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Alla ricerca della banca perduta

Perché si è aperto un abisso tra la finanza “buona”, che svolge una funzione essenziale per la crescita, e la “nuova” finanza che ha portato alla più grave crisi della storia? Lo spiega Marco Onado nel suo ultimo libro, di cui pubblichiamo l’introduzione.

 

Non ci sono più le banche di una volta, sparite come le mezze stagioni. Come spesso accade, letteratura e cinema hanno colto l’essenza della crisi prima dell’economia. Opere come Lehman Trilogy di Stefano Massini o film come Margin Call di J.C. Chandor fanno capire quanto la finanza sia mutata nel giro di pochi decenni e come Lehman Brothers, fondata su sani principi morali e sul sostegno allo sviluppo economico, abbia potuto trasformarsi in un mostro dominato da speculatori avidi e cinici che hanno fatto precipitare l’economia mondiale nella più grave crisi della storia.

Questo libro vuole spiegare come si sia aperto un abisso tra la finanza come dovrebbe essere, descritta nei libri di testo (compreso quello di chi scrive), che svolge una funzione essenziale per la crescita, e la “nuova” finanza che ha provocato la crisi ed è stata addirittura oggetto di un salvataggio pubblico senza precedenti. Lo scopo è capire come possiamo recuperare la banca perduta, cioè rispondere alla domanda che si pongono oggi non solo economisti e policy maker, ma anche i cittadini, che – colpiti duramente e più volte nei propri risparmi – non sanno se possono ancora fidarsi delle banche o se dare ragione all’Economist (mica un foglio sovversivo) arrivato a coniare il termine banksters.

Economisti e cittadini sembrano porsi problemi diversi: di sviluppo economico generale i primi, di tutela del risparmio i secondi, ma in realtà si tratta di due diversi punti di caduta dello stesso problema, cioè il volto oscuro della finanza messo impietosamente in evidenza dalla crisi e che sembra prevalere su quella “buona” che dobbiamo e possiamo valorizzare.

Le crepe di Wall Street

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Proprio per questo, il libro si rivolge a un pubblico più vasto degli addetti ai lavori, anche se il viaggio è davvero degno di Indiana Jones, perché richiede di addentrarsi nei meandri del sistema creditizio moderno, che possono essere più fitti della giungla, per capire i motivi per cui la finanza è diventata sempre più grande rispetto all’economia reale e sempre più complessa, fino a subire una sorta di “mutamento genetico”. Percorrendo questa strada si capisce che la finanza ha sfruttato in pieno le opportunità del clima ideologico e politico di liberalizzazione e deregolamentazione su scala mondiale che ha dominato gli ultimi decenni e che ha basato la crescita economica dei paesi avanzati, a cominciare dagli Stati Uniti, su un’accumulazione di debiti senza precedenti, cioè su un castello di carte che non poteva che crollare miseramente. Ma si scopre anche che, come ogni sovrastruttura, la finanza è lo specchio degli squilibri dell’economia sottostante. È una crisi delle imprese che hanno privilegiato i risultati a breve, a scapito degli investimenti e della crescita sostenibile; è una crisi sociale, perché sono aumentate la disuguaglianza e la povertà anche nei paesi avanzati; è una crisi politica, perché le tensioni economiche e sociali spostano verso destra il baricentro dell’elettorato, spingendolo a chiedere misure di pura protezione degli interessi esistenti, non importa se fra questi sono compresi quelli delle banche. E fu subito Trump.

Insomma, i grandi movimenti che hanno portato alla crisi sono dominati dalle trasformazioni della finanza degli ultimi decenni, che a loro volta sono stati favoriti dalle politiche neoliberiste rafforzatesi con la sconfitta del socialismo reale. Ma addentrandoci nella giungla in cui sembra scomparsa la banca perduta, scopriamo che se è crollato il Muro di Berlino, quello di Wall Street ha numerose crepe e molte delle cause di fondo della crisi non sono state ancora rimosse.

Marco Onado, Alla ricerca della banca perduta, 2017, Il Mulino, pag. 280. 15 euro (e-book 10,99 euro)

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Il Punto

  1. Enzo Michelangeli

    Il termine “bankster” fu coniato dalla stampa americana nei primi anni ’30, non adesso dall’Economist: https://en.m.wiktionary.org/wiki/bankster .
    E tra i primi responsabili della crisi subprime ci sono due organizzazioni sponsorizzate dal governo federale, Fannie Mae e Freddie Mac. Con amici cosi’, chi ha bisogno di nemici.

