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Ciò che unisce i populismi di destra e di sinistra

Un saggio di Stefano Feltri ci aiuta a capire meglio come si è arrivati alla vittoria elettorale di Lega e M5s. Analizzando crisi e ruolo delle élite fino alla globalizzazione di cui prendere i benefici senza pagarne i costi. E con uno sguardo al futuro.

Dalla crisi al populismo

Solo nelle prossime settimane sarà chiaro il quadro politico uscito dalle elezioni del 4 marzo. Per il momento un’ipotesi che non può essere esclusa è quella di una collaborazione tra M5s e Lega, i due partiti populisti e sovranisti. Per capire meglio come si è arrivati a questo punto e cosa accomuna i due partiti, ci può aiutare un libro di Stefano Feltri, vice-direttore del Fatto Quotidiano, “Populismo sovrano”. Premetto che Stefano è stato mio studente, ma sono certo che questo fatto non mi faccia velo nel raccomandare la lettura del suo saggio.

Il libro è denso di idee e non è semplice farne un riassunto. Mi limiterò a illustrare solo alcuni dei concetti principali.

Da dove nasce il successo dei movimenti populisti? Certamente la causa immediata è la crisi della grande recessione e l’insicurezza che ha lasciato in una fascia rilevante della popolazione. Come spesso è accaduto in passato, le crisi generano domanda di assicurazione e a tale domanda rispondono i movimenti populisti. Quelli di destra vedono il problema nel cosmopolitismo, nella società multiculturale, negli immigrati. Quelli di sinistra vogliono recuperare il controllo delle risorse per garantire le protezioni del welfare state sviluppate nel Novecento.

Ma c’è un’altra dimensione da non trascurare, secondo Feltri, ed è quella del ruolo delle classi dirigenti, delle élite. Nel tempo, sono diventate sempre più globali e autoreferenziali. I loro membri hanno perso i legami con le comunità da cui provengono. Le élite hanno imposto le loro priorità: raccolta differenziata, stile di vita salutare, divieto di fumo nei luoghi pubblici. Per chi non ne faceva parte ci sono state solo espressioni di vaga simpatia, incarnate dal linguaggio politicamente corretto. La meritocrazia da esse predicata è divenuta sospetta, perché in primo luogo implica che chi è parte delle élite meriti di esserlo.

Quando le élite non sono state più capaci di garantire sicurezza e benessere, la delega a loro conferita è stata ritirata dagli elettori. Due le possibili soluzioni proposte dai movimenti populisti: una classe dirigente più simile agli elettori – e in tale ottica la mancanza di titoli di studio o una scarsa esperienza lavorativa diventano un fattore positivo – o la democrazia diretta, cioè i referendum. In entrambi i casi, la democrazia parlamentare, screditata, lascia il posto alla mitica volontà popolare espressa dalla sapienza della rete o dall’uomo forte – non a caso Lega e M5s non nascondono l’ammirazione per Vladimir Putin.

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Benefici senza pagare costi

Un’altra idea importante contenuta nel libro è che non è corretto vedere i movimenti populisti come sostenitori di società e economia chiuse. Si rendono conto che nemmeno i loro sostenitori sarebbero disposti a rinunciare ai vantaggi che la globalizzazione ha portato. Promettono invece di mantenerne i benefici senza pagare alcun prezzo. La negazione dei compromessi, del calcolo dei costi e dei benefici delle varie opzioni è un altro loro elemento caratterizzante. La Brexit ne è un esempio: i suoi leader promettevano la permanenza nel mercato unico europeo, limitando al contempo la libertà di movimento delle persone. La lunga trattativa tra governo britannico e UE mostra come non fosse che un’illusione. Ma anche se l’accordo finale fosse quello migliore per il governo britannico, il Regno Unito avrebbe in ogni caso perso la capacità di incidere sulle regole della Unione europea. La maggiore sovranità rispetto ad alcune politiche non si otterrebbe senza costi.

