regge. A mio avviso la nuova sinistra, rappresentata perfettamente dai giornalisiti italiani, non è più quella di Rizzo, dei comunisti italiani, ma già da diversi anni è divenuta radicale, sposando di fatto le posizioni di quel partito, e politicamente corretta. Casomai si potrebbe parlare di un’ estensione di questo partito anche verso la destra tanto da formare un unicum indifferenziato. Questo è ciò che imperversa in tutto il mondo occidentale. Io non leggo quasi più perchè da una parte non c’è più informazione e dall’ altra è facile prevedere cosa diranno i vari giornali e ci metterei anche i telegiornali. Non possiamo stupirci della ferocia uniforme con cui si attaca, quasi a prescendire, il candidato repubblicano alle elezioni statunitensi. Fiumi di parole sulle posizioni sessiste del multimiliardario Trump, qualche accenno, quando presente, sui finanziamenti dell’ Arabia Saudita alla fondazione multimiliardaria dei Clinton . Inoltre sono completamente d’ accordo sulla scarsa professionalità dei nostri giornalisti che oltre ad educare, perchè convinti di avere la verità (una verità), dedicano sempre meno tempo all’ approfondimento della notizia, spesso gettando fango su persone, vedi le intercettazioni, senza poi mai pagarne le conseguenze. Naturalmente questo non vale per tutti ma per molti, questo articolo è una lieta eccezione
carmeloatti
non è la politica a spaccare il paese, ma la stampa di terra di cielo e di mare, a formentare odio e invidia sociale . pericoloso !! insomma è autoreferenziale , ha bisognno sempre di criticare di dare lezioni di morale, di comportamenti……. portavoce e lisciatore dei sentimenti più tendenziosi e faziosi.