All’Italia servono governi più stabili? Forse sì, se si considera che il nostro è il paese con più crisi di governo dal 1970 a oggi. Un primato mantenuto anche nella seconda repubblica. La riforma costituzionale non è perfetta, ma cerca di risolvere problemi dovuti all’instabilità del passato.
Due riforme per la stabilità
Tanto più si avvicina la data del voto al referendum costituzionale tanto più confuso si fa il dibattito. Con la speranza di riportare un po’ di ordine, facciamo un passo indietro e chiediamoci se c’è una ragione fondata per gli interventi promossi dal governo per riformare il sistema istituzionale attraverso la revisione della legge elettorale e attraverso la riforma del Senato. Entrambe mirano a rendere l’esecutivo meno soggetto a crisi e a dargli quindi stabilità. La legge elettorale prevedendo un premio di maggioranza, la riforma costituzionale attribuendo la fiducia alla sola Camera dei deputati per la formazione del governo.
L’effetto della legge elettorale sulla stabilità è ovvio; quello dell’abolizione del Senato lo si apprezza se si tiene conto che delle sette legislature tra la X e la XVI, tre sono finite anticipatamente dopo due soli anni perché il Senato aveva una maggioranza risicata.
Se quindi quello che si cerca è dare stabilità, è di questo che si dovrebbe discutere, cercando di capire se è effettivamente una necessità per il paese. Molte delle altre motivazioni apparse nel dibattito – ad esempio la riduzioni dei costi della politica, se siano tanti o pochi, o l’uomo solo al comando, o la riduzione dello spazio di voto per gli elettori – sono solo marketing ingannevole, sia quando vengono usati da chi contesta la riforma sia quando li utilizza chi la sostiene.
Cosa dicono i numeri
La domanda seria resta se e perché serve una maggiore stabilità. La risposta che viene data è che l’Italia ha un sistema politico instabile. Ed è un fatto noto. Molto meno noto è quanto sia instabile. Ma è proprio il “quanto” a fare la differenza e ad aiutare a decidere sulla validità della riforma.
La figura allegata riporta il numero di crisi di governo a partire dal 1970, pubblicati nel Cross National Time Series Data Archive. Dei tanti primati (parecchi, ma non sempre, negativi) che ha, l’Italia ne detiene uno chiarissimo: è il paese con il maggior numero di crisi di governo (cambi di maggioranza, del primo ministro o di ministri chiave). Dal 1970 ne conta in media 1,2 all’anno. Non c’è altro paese al mondo, tutti inclusi, che nell’arco di tempo considerato abbia avuto un’instabilità di governo così elevata. Il secondo paese nella lista – il Libano – ne ha avute la metà dell’Italia e così pure il terzo (la Turchia). Durante la prima repubblica i governi a maggioranza democristiana cambiavano spesso ma, si dice, c’era continuità politica e quindi l’indicatore sarebbe per questo artatamente inflazionato.
L’indice è però solo di poco inferiore se lo si calcola dal 1990: 1,1 crisi in media all’anno anziché 1,2. Durante la seconda repubblica l’Italia non ha perso affatto il primato, è rimasta in testa per instabilità dei governi. Il Libano ha ceduto il secondo posto al Pakistan con 0,8 crisi all’anno. L’Italia ne ha avute il 25 per cento in più. E senza la Democrazia Cristiana a garantire continuità politica.
Se si crede nei dati, riguadagnare stabilità politica è il problema numero uno dell’Italia.
La nuova legge elettorale a vocazione maggioritaria e il superamento del bicameralismo perfetto forse non sono la soluzione definitiva – è possibile che l’instabilità politica sia il riflesso di caratteristiche più profonde del paese. Ma almeno le riforme: a) si pongono l’obiettivo di risolvere il problema; b) vanno nella direzione che la soluzione richiede.
La gravità dei problemi di oggi è figlia anche della passata instabilità. La soluzione di quei problemi richiede continuità di governo. Chi potrebbe ristrutturare un’azienda, riorganizzare un laboratorio, rimettere in sesto anche un semplice negozio se non gli danno abbastanza tempo per farlo? E di tempo per riformare un paese malandato ne serve tanto. Il pacchetto di riforme avanzato sicuramente non è perfetto, ma azzecca la direzione di marcia. Credo anche che il pacchetto perfetto – se ne esiste uno – avrebbe dato adito ad altrettante, spesso inconsistenti obiezioni.
Figura 1
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Roberto
Dire che il problema numero uno dell’Italia sia l’instabilità è falso visto che non ci sono correlazioni fra tasso di instabilità e benessere. Se fosse così le più grandi potenze mondiali sarebbero quelle con il minor tasso di instabilità, quindi la classifica dice il contrario. Dice il vero quando dice che bisogna azzeccare il senso di marcia, ma una macchina che va nella direzione sbagliata per tanto tempo è meglio di una macchina che cambia spesso direzione? Secondo me il problema è sempre in chi guida la macchina!!!
Francesco C
Argomentazione chiarissima e molto semplice. Sicuramente non basta l’abolizione del bicameralismo paritario a garantire la stabilità, ma aiuterebbe
Massimo Matteoli
L’instabilità dei governi non dipende dalla Costituzione ma dai mali della politica italiana.
