Tra i più interessanti contributi di Thaler, c’è la proposta di una nuova strategia di regolamentazione fondata sul “paternalismo libertario”. Formulata grazie al sodalizio con un giurista, affida al regolatore il compito di migliorare la vita delle persone.

L’economia e la psiche  

A pagina nove della sua ultima fatica (Misbehaving), Richard Thaler dice che l’economia comportamentale è molto più interessante e divertente della “regular economics”; non è affatto una scienza triste e anzi il lettore è invitato ad abbandonare il volume quando smette di divertirsi. In realtà, scorrendo le pagine si scopre un percorso di vita ricco di stimoli, creatività e suggestioni, ma anche di difficoltà nello scontrarsi con un ambiente accademico che ha faticato a riconoscere che “non viviamo in un mondo di “Econs”, viviamo in un mondo di esseri umani. E poiché anche la maggior parte degli economisti sono esseri umani, sanno bene che non vivono in un mondo di Econs”. In altre parole, la scienza economica – ma vale anche per altri campi come le scienze giuridiche – non può avere come punto di riferimento un destinatario stilizzato astrattamente (appunto un Econs), dovendo, al contrario, guardare a uomini e donne nel contesto nel quale manifestano il loro essere, e sui quali inevitabilmente incidono fattori emotivi e limiti cognitivi.

Grazie alla capacità di decifrare le interazioni tra i territori della psiche e della biologia, avvalendosi del grande contributo delle scienze comportamentali si possono analizzare questi limiti, liberarsi dalla dittatura della razionalità (noi tutti siamo un po’ disturbati…) e immaginare scelte di policy che incidano sulla realtà così come è fatta e non come si immagina possa presumibilmente manifestarsi secondo modelli precostituiti.

E infatti l’economia comportamentale deve significativi contributi a economisti come Herbert Simon (anche lui premio Nobel per l’economia nel 1978), a psicologi come Robert Cialdini, ma soprattutto a un’amicizia che ha “cambiato il mondo”, e cioè al lungo e travagliato sodalizio tra Amos Tversky e Daniel Kahneman raccontato nella recente e appassionante storia di Michael Lewis (The Undoing Project).

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Il paternalismo libertario

Ma c’è un altro importante sodalizio che ha illuminato la strada di Thaler, rendendolo famoso ben prima del Nobel, e cioè quello tra lui stesso e un giurista, Cass Sunstein, sfociato in un volume (Nudge. La spinta gentile) dove, applicando i risultati dell’economia comportamentale, si proponeva una nuova strategia di regolamentazione fondata non sul tradizionale binomio “command and control”, ma su un nuovo “paternalismo libertario”, dove, per dirla con le loro parole, il regolatore non deve imporre la norma e stabilire divieti, ma agire creando una architettura delle scelte, ricorrendo a incentivi e pungoli per migliorare la vita delle persone, contribuire a risolvere i loro problemi, continuando però a difendere la libertà di scelta dell’individuo.

Una strategia non certo esente da critiche, e sulla quale si è sviluppato un appassionato dibattito, ma che, e qui veramente possiamo comprendere tutto il valore delle intuizioni di Thaler, è stata concretamente declinata in ordinamenti e sistemi sparsi per tutto il mondo, con politiche regolamentari in molti campi, dalla finanza alla sanità, dalla tutela alimentare alla lotta alla povertà. Ad alcune di queste esperienze applicative Sunstein e Thaler hanno partecipato direttamente, in prima persona o come consulenti, ed è innegabile una costante e continua diffusione del “paternalismo libertario”.

Un approccio che sicuramente merita ancora verifiche e ulteriori sperimentazioni, e gli stessi Thaler e Sunstein in un recente lavoro scritto insieme ad altri economisti le invocano e mostrano molta prudenza nel guardare al nudging come sostituito delle tecniche di regolazione tradizionali.

Non vi è dubbio, però, che, come sosteneva tempo fa Matteo Motterlini se la nudge revolution non rappresenta certo la panacea per tutti i mali, “per chi si occupa di politiche pubbliche e dell’arte del buon governo tenere nel giusto conto le nostre fragilità, le emozioni e i percorsi dell’irrazionalità funziona”.

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