Proprio per il rifiuto ad analizzare costi e benefici, a riconoscere i vincoli di bilancio, le ricette populiste spesso si limitano a fornire benefici di breve periodo, lasciando costi da pagare nel futuro. Gli anziani sono il target ideale di tali politiche e non sorprendentemente la misura che mette d’accordo Lega e M5s è il progetto di riformare la legge Fornero.

In realtà, argomenta Feltri, i movimenti populisti non vogliono ammettere che la sovranità non può mai essere assoluta. Un caso emblematico è l’euro, bersaglio preferito da populisti di destra e di sinistra. Con l’euro la politica monetaria è stata trasferita alla Banca centrale europea che risiede a Francoforte e la politica fiscale è stata piegata al rispetto di alcuni accordi come il Fiscal Compact. Come si è visto negli anni scorsi, ciò ha lasciato alcuni governi nazionali con pochi strumenti per affrontare le crisi. Da qui la richiesta di riprendersi la sovranità monetaria e fiscale. Ma, paradossalmente, non si può uscire dall’euro con un processo democratico e non solo perché i trattati europei non lo prevedono. Il vero problema è che, in caso di referendum sull’uscita dall’euro, la corsa agli sportelli che ne potrebbe conseguire, rischierebbe di far fallire le banche. Un altro esempio è quello del referendum greco del 2015, alla fine del quale il governo Tsipras dovette accettare condizioni persino più gravose di quelli che i cittadini avevano rifiutato.

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A mio avviso, l’analisi di Feltri ci indica alcuni fattori da osservare per capire se i partiti non populisti sapranno rientrare in partita. Il primo, ovvio, è la capacità di governare bene ogni realtà, a partire da quelle locali. Il secondo è la capacità di aprire le loro classi dirigenti: i cerchi magici sono diventati indigeribili per molti elettori, indipendentemente dalla qualità di chi ve ne fa parte. Il terzo fattore sono i costi della politica. Sappiamo bene che sono trascurabili rispetto al bilancio dello stato, ma il loro valore simbolico è enorme. Non avere fatto quasi niente negli anni passati su questo fronte è stato letale per chi ha governato.

La Torre di Babele è crollata, dice Feltri, ma non abbiamo alternativa: nei calcinacci possiamo ancora trovare i materiali per ricominciare a ricostruirla.

Stefano Feltri, Populismo sovrano, Einaudi, 2018, pag. 152, euro 7,99.

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19 commenti

  1. Savino

    Per fortuna, una casalinga non potrai mai sostituire la Merkel.
    In realtà, questo sarebbe l’obiettivo finale di ogni populismo, che ha come collante solo la rabbia.
    Ora, essere èlite non è una questione di portafoglio, è una questione di conoscenza e preparazione.
    Se la “ggente” ha buttato i libri e i giornali nel cestino, non legge neanche più i giornali sportivi storici, in tv vede solo la spazzatura ad ogni ora e si è buttata a capofitto sull’imbroglio del secolo che è Facebook non dobbiamo meravigliarci delle bestialità che pensa e di come agisce di conseguenza.

    • Sergio Calzone

      D’accordo con lei, Savino, al 100%!

      • Sandro

        Assolutamente d’accordo con Savino. Aggiungo che i conti sulla miseria bisognerebbe farli a livello globale, non nel proprio orticello.

  2. Marcomassimo

    Se populismo vuol dire avere l’aspirazione ad un lavoro decente ed un reddito decoroso, ed a non vedere stravolta una geografia etnica e sociale nel corso di pochi decenni, non è certo una novità e si può dire che la Storia è tutto un susseguirsi di populismi fin dai tempi dei Gracchi; pensare che queste elementari aspirazioni umane si vaporizzassero nella globalizzazione è stato un atteggiamemente veramente ridicolo segnale di profonda ignoranza; comunque il titolo del libro è ancora nettamente fuori tempo perchè a tutt’oggi vige chiaramente un “elitismo sovrano”

  3. Virginio Zaffaroni

    Sto leggendo il libro di Stefano Feltri e lo trovo di grande interesse. Feltri pone tra l’altro in evidenza come i teorici del ritorno alla sovranità (in particolare monetaria) preparano all’Italia un futuro di tassi alti e di dominio assoluto del tanto odiato mercato. Come corto circuito non è male.

