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Si può fermare la Brexit?

Si può fermare la Brexit? Tra i giuristi non c’è unanimità di pensiero. Ma non si può ammettere che uno stato possa revocare il recesso dall’Unione europea in base alle sue convenienze. Perché la decisione spetterebbe alla Corte di giustizia europea.

Porte aperte della UE per il Regno Unito

La revoca della Brexit è stata ritenuta finora un problema puramente teorico. Sennonché, dopo la pesante sconfitta di Theresa May nelle elezioni politiche dell’8 giugno, l’ipotesi sembra meno campata per aria. Non solo perché il risultato può essere letto come una sconfessione popolare dell’approccio alla Brexit propugnato dai conservatori, ma anche per il fatto che il governo inglese oggi deve reggersi sull’appoggio parlamentare del Democratic Unionist Party del Nord Irlanda, i cui cittadini hanno votato in maggioranza contro la Brexit. Non sorprende quindi che, in occasione della recente visita di Theresa May a Parigi, il presidente francese, Emmanuel Macron, abbia affermato che le porte dell’Unione sono sempre aperte, nel caso in cui il Regno Unito cambi idea, anche se – ha avvertito – man mano che il negoziato procede, l’operazione potrebbe risultare sempre più difficile. Guy Verhofstadt, parlamentare belga di grande peso a Strasburgo, ha aggiunto che le porte della UE, sebbene ancora aperte, non sono tutte uguali, proprio come quelle di Alice nel paese delle meraviglie: a suo parere nel caso gli inglesi volessero rimanere, dovrebbero rinunciare ai privilegi che negli anni si sono conquistati, primo fra tutti la famosa riduzione di contributo al budget europeo negoziato da Margaret Thatcher nel 1984, e passata alla storia con l’elegante slogan: I want my money back!

L’interpretazione dell’articolo 50

Ma, al di là delle affermazioni dei politici, il tema è prettamente giuridico: dopo che uno stato, in applicazione dell’articolo 50 del Trattato dell’Unione europea, ha notificato agli altri partner europei la sua intenzione di uscire dalla UE, può revocare la notifica? L’articolo 50 sul punto tace, probabilmente perché parte dal presupposto – che la realtà ha dimostrato errato – che una decisione così grave non possa essere presa a cuor leggero e pertanto, una volta adottata, la revoca è inconcepibile.

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I giuristi si sono perciò lanciati in speculazioni varie. L’unico punto su cui sembra esserci consenso è che se la revoca dalla decisione di recedere è concordata dallo stato interessato con tutti i rimanenti 27 membri, è ammissibile, dato che nel diritto internazionale l’unanimità risolve ogni questione.

Molto più problematica sarebbe una revoca unilaterale, in contrasto con il desiderio di tutti o di alcuni stati membri dell’Unione. Taluni giuristi che la ritengono ammissibile (non a caso, inglesi) affermano che il Regno Unito, così come ha unilateralmente notificato il recesso, potrebbe altrettanto unilateralmente revocarlo, se ciò fosse deciso in maniera conforme alle norme interne britanniche. Molti altri giuristi sono assai più cauti: è vero che in base all’articolo 50 ogni stato membro può decidere unilateralmente di recedere dall’Unione, ma in virtù alla stessa norma, una volta notificato il recesso, la procedura non è più solo sotto il controllo dello stato recedente. Infatti, diviene completamente europea, poiché nel negoziato sono coinvolti tutti gli stati, nonché la Commissione, il Consiglio europeo e il Parlamento europeo che devono, rispettivamente, negoziare e approvare l’accordo di recesso. Inoltre, sempre in base all’articolo 50, la notifica di recesso si conclude solo in due modi: o con un’uscita concordata tra le parti o con un recesso non concordato, che si realizza automaticamente dopo due anni dalla notifica. Questi giuristi ritengono pertanto che lo stato possa decidere unilateralmente se innescare la procedura dell’articolo 50 ma, una volta partita, la procedura può concludersi solo col recesso.