Lo dimostra proprio questo articolo quando ricorda che le crisi endemiche dei governi non sono cambiate di molto con il passaggio dalla prima repubblica con il proporzionale alla seconda con il maggioritario.
Pensare di curare il male con una cura di maggioritario ancora più accentuato a cui si unisce un esasperato neocentralismo statale servirà solo ad accentuare il distacco tra governo e cittadini, che in larga maggioranza non si sentiranno rappresentati da chi li amministrerà.
Per questo la riforma Renzi è sbagliata e pericolosa perchè trasforma la governabilità in una camicia di forza che potrebbe facilmente consentire a minoranze populiste e demagogiche di assumere il controllo delle istituzioni e strozzare il paese.
Stefano Andreoli
Dal 1990 abbiamo avuto 17 governi in 26 anni (www.governo.it/i-governi-dal-1943-ad-oggi ), dunque l’indice dovrebbe essere 0,65.
Inoltre non si può trascurare il miglioramento che c’è stato dagli anni ’90 (9 governi, quasi 1 all’anno), al periodo 2000-2016 (8 governi, uno ogni 2 anni).
Non è vero che la stabilità di governo sia il problema numero uno dell’Italia, altrimenti i governi Berlusconi 2001-5 e 2008-2011 (i più stabili del periodo) dovrebbero essere stati i periodi migliori… E bisogna pur chiedersi se sia auspicabile che un partito con il 30 % dei voti possa portare avanti per 5 anni il proprio programma politico senza dover tenere conto di quello che pensa il restante 70 % degli elettori.
In ogni caso si può essere contrari alla riforma pur apprezzandone alcuni obiettivi ed alcune parti, come è il caso dei 56 costituzionalisti che ad aprile hanno firmato un circostanziato appello contro la riforma. E’ tutto “solo marketing ingannevole” ?
Oltre alla stabilità dei governi, conta anche la stabilità del sistema istituzionale, inteso come comprensivo ad esempio delle regole che disciplinano i rapporti tra maggioranza e minoranza, tra livelli di governo, etc. Vale la pena ricordare che nel “manifesto dei valori del Partito Democratico” del 16 gennaio 2008 si affermava solennemente l’impegno a “ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza”.
Henri Schmit
Giusto, il problema principale del sistema politico italiano è l’instabilità. Lo studiavamo all’università 40 anni fa. Colpa della costituzione? Forse. Allora sembrava che la causa fosse il sistema dei partiti formatosi con varie misure fra cui legge elettorale e finanziamento pubblico, privato, trasparente e occulto, dell’attività politica, media, tv, giornali inclusi. I primi anni 90 sembravano promettere un corso nuovo (referenda elettorali, mani pulite). Invano. La legge Mattarella (criticabile per la quota proporzionale) è stata abolita nel 2005; la bicamerale D’Alema ha perso l’appoggio della parte avversa; la pessima riforma costituzionale del 2001 è stata criticata da pochi perspicaci; quella del 2006 è stata bocciata per referendum perché fatta da una maggioranza troppo stretta; la classe politica ha messo 3 legislature per riconoscere che la 270/2005 era viziata; il Porcellum è stato censurato solo per merito di un clamoroso revirement della Corte. Adesso il governo Renzi per dare stabilità all’esecutivo, cioè a se stesso, sta raccontando che la sua riforma del Senato e della legge elettorale non tocca i poteri del premier – quello che invece sarebbe stato indispensabile! almeno la sfiducia costruttiva; e nega il legame fra riforma e legge elettorale. L’autore sostiene che la riduzione dello spazio democratico è un argomento di marketing ingannevole. Perché non tenere allora la 270/2005? Qua si vorrebbe il risultato del governo stabile, senza pagarne il prezzo.
Vincenzo Sabatino
Stabilità di Governo o stabilità di linea politica che un Paese esprime?
Generalmente i Governi esprimono la volontà politica, anzi eseguono la volontà politica di una certa maggioranza, in un determinato periodo storico.
Ciò che è importante in un Paese, non è chi rappresenta o esegue la volontà politica della maggioranza, cioè il Governo; ma sono i valori, le linee, le idee, i programmi e soprattutto i progetti che quella maggioranza esprime in un dato periodo storico, che si vuole concretamente realizzare.
In Italia, quando gli italiani vanno a votare, dovrebbero quindi votare per i valori, le linee, le idee, i programmi e soprattutto i progetti che in un dato periodo storico, si vorrebbe concretamente realizzare. Tale realizzazione, prima però passa attraverso la rappresentanza, cioè attraverso tutto quello che gli esponenti dei partiti politici propongono e promettono di realizzare, i quali (esponenti dei partiti politici), una volta eletti, scelgono l’esecutivo (cioè il Governo) che dovrà concretamente realizzare le scelte proposte dagli stessi esponenti politici e approvate dai cittadini, attraverso il loro voto. Quindi ciò che più conta, non è tanto la stabilità del Governo che dovrà eseguire e realizzare un determinato progetto politico, ma è il progetto in sé in quanto espressione di una certa maggioranza politica. Pertanto la vera stabilità che conta, in un Paese democratico, è la stabilità della linea politica di un progetto di Paese che si vuole realizzare.