Ringrazio i lettori che hanno commentato il mio articolo “Referendum costituzionale bocciato dal metodo statistico” e rispondo.
Mi spiace ma non sono stata in grado di capire il commento di Roberto, tranne ovviamente le ultime sei parole che sono chiarissime. Penso tuttavia che Roberto possa convenire che con la consultazione referendaria, anche se è “un procedimento stabilito per legge” di fatto viene condotta un’indagine per rilevare il giudizio (se gli dà fastidio parlare di atteggiamento) degli elettori sulla legge costituzionale. Sotto il profilo della metodologia statistica il tema che mi proponevo di affrontare era quello delle regole che dovrebbero essere rispettate da chi progetta un’indagine (il legislatore che decide, come lo chiama Guido). Non posso quindi essere d’accordo con Henri Schmit che, sostenendo che “è chi pone la domanda che decide su che cosa si decide” (il che è vero), afferma che “non si misura ma si decide”. Infatti con il referendum si misura quanti votanti approvano quello che è stato deciso e quanti lo rifiutano. Gli elettori cioè sono solo i soggetti sottoposti a osservazione ma ad essi deve essere comunque assicurato il diritto della libertà di voto, cioè il diritto di esprimere correttamente la loro accettazione o il loro rifiuto delle singole modifiche apportate alla costituzione vigente, ed è della verifica di come, e quando, questo diritto sia stato assicurato che l’articolo si occupa.
L’affermazione di Guido: ”è il legislatore che decide” è corretta ma troppo semplicistica. Infatti l’iter per arrivare ad indire il referendum è articolato e a ogni passo, al fine di assicurare il diritto di cui sopra, sarebbe stato possibile innescare un processo di modifica della decisione iniziale del Governo (il primo decisore) che ha proposto il titolo della legge costituzionale sapendo che, in base alla normativa, quello sarebbe stato il testo dell’eventuale referendum. In primo luogo lo avrebbe potuto fare il Parlamento che però non aveva la “forza” di modificarlo ma che, avendo votata la legge con una maggioranza inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, ha reso possibile la raccolta di firme perché si procedesse al referendum popolare. In secondo luogo l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte suprema di Cassazione, che con le ordinanze (del 6 maggio e dell’8 agosto 2016) ha dichiarato legittime e ammesse le richieste di referendum popolare svolgendo unicamente un ruolo di tutela generale dell’ordinamento. In terzo luogo il Presidente della Repubblica che però, a quel punto non poteva far altro che emanare la legge. Da ultimo la giudice del tribunale di Milano che ha respinto il ricorso di impugnazione (con una motivazione in linea con quanto scritto da Enrico Rettore) guidata probabilmente anche da “motivi di convenienza politica-organizzativa”, come scrive Michele Lalla a proposito della scelta di proporre il quesito non “spacchettato”.
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Henri Schmit
Il mio intervento è stato troppo polemico, ma pertinente: bisogna distinguere procedure di misurazione e procedure di scelta (decisione); mi riferisco a Condorcet e alla teoria della scelta collettiva. Per decidere attraverso un verdetto collettivo, la formulazione del quesito è fondamentale, e quindi ha mille volte ragione l’autrice dell’articolo. Come risolvere questo problema fondamentale della democrazia stessa e di tutte le assemblee? In linea di massima non c’è altra soluzione che lasciare la formulazione del quesito sottoposto al verdetto a chi propone (era il primo commento sotto l’articolo, più sobrio del mio), nel nostro caso al parlamento, alla maggioranza, di fatto al governo. E possible porre dei freni a questa libertà di iniziariva e di definizione dell’unità di decisione e prevedere controlli da un tribunale, dalla corte costituzionale, da una Electoral Commission come in UK; la garanzia aumenta, ma la logica rimane la stessa. La vera soluzione è di aprire l’iniziativa a tutti, con rigorose condizioni di ammissibilità (firme, tempo), di decisione (maggioranza, quorum) e di procedura: prima di formulare il quesito definitivo l’iniziativa popolare passa in parlamento, si formano (su questioni importanti) comitati per il SI e per il NO, e si regola lo stesso il processo attraversoun’autorità imparziale senza poteri di merito; è con l’iniziativa popolare vincolante che si combatte l’abuso dello strumento plebiscitario; l’iniziativa fa parte della decisione.