Dietro la cautela giuridica c’è una preoccupazione politica. Se si ammettesse che uno stato può a suo piacimento revocare il recesso, si correrebbe il rischio che ogni stato membro possa decidere di lasciare l’Unione, al solo fine di cercare di ottenere, mediante il negoziato che ne segue, miglioramenti della sua specifica posizione, ad esempio attraverso clausole di esenzione di applicazione di particolari politiche o riduzioni di contributi al bilancio comune. Così, se si ammettesse che il Regno Unito può portare a termine il negoziato e poi decidere se uscire o meno dall’Unione in base all’ipotesi più vantaggiosa, la Brexit sarebbe seguita a ruota da tante altre ‘exit’ di stati desiderosi di ottenere gli stessi risultati. L’Unione si trasformerebbe in un tavolo negoziale permanente, senza alcuna certezza delle regole applicabili.

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La conclusione che diversi giuristi traggono, incluso chi scrive, è che la revoca unilaterale della Brexit può forse essere ammessa solo se è decisa prima che il negoziato lasci intravedere i suoi risultati e il Regno Unito possa fare i conti se l’operazione gli conviene o meno. Nell’Unione si sta anzitutto perché si condividono ideali e valori e non solo perché conviene economicamente.

Già questa conclusione dispiacerà agli inglesi, ma temo verrà loro il mal di testa quando si accorgeranno che, poiché la questione della revoca è in sostanza una questione di interpretazione dell’articolo 50 del Trattato, l’unico soggetto competente a risolvere in maniera definitiva il problema è l’odiata Corte di giustizia dell’Unione europea.

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12 commenti

  1. Henri Schmit

    L’altroieri durante la conferenza stampa con May a Parigi Macron ha osato ipotizzare un ripensamento dell’UK all’inizio della fase negoziale che inizierà la prossima settimana. Il problema è tutto politico, non giuridico. Un possibile errore è il valore che il Parlamento inglese ha attribuito a un verdetto popolare ottenuto sul filo del rasoio allorché servirebbero condizioni ben più severe per annullare un legame durato 44 anni; servirebbe altro che un referendum improvvisato e una decisione tutto sommato casuale e forse manipolata come quella del 23 giugno 2016. Gli studiosi delle forme democratiche dovrebbero pensare alle delibere nel 406 dell’assemblea ateniense sulla sorte degli strateghi dopo la vittoria sulla flotta spartana alle Arginuse: un verdetto popolare impulsivo, casuale, manipolato, poi ritrattato, ha precipitato l’evoluzione del regime verso la catastrofe, la disfatta e la dissoluzione. Le snap elections perse aprono la strada se no a un ripensamento almeno a delle valutazioni più realistiche di quello che è (sarà e costerà) la Brexit. Quando ci saranno nuove elezioni? Prima della fine delle negoziazioni con l’UE? Se dovesse cambiare idea l’UK dovrebbe ottenere il consenso dell’UE; probabile che Bruxelles esigerebbe che l’UK rinunci a tutti i vantaggi negoziati prima da Thatcher e più recentemente da Cameron. Una Waterloo alla rovescia.

    • Massimo Fragola

      Assolutamente d’accordo con l’analisi di Schmit e più in generale di Manzini. Vorrei solo aggiungere che la questione è (a mio parere) sia giuridica sia politica. Sia di interpretazione di un referendum democratico. E quindi del valore che si assegna al Popolo nell’unica manifestazione di democrazia diretta. E’ corretto inoltre specificare che in questioni tanto delicate, transnazionali, delle quali il Popolo poco ne conosce, il referendum non appare come lo strumento più idoneo. Non a caso l’art. 75 della Costituzione della repubblica Italiana sancisce che “non è ammesso il referendum per le leggi (…) di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”.

