Un lungo processo di integrazione
Ringraziamo i lettori dei commenti ai due articoli sullo “ius soli temperato” pubblicati su lavoce.info del 20 giugno e 4 luglio. Il nostro obiettivo era quello di dimostrare che il tema della cittadinanza non è immutabile nel tempo, ma varia da paese a paese e a seconda del contesto storico.
In questo momento, l’Italia ha una delle normative più rigide a livello europeo per quanto riguarda i minori e una soglia molto elevata per la naturalizzazione degli adulti (10 anni), allungata ulteriormente da ritardi amministrativi.
Sottolineiamo qui tre questioni poste da chi si oppone alla riforma della legge 91 del 1992.
In primo luogo, ci si chiede se la concessione della cittadinanza vada intesa come un automatismo cronologico o un traguardo attraverso la condivisione culturale e di valori. In realtà, nell’attuale normativa è contenuto solo il primo aspetto, mentre la proposta di riforma introduce il principio dello “ius culturae”, caso unico in Europa. Per gli adulti, pur non essendoci un test specifico per la naturalizzazione, l’esame di lingua italiana di livello A2 è già previsto per l’ottenimento del permesso di soggiorno di lunga durata (dopo 5 anni di residenza).
Secondo aspetto. L’approvazione della legge stimolerebbe una ulteriore invasione di migranti verso l’Italia? Sembra un sillogismo un po’ esagerato: chi rischia la vita per attraversare il Sahara e il Mediterraneo si pone obiettivi minimali di sopravvivenza o al massimo di possibilità di soggiorno.
Terzo aspetto. Numero di immigrati e naturalizzazioni sono strettamente correlati, a volte in maniera inversamente proporzionale (in Olanda il numero dei nuovi cittadini ha superato quello degli immigrati). Si tratta di un processo naturale e dello sbocco di un percorso di integrazione che deve essere sostenuto da politiche nazionali e locali. L’Italia vive oggi un processo di transizione migratoria che altri paesi – come Francia, Germania – hanno affrontato in precedenza.
Infine, certamente una maggiore omogeneità a livello europeo sarebbe auspicabile, ma sappiamo bene che non avverrà: la stessa Commissione europea ha sottolineato che la cittadinanza è materia di competenza dei singoli stati membri. Dunque, spetta ai singoli paesi adattare le proprie legislazioni al contesto attuale e ai mutamenti in corso.
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