Sono cambiate molte cose nella composizione della ricchezza delle famiglie italiane. È calata la componente obbligazionaria. Ma la quota del risparmio gestito nelle attività finanziarie resta ancora inferiore a quella di altri paesi occidentali.

Cinque strumenti per le famiglie

In tutti i paesi la ricchezza finanziaria delle famiglie è investita in cinque strumenti: depositi, titoli, azioni e partecipazioni, fondi comuni, strumenti assicurativi e pensionistici privati (tavola 1). La composizione della ricchezza è influenzata da fattori di natura congiunturale e strutturale, come il livello dei tassi di interesse, la tassazione degli strumenti finanziari, l’andamento della Borsa, le scelte dei risparmiatori e la loro propensione al rischio, le politiche di offerta di prodotti da parte delle banche e degli altri intermediari, la centralità delle banche rispetto alle dimensioni dei mercati finanziari, le condizioni dei sistemi pensionistici pubblici.
I depositi bancari e postali – incluso il circolante – costituiscono oggi il 32 per cento della ricchezza finanziaria, la forma principale di investimento per le famiglie. È un dato ricorrente nella storia italiana, se si fa eccezione per i periodi di forti rialzi della Borsa, quando le azioni e le partecipazioni sono diventate spesso il primo strumento, come nel 1999-2002 e nel 2005-2008, prima del fallimento di Lehman Brothers.
La discesa dei tassi d’interesse degli ultimi anni è tra le motivazioni della caduta al 10 per cento, il livello minimo storico, del peso dei titoli nella ricchezza finanziaria degli italiani, dal 30 per cento del 1990. La loro incidenza era cresciuta negli anni Ottanta, a causa della crescente diffusione dei titoli di stato tra i risparmiatori. Il ruolo guida della componente pubblica si è perso negli anni successivi, in favore della componente dei titoli bancari. Dalla fine del 1996 la sottoscrizione di obbligazioni bancarie era stata favorita dall’inasprimento del prelievo fiscale sui certificati di deposito. All’inizio degli anni Duemila le crisi di emittenti sovrani (Argentina) e imprese (Cirio e Parmalat) hanno ulteriormente sospinto la domanda di obbligazioni bancarie, arrivate al 10 per cento della ricchezza nel 2011. Negli ultimi anni, però, hanno perso di peso, a causa della scomparsa dei benefici fiscali nel 2012 e nel 2014, della contrazione dell’offerta dei titoli, vista la dinamica lenta del credito, e dell’entrata in vigore delle regole sul bail-in. Gran parte delle obbligazioni bancarie detenute dalle famiglie scadrà entro il 2020. Senza nuovi acquisti la loro quota, oggi pari al 4 per cento, scenderebbe a meno dell’1 per cento della ricchezza finanziaria.

Leggi anche:  La scommessa della Fed

Azioni e assicurazioni

Le azioni e le partecipazioni costituiscono circa il 20 per cento della ricchezza delle famiglie e comprendono sia quelle quotate sia quelle non quotate, da sempre rilevanti in Italia, data la diffusione delle piccole imprese a proprietà familiare. Dopo le difficoltà della Borsa negli anni Sessanta e Settanta, le riforme del governo societario, ad esempio con l’emanazione del Testo unico della finanza nel 1998, hanno contribuito a un aumento della ricchezza detenuta in azioni e partecipazioni, che oscillava intorno al 25-30 per cento del totale fino agli anni precedenti la crisi finanziaria globale. Dal 2009 le azioni e partecipazioni hanno risentito dell’andamento dei valori di Borsa, la cui capitalizzazione, in rapporto al Pil, non ha ancora recuperato i livelli precedenti la crisi finanziaria.
I fondi comuni pesano oggi per il 12 per cento della ricchezza finanziaria delle famiglie. Avevano raggiunto la massima incidenza sulla ricchezza – 18 per cento – alla fine della bolla del mercato azionario del 1995-2000. È seguita una fase di ridimensionamento, anche per un trattamento fiscale non favorevole. Negli ultimi tre anni le famiglie sono tornate a investire nei fondi, riportando la loro quota ai livelli del 2004.
Gli strumenti assicurativi e pensionistici privati hanno oggi raggiunto il massimo storico del 22 per cento della ricchezza finanziaria, in virtù di una crescita costante, iniziata negli anni Novanta, in occasione delle prime riforme del sistema pensionistico pubblico. Fino ad allora il comparto non aveva superato il 10 per cento della ricchezza finanziaria.
In sintesi, il calo della componente obbligazionaria nella ricchezza delle famiglie si è accompagnato a una ricomposizione verso i prodotti del risparmio gestito (fondi comuni e strumenti assicurativi e pensionistici), che ha raggiunto il massimo storico del 34 per cento del portafoglio delle famiglie, superando il valore toccato all’apice del ciclo favorevole della Borsa del 1995-2000. La quota del risparmio gestito nelle attività finanziarie delle famiglie resta tuttavia inferiore a quella di altri importanti paesi occidentali.

Leggi anche:  All’economia europea serve più del taglio dei tassi

Tavola 1

(1) Settembre, dati provvisori. Fonte: conti finanziari (Conti finanziari della Banca d’Italia).

* Banca d’Italia. Le opinioni presentate sono personali e non coinvolgono la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Come l'informazione digitale cambia il rapporto tra banche e clienti