    • oscar blauman

      Certo come la Svizzera per esempio, alla quale il 5S s’e’ ispirato per la politica ambientale, per parlare di un nostro vicino. O come la Polonia e la Danimarca per rimanere nell’euro. Veramente una teoria dimostrata dall’esperienza.

  4. Leggerò il libro. Scrivo dunque commentando l’articolo che lo presenta. Dico subito che due su tre delle condizioni / difetti da superare per chi ha governato “per rientrare in partita” non mi convincono affatto. Se “aprire la classi dirigenti” è un requisito indispensabile (e non solo aprire quelle, aprire la società tutta, l’economia, le professioni, etc.), quanto agli altri due elementi: A) la capacità di governare bene a partire dalle realtà locali…: fosse questo, come si spiega il trionfo M5S e/o leghista in realtà governate mediamente molto bene (e non solo per gli standard italiani)? Si pensi al caso di Torino, paradigmatico: una città veteroindustriale è stata trasformata in una città del terziario avanzato in 25 anni, eppure (oppure proprio per questo) ha vinto Appendino e non Fassino; B) cosa vuol dire che non è fatto “quasi niente” sui costi della politica? E’ stato forse fatto troppo: indennità per amministratori locali ridotte oltre ogni dire, finanziamento ai partiti abolito, vitalizi (giustamente) trasformati in pensioni contributive, una riforma costituzionale che avrebbe ridotto di un terzo i parlamentari nazionali, soppresso Cnel e province… Mi si spiega cos’altro si doveva fare e si vuol fare ancora? (Sì si può ridurre le indennità dei parlamentari visto che abbiam deciso di tenercene 945, ma anche qui: siamo sicuri che sia saggio? Non sarebbe meglio riprendere il tentativo di averne molti meno ben pagati?).

  5. Sergio Calzone

    Non capisco bene: “populismi di destra e di sinistra”, si dice. Ma chi sarebbero i populisti di sinistra? I cinque stelle? Di sinistra? Hanno, sì, “un’ala” sinistra, ma, in quanto a esserlo essenzialmente, be’, ci vuole coraggio a pensarlo!

  6. Henri Schmit

    Premetto che condivido quasi sempre le analisi del prof. Panunzi su Lavoce.info e quelle di S. Feltri quando interviene su La7. L’articolo tuttavia non mi convince di comprare il libro perché l’analisi ha una serie di difetti: sembra più la descrizione di un fenomeno che non l’analisi del fenomeno; arriva pure tardi, troppo tardi, al punto di sembrare opportunistico. Il libro più letto in Europa è quello di Jan-Werner Müller “Was ist Populismus?” pubblicato 2 anni fa da Suhrkamp. Non so se Feltri lo cita. L’autore tedesco prova a fornire una definizione precisa e non dimentica di evidenziare i tratti populisti nelle politiche dei partiti dell’establishment. No Tories no Brexit. L’Italia ha il vantaggio di avere più di 2 populismi, una circostanza che obbliga – al più tardi dopo le ultime elezioni – di prenderli entrambi sul serio, non come proposte politiche ma come critica delle politiche tradizionali. Adesso tutti cominciano a contestare le caste politiche autoreferenziali riprodotte per cooptazione. Bisognava farlo quando si discuteva della grande riforma istituzionale, improntata esattamente su quello: Liste bloccate, maggioranze artificiose monolitiche, procedure e camere omogenee. Essere bravi senza titolo e garantire l’iniziativa popolare sono valori veri, non populisti. Non è finita, perché sotto sotto i movimenti “populisti” promuovono gli stessi modelli dell’establishment: noi pochi migliori (più onesti, più capaci, più meritevoli) rappresentiamo il vero sovrano!

