In quaranta paesi, Italia compresa, l’8 marzo sarà un giorno di sciopero globale delle donne. Negli Usa la protesta ha un valore particolare, dopo la partecipatissima Women’s March on Washington nei giorni dell’insediamento di Trump. Perché i diritti delle donne sono diritti umani.

La grande Women’s March on Washington

Le manifestazioni di piazza che in gran parte degli Stati Uniti hanno accompagnato la Women’s March on Washington del 21 gennaio sono state certo qualcosa di completamente nuovo in un paese poco abituato a esprimere il dissenso, sia per la loro portata (milioni di persone) che per la loro diffusione (quasi tutte le grandi città Usa).
È stata senz’altro la manifestazione più grande degli ultimi decenni: non hanno sfilato solo donne, ma anche famiglie, bambini e uomini di ogni età con slogan unificanti come “Women’s rights are human rights” (i diritti delle donne sono diritti umani). Chi ha protestato ha dimostrato che il movimento vuole unire donne di ogni razza e religione contro il razzismo e la misoginia che hanno caratterizzato la campagna elettorale di Donald Trump.
È chiaro che la Women’s March on Washington non è destinata a rimanere solo un episodio isolato, ma è stata invece l’inizio di una protesta più ampia, un modo per contarsi e proporre una piattaforma di lungo periodo.
Le leader del movimento sono giovani, lavorano come giornaliste, avvocate, nella comunicazione, nel mondo del business e della moda. Gli sponsor sono istituzioni importanti nel mondo della salute, dei diritti civili, dell’ambiente, e dell’istruzione (Planned Parenthood, American Civil Liberties Union, Ndrc-National Resources Defense Council, American Federation of Teachers). Non a caso, nelle settimane precedenti e nei giorni seguenti l’inaugurazione della presidenza Trump, queste istituzioni hanno registrato incrementi record delle donazioni. L’obiettivo è prepararsi a sostenere le donne nella prevenzione delle malattie come nelle scelte riproduttive e in tutti quei campi dove saranno attuati i tagli “promessi” durante la campagna presidenziale.
E infatti anche dopo l’insediamento, le proteste non si sono fermate. Nel week end del Presidents’ day (si celebra il compleanno di George Washington e quest’anno cadeva il 20 febbraio), altre migliaia di persone hanno protestato in molte città degli Stati Uniti, piccole e grandi, con parole d’ordine come “Not my Presidents’ Day”.

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Un giorno di sciopero delle donne

L’8 marzo – la giornata internazionale della donna – è l’occasione per un nuovo appuntamento.
Per quel giorno è stato indetto uno sciopero delle attività più importanti svolte dalle donne. L’8 marzo le donne non vanno a lavorare e non fanno acquisti. Come dice il sito womensmarch.com è “un giorno senza donne”. L’obiettivo è quello di mettere in evidenza il centrale ruolo economico delle donne nella vita di tutti i giorni e l’enorme valore che aggiungono al sistema socio-economico, lavorando, curando i figli, aiutando gli anziani, insegnando, facendo acquisti per la produzione familiare.
L’idea è ripresa da uno sciopero che quaranta anni fa scosse la vita dell’Islanda, con importanti effetti sulle successive scelte politiche: il 90 per cento delle islandesi si rifiutò di lavorare, di cucinare e di prendersi cura dei propri figli per un giorno intero. “L’astensione dal lavoro” fu decisa per dimostrare l’importanza del contributo delle donne alla società e per chiedere uguaglianza di trattamento e di salario. Come sappiamo, ha ottenuto notevoli risultati, visto che oggi l’Islanda è oggi al primo posto per l’uguaglianza di genere.
Anche negli Stati Uniti di oggi gli obiettivi del movimento delle donne non sono solo “etici”, ma economici. Le condizioni di vita delle donne – specialmente di quelle nere e immigrate – si sono deteriorate negli ultimi anni: secondo i dati del World Economic Forum Global Gender Gap Report (che considera 144 paesi e permette di stilare una classifica sulla portata del divario di genere) gli Stati Uniti sono scesi dal ventitreesimo posto nel 2013 al quarantacinquesimo di oggi, dietro Ecuador, Bolivia e Columbia.
L’8 marzo 2017 si prospetta dunque come un giorno molto importante negli Stati Uniti. Ma altre manifestazioni di dissenso si vedono già in ambiti dove in genere si protesta molto meno, come la moda e il cinema. Alla settimana della moda di New York molte sfilate si sono ispirate a un abbigliamento opposto a quello ultra-femminile che Trump vuole per le donne che lavorano per lui alla Casa Bianca. In alcuni casi, le modelle hanno sfilano con cappelli rosa con le orecchie di gatto, quello che in tutto il mondo è diventato il simbolo delle Women’s March. E nella notte degli Oscar – dove per la prima volta ha vinto un film dal cast completamente nero – anche la migliore attrice secondo l’Academy, Emma Stone, ha voluto indossare la spilla di Planned Parenthood.

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