Migliorano le prospettive di crescita delle economie dell’area euro. E anche da Atene arrivano buone notizie. Ma è presto per dire che la Grecia ha davvero voltato pagina. C’è il rischio che il governo abbandoni gli obiettivi di riforma del paese.

La crescita ritrovata

Negli ultimi mesi sembra essere tornata la fiducia sulle prospettive di crescita delle economie dell’area euro e, infatti, le stime per il secondo trimestre del 2017 sono state rialzate al 2,3 per cento su base annuale. Molti altri indicatori suggeriscono un certo ottimismo: dal rafforzamento dell’euro, alla discesa del tasso di disoccupazione, alla riduzione della quantità di crediti deteriorati nel sistema bancario.

Anche da Atene arrivano buone notizie. Come si vede dalla figura 1, l’economia è tornata a svilupparsi: nel secondo trimestre del 2017 si è registrato il secondo consecutivo incremento del Pil per una crescita, su base annuale, dello 0,8 per cento.

Figura 1

Gli indici Markit, che registrano il grado di fiducia dei manager nel settore manifatturiero, sono ai massimi degli ultimi nove anni. Gli obiettivi di bilancio previsti nell’ultimo accordo di salvataggio, non senza qualche sorpresa, sono stati centrati e una qualche forma di ristrutturazione del debito è data oramai per scontata. Soprattutto, a fine luglio la Grecia è tornata a emettere titoli di debito pubblico a cinque anni sui mercati internazionali, per circa 3,5 miliardi di euro, riscontrando una domanda di gran molto superiore all’offerta.

Tuttavia, è presto per stabilire se la Grecia abbia voltato davvero pagina. La figura 2 la mette a confronto con Germania, Spagna e Italia dall’inizio della grande recessione a oggi. Mentre la Germania riprende a crescere già nel 2008 e ha ora un reddito pro capite di circa 10 punti percentuali superiore a quello pre-crisi, Spagna, e in parte Italia, dopo avere perso circa 10 punti percentuali di reddito pro capite, hanno ricominciato a risalire la china già a partire dal 2014. La Grecia ha invece sofferto ben otto anni di recessione e, dopo una riduzione del Pil pro capite di circa 25 punti percentuali, ha stentato a riprendersi se non per i dati positivi degli ultimi due trimestri. La disoccupazione è tuttora molto alta, superiore al 20 per cento, mentre il debito pubblico, nella massima parte verso creditori ufficiali, è pari a ben 314 miliardi di euro.

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Figura 2

Campanelli d’allarme sulle riforme

Il rischio è che i primi germogli di crescita possano distogliere il governo dagli obiettivi di riforma del paese, nel tentativo di riconquistare il consenso di un elettorato che lo ritiene troppo vicino alla troika. Quest’estate i primi campanelli di allarme. Il governo ha in parte vanificato una recente riforma dell’università, abolendo misure che impedivano agli studenti di ripetere gli esami (in Italia ne sappiamo qualcosa), che favorivano la mobilità dei docenti e consentivano di creare programmi post-laurea in inglese, pensati per attrarre studenti stranieri. Mentre la recente riapertura del processo contro l’ex presidente di Elstat, l’agenzia nazionale di statistica, Andreas Georgiu, accusato di avere riportato valori di deficit superiori a quelli reali per forzare misure di austerità, segnala l’influenza della sfera politica su quella giudiziaria. Infatti, il processo è stato riaperto nonostante l’agenzia statistica europea avesse confermato la correttezza delle procedure seguite da Georgiu. Infine, è di soli pochi giorni fa l’annuncio di sospensione di ogni attività in Grecia da parte di Eldorado Gold, società mineraria canadese e tra i principali datori di lavoro nel paese, che ha così denunciato i ritardi nella concessione di permessi nonostante le tante promesse apparentemente ricevute dal governo. Non sorprende quindi che la Grecia sia superata da ben 137 paesi nella classifica Doing Business della Banca Mondiale.

D’altronde, se è pur vero che la Grecia ha affrontato una crisi più severa di quella vissuta dagli Stati Uniti durante la grande depressione, è anche vero che, come ha scritto l’ex-capo economista del Fmi Kenneth Rogoff, ha anche beneficiato di uno dei programmi di salvataggio più generosi della storia recente, del valore di circa 326 miliardi di euro dal 2010. E, infatti, se, come nella figura 3, estendiamo l’orizzonte temporale fino al 1999, anno di introduzione dell’euro, ci si accorge che è il nostro paese, e non la Grecia, il paese che registra i risultati più deludenti in termini di crescita della ricchezza pro capite. Difficile, quindi, per la Grecia dare tutte le colpe all’euro, alla troika e alle misure di austerità.

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Figura 3

La scienza economica insegna che le riforme andrebbero fatte nelle fasi di espansione, per evitare che misure di austerità finiscano per aggravare la situazione, oltre che pesare su famiglie e imprese già provate. Il contrario di quanto fatto dalla Grecia e da molti altri paesi europei. Speriamo che la storia non si ripeta.

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