  7. Mario Angli

    L’analisi perde di credibilità nel momento in cui si accusa i ”populisti” di preferire benefici nel breve termine rispetto a quelli nel lungo termine. Questo è un argomento comunemente utilizzato dall’elitismo liberale, ma dati alla mano, negli ultimi 3 decenni, quindi un periodo MEDIO-LUNGO, la classe media è occidentale è stata schiacciata. I benefici della globalizzazione, per l’80% degli occidentali non si sono materializzati né nel breve, né nel lungo periodo. In questo senso, l’istruita elite liberale è non solo inutile, ma bugiarda: accusa i populisti di danneggiare una crescita a lungo termine che non esiste, se non appunto per l’elite liberale stessa, che spesso scarica tutti i problemi derivanti dalle proprie politiche, immigrazione e libertà dei capitali in primis, sulla collettività. Dal terrorismo ai salvataggi bancari, l’elite liberale non paga da decenni. Ora il conto di lungo termine è servito. Saluti.

  8. Trovo una notevole contraddizione fra l’analisi di Feltri e il suo essere vice direttore di un giornale “sbracato “ nel sostenere acriticamente i populismi più beceri di cui lui parla

  9. bob

    il populismo è frutto di una crisi culturale. Il Paese dalla ” memoria perduta” o forse mai avuta, si dimentica che per 30 anni un frequentatore di bar del varesotto è stato elevato a statista ( Masaniello fu eliminato dopo una settimana)

  10. manfredini fiorino

    Sono un populista di 67 anni , ho un’ottima pensione ed essendo un sociologo devo dire che tutte le teorie proposte saranno intellettualmente stimolanti ma non nascono da una lettura seria della realtà. Della globalizzazione se ne sono avvantaggiate solo le multinazionali, l’alta finanza ,le banche gobali ecc. Il benessere di pochi e la povertà di molti.Sulla gente comune è stato scaricato di tutto :immigrazione, delocalizzazione ,lavoro precarioecc. I politici hanno assecondato ciò: corruzione,clientelismo ecc. Gli economisti queste cose non le capiscono!Nella mia dichiarazione dei redditi devo tenere gli scontrini ,poi li devo sommare e detrarre la franchigia di 130 euro e sulla cifra che rimane devo detrarre il 19% e poi pagato il commercialista vado a debito!!Questa è la realtà! Se il signor Feltri invece d’essere sempre in tv andasse a far la spesa nella GDO e chi insegna nelle università frequentasse i quartieri popolari…. Mi scuso se non voglio essere forbito nelle analisi….so benissimo come si può manipolare qualsiasi dato statistico.Le teorie non possono escludere ciò che nella realtà è dissonante. In questi giorni mi domandavo: perchè gli economisti invece d’intestardirsi sul discorso delle coperture non si impegnano nell’analisi e quantificazione delle disfunzioni economiche della società italiana e indicano dove e come tagliare gli sprechi? Invece di dire ciò che non si può fare passare al positivo: dove tagliare.

    • bob

      ..la statistica tutto sommato costa poco ma rende molto soprattutto in un Paese di analfabeti come questo. La globalizzazione se non ha come principale obiettivo la ridistribuzione della ricchezza prodotta non avrà futuro. Perchè il concetto stesso di globalizzazione presuppone di creare ricchezza con minori investimenti rispetto al passato

    • Virginio Zaffaroni

      La globalizzazione mondiale, quella buona, ha tirato fuori dalla povertà milioni di uomini e donne del terzo mondo. L’Unione Europea (suppongo che anche questa per lei sia demoniaca globalizzazione) ci ha portato a 70 anni di pace, diritti e libertà (e comunque il Paradiso in terra non l’hanno fatto ancora da nessuna parte).Lei che ha la mia età dovrebbe averlo chiaro. Invece lei guarda il suo particulare (legittimo) e lo usa per sparare su tutto il buono che in questi 70 anni è stato costruito (e qui sbaglia, ma di grosso). Il suo populismo (di cui sembra andare orgoglioso), se prendesse piede, preparerebbe per le prossime generazioni, quelle del 2040-2050, un mondo già visto ma che un “paese dalla memoria perduta” (cito Bob) ha dimenticato. E naturalmente, di tutto quanto non va in Italia la colpa…è della Merkel.

