Dopo il 4 marzo l’Italia è politicamente divisa in due. Il risultato dipende forse anche dal fatto che flat tax della Lega e reddito di cittadinanza del M5s avrebbero effetti distributivi diversi tra aree geografiche. Così restano misure inconciliabili.
Chi vince e chi perde con flat tax e reddito di cittadinanza
Le elezioni politiche del 4 marzo hanno restituito un’Italia divisa in due: nel Nord ha prevalso il voto a favore del centro-destra e in particolare della Lega, mentre nel Sud il M5s ha raccolto i maggiori favori.
La forte differenza territoriale nel voto può dipendere anche dal fatto che le principali proposte dei due partiti avrebbero effetti distributivi molto diversi tra aree geografiche. Il centro destra ha puntato molto sulla flat tax, mentre il cavallo di battaglia del M5s è stato senz’altro il reddito di cittadinanza.
La flat tax della Lega prevede un’aliquota proporzionale del 15 per cento e una deduzione per tutti i componenti familiari di 3 mila euro ciascuno fino a 35 mila e di 3 mila euro per ciascun figlio fino 50 mila euro, dopo non si ha più diritto ad alcuna deduzione. Il reddito di cittadinanza è garantito a coloro che guadagnano meno dei 6/10 del reddito mediano equivalente, cioè meno di 9.360 euro netti annui, e consiste in una integrazione per raggiungere quella cifra.
La proposta del M5s prevede la perdita del sussidio solo se il beneficiario dovesse rifiutare tre proposte congrue di impiego o recedere senza giusta causa dal contratto di lavoro per due volte nel corso dell’anno solare.
Come sarebbero ripartiti i guadagni tra le aree geografiche del paese? È stato già evidenziato come le zone che hanno votato per M5s siano a basso tasso di occupazione, contrariamente alle aree del Nord che hanno preferito la Lega.
Nella tabella 1 presentiamo quale sarebbe la suddivisione del totale dei benefici delle due proposte per area geografica. Nel caso della flat tax, come osservato anche da Carmelo Petraglia e Domenico Scalera, buona parte del risparmio di imposta (il 58 per cento del totale, cioè 34 miliardi su un totale di 58) andrebbe a favore delle famiglie residenti nell’Italia settentrionale e meno di un quinto a quelle residenti nel Mezzogiorno. Al contrario, il 58 per cento della spesa totale per il reddito di cittadinanza (cioè circa 9 miliardi secondo le previsioni di spesa dei proponenti, fino al doppio se si prende alla lettera il disegno di legge) sarebbe ottenuto dalle famiglie del Sud e solo un quarto andrebbe al Nord.
Tabella 1 – Ripartizione tra aree geografiche del risparmio derivante dalla flat tax proposta dalla Lega e della spesa per il reddito di cittadinanza proposto dal M5s
Fonte: nostre elaborazioni sul dataset Silc.
È interessante notare come le distribuzioni dei benefici da flat tax e reddito di cittadinanza siano molto simili alle distribuzioni dei voti sul territorio nazionale ottenuti da centro destra e M5s (figura 1 e 2). Alla Camera e al Senato il M5s ha avuto quasi la metà dei suoi voti totali al Sud, più del 30 per cento al Nord e quasi il 20 per cento al Centro. Specularmente, il centro destra ha preso più della metà dei voti al Nord, quasi il 30 per cento al Sud e quasi il 20 per cento al Centro. Quindi sembra esserci una correlazione positiva (non possiamo ovviamente parlare di nesso di causalità) tra benefici monetari ottenibili dalle proposte elettorali e voti ai due schieramenti che hanno vinto le elezioni.
