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Un giusto vincolo sugli oneri di urbanizzazione

Dal 2018 i sindaci non potranno più utilizzare gli oneri di urbanizzazione per pareggiare i bilanci comunali. Lo prevede la legge di bilancio per il 2017. Ed è una buona notizia perché un freno al loro uso improprio può limitare la spinta alla costruzione di immobili oltre le reali necessità.

Cosa sono gli oneri di urbanizzazione

Dal 2018 i sindaci non potranno più utilizzare gli oneri di urbanizzazione per ripianare i bilanci comunali. Lo prevede la legge di stabilità per il 2017.
Chi vuole costruire un nuovo edificio (cambiarne la destinazione d’uso urbanistico o ampliarlo) deve contribuire alle spese che il comune sostiene (o ha sostenuto in passato) per dotare la zona di strade, parcheggi, acquedotti, fognature, infrastrutture degli altri servizi a rete, spazi di verde attrezzato (urbanizzazioni primarie) e di scuole, palestre e campi da calcio, luoghi di culto, mercati rionali e altre attrezzature (urbanizzazzioni secondarie). In sostanza, i privati devono concorrere al finanziamento degli investimenti per le infrastrutture pubbliche che valorizzano e rendono più vivibili le loro proprietà.
L’ammontare degli oneri di urbanizzazione (e del contributo di costruzione) è commisurato alla dimensione dell’intervento e può variare in base alla destinazione d’uso dell’immobile e alla dimensione demografica del comune. L’articolo 12 della legge 10/1977 (la legge Bucalossi sull’edificabilità dei suoli) vincolò i proventi, e quelli derivanti dalle sanzioni sulle violazioni delle norme sull’edilizia, esclusivamente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, al risanamento dei complessi edilizi nei centri storici e all’acquisizione di aree sulle quali realizzare anche programmi di edilizia economica e popolare, i famosi Peep.

Un finanziamento per la spesa corrente

Il vincolo di destinazione degli oneri di urbanizzazione è cessato con l’entrata in vigore del testo unico sull’edilizia (Dpr 380/2001), che ha abrogato l’articolo 12. In seguito, la legge finanziaria per il 2008 ha autorizzato i comuni a impiegare fino al 50 per cento di quegli introiti per finanziare la spesa corrente e un altro 25 per cento per la manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale.
Così è stato fino a tutto il 2015, quando il governo Renzi, per il 2016 e il 2017, ha dato ai sindaci la possibilità di elevare la percentuale fino al 100 per cento (includendo, tra quelle finanziabili, anche le spese per la progettazione delle opere pubbliche), potendo, ovviamente, continuare a decidere di destinare il 50 per cento alla spesa corrente.
Secondo l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili), che è contraria a questo loro utilizzo, tra il 2008 e il 2015, i comuni hanno impiegato 8,1 miliardi di euro provenienti da oneri per pagare stipendi, acquistare beni di cancelleria, erogare sevizi e per altre poste di spesa corrente. Ai sindaci, in sostanza, è stata data la possibilità di impiegare somme rilevanti provenienti dagli oneri di urbanizzazione per compensare i tagli ai trasferimenti statali.
In questo modo, però, gli amministratori comunali hanno trovato una fonte di entrate che diventa tanto più consistente quante più case, uffici e capannoni si costruiscono, anche se la loro offerta eccede la domanda effettiva. Oltre che essere un incentivo diretto, la possibilità di destinare a spesa corrente il 50 per cento degli oneri ha anche un effetto moltiplicatore indotto dell’offerta. Le zone destinate alla costruzione degli immobili devono essere, naturalmente, dotate dell’insieme delle urbanizzazioni la cui realizzazione richiede investimenti pari almeno all’intero importo degli oneri; compresa, quindi, la parte di essi tramutata in spesa corrente. Per far quadrare il cerchio, i comuni, in genere, concordano con gli operatori che realizzano gli interventi edilizi, la concessione di diritti edificatori aggiuntivi, per equilibrare, economicamente, il pagamento di oneri extra rispetto alle loro tariffe ordinarie.

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Dal 2018 destinazione vincolata

Il comma 460 dell’articolo 1 della legge 232/2016 dovrebbe ostacolare questo meccanismo di amplificazione della produzione edilizia. Elenca dettagliatamente, infatti, le opere alla cui realizzazione devono essere destinati “esclusivamente e senza vincoli temporali” gli oneri di urbanizzazione. La lista comprende la realizzazione e la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione, il risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, interventi di riuso e di rigenerazione edilizia, interventi di demolizione di costruzioni abusive, acquisizione e realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, interventi di tutela e riqualificazione dell’ambiente e del paesaggio, interventi volti a favorire l’insediamento di attività di agricoltura nell’ambito urbano.
La possibilità di destinare le entrate da oneri a spesa corrente non è totalmente esclusa. Ma, al di là della loro classificazione contabile, sarà possibile realizzare solo opere relative alle infrastrutture urbane del territorio e alla salvaguardia del patrimonio edilizio esistente. Per ora, è una buona notizia; dal prossimo 1° gennaio diventerà anche una buona pratica, se nel frattempo il Parlamento non avrà cambiato idea.

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  1. Sandro Faleschini

    Finalmente! Le indecenti disposizioni, se non sbaglio di marca forzista, hanno consentito di realizzare un’edilizia con opere di urbanizzazioni carenti e hanno garantito un plus di speculazione come ben segnalato dall’autore dell’articolo. Adesso, stiamone certi, in Parlamento i sindaci si faranno sentire. Speriamo che l’avvicinarsi delle elezioni non facciano saltare tutto, ancora una volta.

  2. fatti neri

    fate sapere che il vaticano si prende una quota del pagamento,,,,,,,,,,sulle concessioni edilizie c’è scritto BELLO CHIARO. perchè?

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