Alla conferenza Wto di Buenos Aires si è deciso molto poco. A tenere sotto scacco l’Organizzazione del commercio è oggi l’amministrazione Trump. Ma il venir meno degli accordi e delle regole multilaterali finirebbe per danneggiare tutti, Usa compresi.
Le difficoltà del Wto
Si apre un nuovo episodio nella saga delle misure protezionistiche minacciate da Donald Trump. Nel mirino si trovano lavatrici e pannelli solari di importazione, che potrebbero essere colpiti da dazi, rispettivamente fino al 50 e 30 per cento. La decisione ha suscitato risposte molto dure da parte degli altri paesi. I leader europei, direttamente dai microfoni del World Economic Forum di Davos, hanno criticato aspramente l’iniziativa. E nel frattempo, Corea del Sud e Cina, due tra i principali fornitori di questi beni, promettono di portare la questione in sede Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio), che ha tra gli altri compiti quello di garantire il rispetto delle regole commerciali concordate a livello multilaterale. Ma l’organizzazione non vive una fase di grande successo, come dimostrano gli scarsi risultati delle ultime negoziazioni.
Non vi erano grandi aspettative sull’esito della conferenza ministeriale di Buenos Aires tenutasi dal 10 al 13 dicembre 2017, dove i 164 paesi membri non sono riusciti neppure a concordare il testo di una dichiarazione finale, per quanto generica. Si era già capito in ottobre alla pre-conferenza di Marrakesh che sarebbe stato difficile, se non impossibile, concludere i negoziati sui tavoli rimasti aperti dalla precedente ministeriale di Nairobi del 2015: i sussidi alla pesca, che portano all’esaurimento delle risorse ittiche del pianeta; i sostegni interni all’agricoltura e l’accesso al mercato, con il connesso problema del regime dello stoccaggio per ragioni di sicurezza alimentare; il completamento di qualcuno dei temi del Round di Doha di interesse per i paesi in via di sviluppo, o anzi – secondo l’orientamento dei paesi industrializzati che ritengono di fatto defunto il Doha Development Round – l’apertura di nuovi tavoli negoziali su temi più attuali.
Il direttore generale Roberto Azevedo e la commissaria UE Cecilia Malmström si sono lamentati per la scarsa flessibilità di molti paesi, che ha portato a raggiungere modeste decisioni solo sulla continuazione dei negoziati per mantenere aperto il commercio elettronico (nel parallelo foro imprenditoriale Jack Ma di Alibaba ha sostenuto che nessuna disciplina è necessaria o auspicabile) e per cercare di concludere un accordo sulla pesca per la prossima ministeriale del 2019.
Ci si deve chiedere quali siano le prospettive future della Wto quale perno di regole condivise per un commercio multilaterale non discriminatorio e quale foro idoneo ad affrontare nuove tematiche. D’altra parte, si tratta di regole che bene o male funzionano, che disciplinano il 97 per cento degli scambi mondiali tra 164 paesi. Di poche settimane fa, è il periodico rapporto delle principali organizzazioni economiche che segnala un calo delle misure restrittive (l’onda lunga del protezionismo post-crisi finanziaria) e una ripresa degli scambi, pur in presenza di un certo incremento dei procedimenti anti-dumping da parte di molti paesi.
Protagonismo argentino
A Buenos Aires l’adesione al sistema, incluso quello di soluzione delle controversie, è stato largamente ribadito sia nel foro imprenditoriale, che da parte di attori quali l’Unione europea e la Cina, ma anche – ed è una importante novità – da parte dei paesi latino-americani, capitanati dal presidente argentino. Della riunione di Buenos Aires (prossima sede anche del G-20 del 2018) Mauricio Macri ha voluto fare il simbolo della ritrovata adesione del suo paese ai principi del libero scambio, per un rilancio della sua economia.
Auspice di nuovo l’Argentina, a Buenos Aires sono ripartiti su basi più promettenti che nel passato i negoziati col Mercosur. D’altra parte, il regionalismo economico è ormai promosso attivamente anche dall’Unione europea e appare più come un complemento al Wto che un’alternativa al suo sistema. Tanto più che gli accordi “à la carte”, i cosiddetti plurilaterali, sganciati dal principio del consenso e della universalità, stentano a decollare, nonostante recenti esempi positivi come Ita (International Technology Agreement) ed Epa (Environmental Product Agreement) che hanno portato all’abolizione multilaterale dei dazi nei due settori.
Usa convitato di pietra
Vi era a Buenos Aires un convitato di pietra: l’amministrazione Trump, con la sua politica di abbandono del multilateralismo e insieme di attacco al regionalismo (Nafta, Korus). Già all’ultimo G-20 in Germania si dovette ricorrere a una inedita dichiarazione a 19 sui temi del commercio internazionale lasciando fuori gli Usa.
Le posizioni espresse da Robert Lighthizer per gli Usa sono state meno “virulente” di quanto si temeva. Però si è concentrato solo sulle critiche all’attuale sistema – dall’eccesso di focus sulle controversie alle richieste di esenzione dalle regole da parte di paesi che ormai non hanno più titolo per pretendersi “in via di sviluppo”. Mentre si è ben guardato dal proporre iniziative o formulare proposte.
Soprattutto, gli Stati Uniti alimentano una radicale incertezza sul meccanismo di soluzione delle controversie, perla e perno di tutto il Wto, bloccando da mesi il consenso al processo di nomina dei giudici del suo Appellate Body. Tre posti su sette sono ormai vacanti: così non solo si rallentano le procedure, ma si rischia una chiusura per mancanza di giudici, se la situazione dovesse proseguire.
Gli Stati Uniti si dichiarano insoddisfatti del suo funzionamento, lamentando un non meglio precisato “attivismo giudiziario”, nonostante la serie di vittorie riportate di recente contro Cina, India, Messico, Indonesia. Tuttavia, non precisano quali riforme vorrebbero. Con questa posizione, tengono in ostaggio l’intero sistema finché si renderanno conto di danneggiare se stessi (considerato che le imprese americane potrebbero essere le prime vittime di discriminazioni in accordi regionali da cui gli Usa si tengono fuori, per esempio il Tpp a 11) o qualche altro protagonista di peso non si deciderà a “restituire il colpo”.
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giovanni
Cina e Germania sono insorti contro la nuova politica di Trump. Entrambi i Paesi hanno nei riguardi degli USA dei surplus di decine se non centinaia di miliardi ogni anno. In altre parole le porte aperte agli scambi internazionali vanno bene perché sono esportatoori formidabili, ma non altrettanto importatori. E quindi, a mio modo di vedere, Trump e gli USA stanno cercando di riequilibrare un poco la situazioni. In altre parole intendono diminuire questo squilibrio che è alla base di una sana economia e di un corretto rapporto tra nazioni. I Tedeschi dimenticano che per colpa delle sanzioni imposte loro dopo la 1° guerra mondiale, si sono preparate le premesse per la seconda guerra mondiale. In altre parole gli accordi debbono essere equilibrati ed essere win-win. Un accordo dove uno è win e l’altro è lose prima o poi viene a creare problemi. Come ora.