Figura 1 – Ripartizione dei voti totali al centro-destra e del risparmio totale da flat tax per area
Figura 2 – Ripartizione dei voti totali al M5s e della spesa totale per reddito di cittadinanza per area
Due proposte inconciliabili
Da questi numeri si deduce un paese spaccato in due, dove i cittadini sembrano aver votato anche con un occhio al portafoglio: nel caso del centro-destra i cittadini del Nord chiedono meno presenza dello stato con una minore pressione fiscale; nel caso del Movimento 5 stelle i cittadini del Sud chiedono una maggiore spesa pubblica con l’istituzione del reddito di cittadinanza.
Non può esser tuttavia trascurato un ulteriore elemento che può avere spinto l’elettorato: la forte volontà di cambiamento della classe dirigente, soprattutto al Sud.
Come è evidente, le due proposte sono difficilmente compatibili: in un caso una riduzione di imposte, nell’altro un aumento di spesa. Ma sono scarsamente compatibili anche perché entrambe produrrebbero un forte incremento del deficit. Prendendole sul serio, se realizzate assieme lo aumenterebbero di 80-90 miliardi.
È possibile immaginare versioni più moderate e realistiche dal punto di vista finanziario delle due proposte, ad esempio riducendo il numero degli scaglioni Irpef, o applicando una flat tax solo agli incrementi di reddito da un anno all’altro, o potenziando il reddito di inclusione già in vigore.
Resta, però, l’impressione di due modelli di intervento molto diversi e difficilmente conciliabili. Con il rischio che la sintesi venga trovata a spese degli equilibri di bilancio.
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Savino
I cittadini che votano solo ed esclusivamente in base al loro portafoglio debbono necessariamente e per forza trovare ascolto da parte della politica? L’ arte della politica e l’esercizio istituzionale del governo sono bene comune (noi) o potafogli privati (ego)?
Marco
Hai ragione: meglio che la politica governi in base al portafoglio dei politici anziché a quello dei propri elettori !!!
Savino
il rancore e l’invidia non sono categorie nè della politica nè dell’economia
Michele
Analisi un po’ semplicistica, non si tiene conto della diversa distribuzione dei benefici delle due proposte per fasce di reddito, oltre che per aree geografiche. Così facendo si alimenta l’equivoco di fondo su chi sia il vero beneficiario, ad esempio della flat tax: i beneficiari non sono le famiglie del nord – come sembra dire l’articolo – ma le fasce di contribuenti più ricchi al nord, centro e sud. Altrimenti si alimenta soltanto la retorica leghista e la disinformazione.
arthemis
“beneficiano le fasce di contribuenti più ricchi al nord, centro e sud”: è proprio questo il punto, la distribuzione geografica dei contribuenti più ricchi non è uniforme e al nord vi sono (in assoluto e in percentuale) più famiglie che -potenzialmente- trarrebbero beneficio dalla flat tax.
Michele
La discriminante maggiore non è quella geografica, ma quella per censo. Dalla flat tax ne traggono il maggior beneficio i 34.022 contribuenti che nel 2015 hanno percepito redditi superiori ai 300.000 €, in quanto passano da una aliquota irpef del 43% al 15%, per la quota di reddito eccedente 75.000€. Lo stupefacente è quanti voti abbia preso la destra con un simile programma, da elettori che quei redditi neanche se li sognano.
Antonio Zanotti
Gli studi sulla economic voting si stanno diffondendo anche in Italia e dimostrano correlazioni fra situazione economica (in genere rappresentata dal tasso di disoccupazione) e ‘spostamenti’ di voto, mettendo in secondo piano vecchie affiliazioni ideologiche. Apparentemente sembrano scelte razionali, poi quando si distribusicono secondo la logica del ‘panem et circenses’, allora qualcosa non funziona
Giuseppe G B Cattaneo
Ricordo una vecchia proposta di M Friedman ripresa da A. Atkinson -The Basic Income/Flat Tax Proposal – e da Rizzi e Rossi dove Flat tax e UBI sono collegati, anzi sono necessari uno all’altro per fare riforma fiscale omogenea. Naturalmente c’è qualche piccola differenza con le stupidaggini proposte da Lega e M5S