I temi della decarbonizzazione sono sempre più legati a quelli dell’innovazione, sia nell’organizzazione che nei processi produttivi. La riduzione delle emissioni diventa un fattore di competitività e prodotti e processi che non vi contribuiscono o la rendono più difficile non avranno mercato.

Gli obiettivi sulle emissioni

La curiosità manifestata intorno al progetto di Industria 4.0 presentato di recente dal governo Renzi mostra quanto grande sia l’attenzione su nuove forme di politica industriale che riescano a cogliere i processi complessi e sfidanti che si aggirano per il sistema economico globale. La necessità di arrivare a una ridefinizione dei processi produttivi tale per cui si possa approfittare in pieno dell’avanzare delle tecnologie abilitanti e di nuovi strumenti di connessione e di comunicazione appare a tutti chiara. Tuttavia, quest’ambizione rischia di rimanere priva di un aggancio concreto con la realtà se non si lega ai processi già attivi nel quadro internazionale e con trasformazioni da tempo avviate nelle quali rischiamo di ritrovarci in ritardo.
L’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi sul contenimento dei cambiamenti climatici, conseguenza della ratifica di più di 55 paesi rappresentanti oltre il 55 per cento dell’emissioni di gas serra, implica che gli impegni presi in quella sede diventano una realtà precisa da tradurre in misure e atti concreti, ma introducono anche fattori nuovi e diversi nella competizione internazionale.
Nell’ottobre 2014 i capi di stato o di governo dell’UE hanno stabilito un obiettivo vincolante che prevede la riduzione delle emissioni nazionali in tutti i settori dell’economia di almeno il 40 per cento entro il 2030 rispetto al 1990. Gli impegni dell’Italia prevedono un meccanismo misto di riduzione volontarie e di negoziazione di diritti di emissione all’interno di un Emission Trading Scheme europeo. Allo stesso tempo, gli altri paesi hanno presentato un piano di riduzione volontario (Intended Determined National Contribution — Indc) per raggiungere vari obiettivi di riduzioni, tutti piuttosto sostanziali.
Gli Stati Uniti si sono impegnati a ridurre del 26 per cento le emissioni al 2025 rispetto ai livelli del 2005. E anche a raddoppiare la loro produttività energetica entro il 2030.
La Cina, ormai il più grande emettitore mondiale, ha presentato un piano di azione per raggiungere un picco di emissioni al 2030.

Leggi anche:  Come accendere la luce nell'Africa subsahariana

Un nuovo fattore di competitività

La sfida posta da questi obiettivi non è da poco e nel futuro ci aspettano riduzioni ancora più importanti. Gli impegni di Parigi, pur rappresentando un rallentamento significativo della modificazione climatica, non bastano a stabilizzarla e quindi sarà necessario lavorare ancora. La decarbonizzazione dell’economia è quindi non più un problema teorico relegato agli esperti, ma una questione attuale di politica industriale. È una trasformazione profonda che richiede modifiche in molti modelli di business, ma offre molte opportunità se le si sanno cogliere. Per esempio, l’Olanda sta discutendo una legislazione che vuole arrivare a vietare l’immatricolazione delle nuove automobili a combustione interna a partire dal 2025. Anche il senato tedesco ha proposto il bando a partire dal 2030. La strada potrà certamente essere molto lunga, ma resta un segnale che non può essere trascurato.
Negli ultimi anni i temi della decarbonizzazione sono sempre più strettamente legati a quelli dell’innovazione, sia nell’organizzazione che nei processi produttivi. Ciò che sta accadendo è un vero e proprio spostamento nella catena del valore. Un caso evidente di spostamento è la telefonia. Quaranta anni fa il valore stava nel traffico e nessuno considerava il telefono, che era peraltro ceduto in comodato gratuito. Oggi il traffico – grazie alla competizione sempre più spinta, a sistemi di tariffazione sofisticati – vale sempre meno e ciò che ha acquistato valore è il telefono inteso non più come oggetto, ma come terminale portatore di multi funzionalità.
Altrettanto si può dire delle stampanti: il vero valore aggiunto non sta ormai nella macchina, ma nei materiali che servono per farla funzionare e quindi i produttori stampanti si sono trasformati in venditori di inchiostri e, con un successo minore, di carta. Le stampanti 3D promettono una rivoluzione ancora maggiore. La pasta – architrave della cucina italica – potrà essere prodotta (“stampata”) direttamente a casa con una stampante 3D disponendo dei materiali e del software necessario per guidare la stampante: il valore aggiunto si sposta dai materiali al software dematerializzando un prodotto di uso quotidiano come la pasta. In questo modo, si risparmia sugli imballaggi, sui trasporti e l’impronta di carbonio della pasta si riduce: decarbonizzazione 4.0.
La semplice esistenza degli impegni di Parigi introduce tra i fattori della competitività internazionale, il fattore emissioni come un elemento primario. In un mondo dove tutti cercano di ridurre le emissioni, i prodotti e i processi che non contribuiscono a questo fine, o addirittura ne rendono più difficile il raggiungimento, non avranno mercato, specialmente nei buying markets dei paesi emergenti che si trovano nella favorevole posizione di poter scegliere mettendo in competizione le tecnologie più avanzate dei paesi sviluppati.

Leggi anche:  Tra consumatori europei e auto elettrica un amore mai sbocciato*

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Ets2: caccia alle emissioni che si ostinano a crescere *