      • Riccardo D

        Faccio sommessamente notare che se la globalizzazione è stata un vantaggio solamente per le economie del terzo mondo, come tu scrivi, vuol dire che per noi occidentali è stata un fallimento, ergo abbiamo tutto il diritto di opporci ad un modello di società diseguale che a noi non ha dato benefici. Abbiamo tirato fuori dalla misera il terzo mondo per finirci noi? Non proprio un grande affare.
        E poi avete stancato con la storiella della pace, l’UE 70 anni fa non esisteva: se abbiamo avuto la pace è stato grazie alla NATO e in particolare alla pax americana. L’UE è un obbrobrio partorito nel 1992.
        Di quale mondo già visto parli? Ancora con lo spauracchio dei fascismi? La batosta elettorale non è bastata….

  11. Farside66

    Articolo e libro sono la dimostrazione più lampante di come le élite abbiano perso qualsiasi contatto con la realtà. Venite ai servizi sociali, fate un salto alla Caritas ecc. Vedrete poveracci che pur lavorando non arrivano a fine mese o dignitose persone della (ex) classe media terrorizzate dall’impoverimento a causa di una malattia, una separazione… e poi vi meravigliate che vincano i cosiddetti populisti? Quando uno sta annegando si aggrappa anche a un fuscello

  12. Henri Schmit

    Sono d’accordo sia con il commento di Manfredini Fiorino sia con la risposta critica di Virginio Zaffaroni. Non dimentichiamo che stiamo parlando del libro di Feltri. A giudicare dalla recensione del prof. Panunzi e delle poche pagine lette online il saggio mi sembra una raccolta di dotte banalità e conclusioni regressive. Nessun’analisi né concettuale né socio-politica. Le conclusioni superficiali a favore della democrazia rappresentativa sono pericolose perché implicano una rinuncia a correggere i difetti dell’esistente. Basta con i competenti autocertificati o plurititolati, viva l’iniziativa popolare propositiva in tutte le materie! Le due cose sono correlate, è il dilemma fra conoscenza e procedura democratica. Questo è l’opposto di quello che sembra sostenere Feltri.

  13. Henri Schmit

    Ho ascoltato oggi la presentazione fatta il 2 Marzo a Radioradicale del libro di SF, con il prof. Dottori e il Sen. Monti. Correggo quindi il mio precedente giudizio togliendo l’aggettivo dotto perché tutto quello detto dall’autore sono semplicemente banalità, luoghi comuni, alcuni inoltre clamorosamente sbagliati. La parte più interessante della registrazione è l’intervento del prof. di geopolitica che colloca entrambi i fenomeni, populismo e sovranismo, nella storia recente dell’impero ex sovietico. Il sen. Monti fornisce numerosi spunti interessanti e convincenti, ma non coglie il succo dell’intervento di Dottori che insiste sulla prevalenza duratura, anche nel prossimo futuro, della struttura statuale. Se quest’analisi fosse condivisa, l’ azione politica dovrebbe concentrarsi sull’efficienza economica e politica dell’attore nazionale. Condivido appieno quest’analisi. Per assurdo il sovranismo interpretato in questo senso con il populismo inteso come ammodernamento dei meccanismi democratici sulla base dei principi classici, da ideologie degenerative potrebbero allora diventare il programma comune di TUTTI veri democratici, europeisti, progressisti.

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