    • Giacomo Cambiaso

      Il partito che continua a crescere costantemente nei paesi democratici è l’astensionismo, questo perché la gente si rende sempre piu’ conto che la democrazia è una menzogna. I primi nemici della democrazia sono gli sconfitti, come i remainer della brexit o i democratici degli US. Non comprendono la cosa piu’ importante del voto che cercano di violare e controvertire ovvero che domani toccherà a loro, visto il pericoloso precedente che s’impegnano a creare, doversi vedere violati del diritto democratico. Brexit giusta o sbagliata poco conta, il rispetto del voto e la sua sacralità violata sono problemi piu’ seri di qualunque esito di un qualunque voto. L’abbiamo visto con i greci ed il loro referendum, ma un piccolo popolo di ladri, evasori e sopratutto indebitati fino al collo era cosa ben diversa dal vedere la violazione della libertà di un popolo come quello britannico, da sempre paladino della libertà europea, direi l’esatto opposto del popolo tedesco che oggi comanda l’europa. Il voto appena compiutosi nel regno unito non era pro o contro brexit, i laburisti l’hanno perso pur promettendo regali sociali insostenibili per cui non avrebbero comunque avuto risorse e non promettendo una brexit soft o una non brexit. I media subito pronti a stravolgere la realtà raccontando una storia diversa che come scopo ha solo manipolare l’opinione pubblica invece d’informarla. Lo schifo dell’allegra banda laburista, tory remainer e media lo vediamo dare il meglio ora per Grenfell

    • Giovane Arrabbiato

      Peccato che la GB sia stata Euroscettica per la maggioranza della sua permanenza. A parte Heath, che l’ha portata dentro, tutti gli altri Primi Ministri sono stati fortemente critici dell’UE. La Thatcher in primis, ma anche Major, Blair e Brown che si sono rifiutati a ripetizione di unirsi all’Eurozona.
      La Brexit non è solo il risultato del maldipancia da globalizzazione; è il risultato di 40 anni di euroscetticismo diffuso oltremanica. All’UE i Britiannici non hanno mai creduto fino in fondo, dimostrato non solo dalla non-adesione all’Euro, ma da tutta una serie di regole particolari sull’immigrazione ed il budget.
      Troppo comodo ed anche intellettualmente disonesto cercare altre scuse o invocare l’elitismo intellettuale in teoria necessario per certe decisioni; mettetevelo bene in testa, l’unico modo che ha l’UE di aver successo è in maniera democratica, accettata da tutti i popoli che ne vogliono far parte perchè riesce a distrubuire prosperità ad essi. Se l’UE fallisce nella sua missione di prosperità, lamentarsi della volontà popolare che non crede più nel progetto europeo peggiorerà solo le cose. Domandare un processo elitista ed antidemocratico darà solo ragione ai movimenti antieuropeisti, perchè Europeismo diventerà sinonimo di democraticamente illegittimo e tradimento dei popoli europei. Se è questo che volete, l’UE è già morta, uccisa dalla stessa elite liberale che l’ha creata ma poi ha perso contatto con la realtà ed ha avuto una crisi isterica.

    • pietro manzini

      Gent.mo la mia opinione è che la storiella dell’elitismo, per quanto sovente venduta dai certi partiti politici dovrebbe essere riscritta. Sono almeno 30 anni che la UE ha intrapreso il cammino della democrazia. UN esempio: chi prende le decisioni a livello europeo? Il Consiglio della UE congiuntamente al Parlamento europeo. Il primo è formato dai nostri governi nazionali (che vivono su maggioranze parlamentari interne), il secondo lo votiamo direttamente noi cittadini europei. Si ‘arrabbi’ allora con il suo governo o i governi di altri Stati, oppure con i cittadini europei, se le decisioni prese dalla UE non le piacciano. Però questa si chiama democrazia. Le elites ‘senza volto’ contano in EU quanto contano negli Stati nazionali.

  2. roberto

    E’ incredibile la mole di interessi che si nasconde dietro il nulla della UE. Interessi che fanno mobilitare le armate di media e professori tutti uniti nel distruggere l’unicità dell’Europa che è tale in quanto “DIVERSA” e non omogenea. Sarà un caso che io come tanti entusiasti dell’Europa (intesa come area di commercio e di libero transito) siamo diventati scettici non appena si è palesato lo scopo di distruzione delle identità nazionali?

    • pietro manzini

      gent.mo Roberto, non trova contraddittoria l’affermazione che vi sia una ‘mole di interessi’ dietro il ‘nulla’ UE? Forse invece nella UE c’è molta ‘sostanza’. Invece che negarla o ripudiarla, proporrei di lavorare insieme per migliorarla. Questo nel rispetto delle identità nazionali, che nessuno vuole eliminare.