  2. ALESSANDRO GARUGLIERI

    Sono un uomo maturo e la mia esperienza mi consente di affermare che le banche di ogni tipo sono, nel loro complesso, tra le aziende gestite peggio. Forse, come nell’alimentare, ogni prodotto dovrebbe certificare la filiera da cui proviene: la fiducia nel brand si è rivelata fallace.

  3. Giuli 44

    Con riferimento alla crisi specifica di Banca Carige mi chiedo se non sia dovuta alla mancanza di chiare e vincolanti regole sugli controllo delle banche. L’azionariato della Banca è composto per il 17.59% da Malacalza, per il 6% da Volpi, per il 79.41% dal mercato (Fonte Borsa Italiana).
    Constato quindi (e con me altri piccoli azionisti):
    a. Quest’ultima quota, preponderante anche per le politiche attuate in passato dalla Dirigenza Berneschi di massima sollecitazione verso la clientela retail, è di fatto carne da cannone per il gruppo di maggioranza.
    b. E’ ben evidente che la Banca ha necessità di un robusto aumento di capitale e di un partner finanziario all’altezza della situazione. Tutto ciò è insito nel piano Bastianini, ma i “padroni del vapore” non vogliono per non mollare l’osso.
    Mi chiedo infine:
    1. è possibile e giusto controllare una banca con un quota tanto minoritaria?
    2. non sarebbe necessario porre una soglia?
    3. può una tale minoranza (forse non avendo la possibilità di sottoscrivere l’aumento di capitale che sarebbe richiesto) lasciare in sfacelo la banca?
    Grazie per l’attenzione.

  4. Henri Schmit

    Spero che l’interessante ricerca del prof. Onado non crei o rinforzi l’idea che i guai del sistema bancario italiano siano dovuti alla “nuova finanza”. Al contrario, è tutto colpa della “vecchia” finanza, vecchia quanto l’invenzione del danaro … Le banche sono operatori eoconomici particolari che (grazie a una licenza controllata, capitale sociale e depositi) creano danaro, quindi potenziale crescita, investimenti, benessere, ma anche arricchimento veloce di alcuni a scapito di altri, progetti fallimentari e insostenibili, indebitamente eccessivo, etc. La nuova finanza è solo un’opportunità in più per i signori della vecchia finanza truffaldina di fare a modo loro. L’Italia che non ha saputo controllare la vecchia finanza, figuriamoci quella nuova, è un caso a parte, una bomba non ancora disinnescata.

  5. Carmine Meoli

    Affermare che il dissesto e’ solo frutto della “vecchia finanza” pare piu’un giudizio di valore che una affermazione comprovata d dati e analisi.Per certo gli affidamenti e gli impieghi in generale potevano essere meglio selezionati ma l’impatto della recessione per la clientela operante in settori colpiti da una recessione ancora in atto e’ tra le cause incontrovertibili .ora mentre si ricercano vie di uscite abbiamo delegato il credito alle famiglie a finanziarie assai costose e non sembriamo in grado di evitare una mega speculazione mediante una svendita delle sofferenze ad avvoltoi ?

  6. Henri Schmit

    Il direttore generale di Banca d’Italia, Salvatore Rossi, intervenuto il 14 giugno 2017 all’Almo Collegio Borromeo di Pavia sul tema “Europa: dall’unione monetaria all’unione economica e oltre“, si esprime così: «L’Italia ne sta pagando il prezzo più alto perché è finita incastrata nella nuova logica – mai più bail out, solo bail in! – proprio quando le sue banche si andavano caricando di crediti deteriorati a causa della profondità della doppia recessione, i cui effetti erano per alcune aggravati da gestioni malaccorte, quando non criminali» (citato nell’articolo del 16 giungo 2017 di Mario Seminerio su Phastidio.net).

    Merito: SR riconosce che il peso estremamente alto dei NPL italiani non è dovuto (solo) alla “profondità della doppia recessione” ma anche a delle “gestioni (più) malaccorte” e a volte “criminali” dei dirigenti bancari italiani rispetto ai loro colleghi di altri paesi.

    Critica: Bisognerebbe chiedersi a chi spettava accorgersi in tempo delle “gestioni malaccorte, quando non criminali”, e reprimerle o quanto meno denunciarle. Ora che i guai sono stati combinati, è indispensabile investigare nei singoli fatti di “gestioni malaccorte” e di comportamenti individuali “criminali”, punire i responsabili, in caso di arricchimento illecito anche patrimonialmente, e risarcire le vittime, onde evitare che gli stessi fatti si riproducano.

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