  3. Emanuele

    E’ nell’evidenza che per quanto fosse prevista una possibile uscita dall’UE per mezzo dell’articolo 50, questa eventualità era considerata quasi impossibile, visto che non ci sono regole certe che possano indicare un percorso preciso. Io credo che il caso Brexit abbia evidenziato una sola cosa: decisioni tanto importanti non possono essere demandate alla “pancia” dei cittadini assolutamente ignoranti sia dello stato delle cose sia delle conseguenze del loro voto. Se si volesse rispettare alla lettera il concetto di Democrazia, a questo punto la GB dovrebbe essere invitata ad uscire dall’Eu cosi come notificato. Ottimo è il riferimenti dei possibili eventuali giochini politici che ogni stato memebro potrebbe mettere in atto nel casso passasse l’idea che ogni membro possa notificare l’uscita e poi trattare un annullamento della stessa: la UE verrebbe ad essere un tavolo di trattative continue

  4. Laura

    Da giurista, mi chiedo se si sia pensato a una doppia soluzione. Mi spiego: il recesso non può essere e non deve essere arrestato per la ratio di assolutà gravità del procedimento implicita nel 50. Ma si potrebbe affiancare una negoziazione parallela di adesione, che subentri al recesso (che lascerei dunque non negoziato). Questo potrebbe permettere una nuova posizione del GB nell’UE e mantenere la serietà dell’art.50. Avvantaggiando di fatto l’Unione.

    • pietro manzini

      Gent.ma, rispondo alla giurista: in effetti è lo stesso art. 50 (ultimo paragrafo) che prevede che – una volta usciti- si possa rientrare. All’uopo si deve passare per la ordinaria procedura di accesso prevista dall’art. 49. Quindi non ci sono ostacoli giuridici. Però quelli politici mi sembrano insormontabili. Una volta uscito UK non vorrà rientrare (almeno non in questa generazione), e anche i paesi UE, prima di riprendersi gli amletici inglesi, ci penserà due volte.

  5. Maurizio Cocucci

    Non è nella mentalità britannica fare passi indietro e rimangiarsi gli impegni assunti. Il referendum era di tipo consultivo ma hanno preso atto del risultato e quindi proseguiranno, a prescindere da eventuali cambiamenti di governo. Interessante comunque il punto riguardante l’aspetto giuridico in quanto si può estendere anche a quello relativo ‘all’uscita dall’euro’, soluzione non prevista dai trattati, diversamente dall’uscita dall’Unione Europea, e però invocata da alcuni politici. E’ possibile cioè abbandonare l’euro ma rimanere nella UE? La risposta è la stessa che è presente in questo articolo riguardante l’annullamento della Brexit, ovvero se tutti i Paesi fossero d’accordo non ci sarebbero ostacoli, ma se così non fosse un Paese che al momento fosse nell’area euro avrebbe la sola possibilità di affidarsi all’articolo 50 e quindi uscire del tutto, mercato unico compreso. Tra l’altro sarebbe logico dato che il solo abbandono della moneta unica non comporta liberarsi dei vincoli di bilancio che sono sanciti da diversi trattati sottoscritti, a prescindere dall’adozione o meno dell’euro. Ripudiare l’euro oltre ai trattati relativi a vincoli di bilancio e pensare però di rimanere della UE sarebbe un controsenso.

  6. Henri Schmit

    Non è la Brexit un modo di rimangiarsi la parola data? L’errore dell’UE è il principio dell'”ever closer Union” invece di una costituzione confederale (significa che la sovranità rimane negli stati) con regole prestabilite che permettono di uscire o solo di ritirarsi di certi programmi a chi cambia idea, e altre regole che permettono di espellere o sospendere temporaneamente chi non sta alle regole comuni. Sospendere significa non assicurare più certi benefici economici. Esattamente quello che si prepara contro gli stati recalcitranti in materia di ricollocamento dei rifugiati. Per questo servono le velocità differenziate, la geometria variabile.

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