Le questioni sollevate dai lavoratori delle piattaforme digitali di intermediazione non si possono risolvere solo nei tribunali. Un nuovo campo di tutele e protezioni può essere recuperato proprio nel controllo e corretto utilizzo della tecnologia digitale.
Fenomeno conosciuto in continua evoluzione
La sentenza del Tribunale di Torino, sul ricorso presentato dai lavoratori di Foodora, si inserisce in una più ampia storica sequela di contrasti giudiziari riguardanti l’utilizzo improprio di tipologie contrattuali parasubordinate. In particolare, nel caso considerato, i lavoratori richiedevano il riconoscimento della piena subordinazione per ottenere risarcimenti compensatori della loro forzata estromissione dal servizio.
Il problema nelle diverse sentenze succedutesi negli anni, che presumibilmente potrebbe presentarsi anche nel caso Foodora, sta nell’indeterminatezza qualificatoria di alcune forme di gestione delle prestazioni sollecitate dal creditore. Coordinamento, localizzazione, osservanza di un orario lavoro, rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell’impresa, modalità di erogazione della retribuzione, assenza di rischio vengono identificati, infatti, come aspetti comuni sia del lavoro subordinato che del lavoro parasubordinato, cooperativo e autonomo assumendo un valore sussidiario e non decisivo (Cassazione civile, sezione lavoro, 9 gennaio 2001, n. 224, n.15001 del 2000).
Il contrasto non sembra superabile unicamente per via giudiziaria, almeno allo stato attuale del quadro legislativo. La parasubordinazione, infatti, se da un lato potrebbe riconoscere alcune minime garanzie anche ai lavoratori crowd, dall’altro li allontana dalla possibilità di essere facilmente assimilati alle forme di tutela dei lavoratori stabilmente inseriti in un’organizzazione aziendale. D’altronde, l’evoluzione della tecnologia digitale applicata alla produzione rinforza la esternalizzazione di grandi parti del flusso produttivo verso una moltitudine di potenziali lavoratori utenti della rete (crowdworkers). Il tutto avviene tramite piattaforme on line di lavoro per l’intermediazione nella produzione e distribuzione di beni e servizi.
Garantire continuità di reddito con la tecnologia digitale
L’Indagine conoscitiva assegnata dalla presidenza del Senato alla 11a Commissione lavoro, e approvata nell’ottobre 2017, ha evidenziato come in tali processi vi è una radicale riduzione dei costi di transazione, conseguente agli sviluppi tecnologici, che consente e consentirà sempre più largamente la diffusione di prestazioni ambigue, socio-economicamente dipendenti, con la conseguente necessità di un nuovo ordinamento che favorisca la continuità nel reddito. Se la retribuzione, infatti, è legata ai singoli risultati, la casualità della condizione lavorativa si trasforma in seria instabilità sociale.
Come definire allora una costanza reddituale in una tipologia produttiva digitalizzata estremamente contingente? Una ipotesi potrebbe essere quella di rielaborare l’esperienza francese del Compte personnel d’activitè. Un sistema digitalizzato di registrazione delle prestazioni lavorative che garantisce tracciabilità e trasportabilità di tutte le attività effettuate e le retribuzioni ricevute. In Francia, il sistema è finalizzato al conseguimento di un diritto universale alla formazione. Nel nostro caso, per le attività lavorative crowd, il conto di attività sarebbe impiegato per determinare micro-indennità assicurative cumulabili per ogni attività digitalizzata (on line o off line) realizzata. Le indennità cumulate in un conto direttamente collegato al lavoratore crowd potrebbero essere attivate come costanza reddituale nelle fasi di completa assenza di prestazioni. In concreto, le imprese che intermediano crowdwork, oltre al pagamento diretto della singola prestazione, dovrebbero versare parte del guadagno realizzato nel Cpa. L’estrazione delle quote dovrebbe avvenire mediante algoritmi costruiti su server di marcatura temporale di prove di lavoro, prevedendo, mediante accordi preventivi, un accesso regolato dell’autorità pubblica alla strumentazione tecnica che le piattaforme digitali sfruttano per realizzare il matching, ovverosia il software, le applicazioni che gestiscono i flussi informativi utilizzati per favorire l’incontro tra domanda ed offerta di servizi. Nella rete stessa, così, andrebbero ricercati gli strumenti per marcare temporalmente le attività lavorative crowd e le transazioni finanziarie a esse associate, strutturando una catena continua di prove lavorative che non possono essere modificate. I tracciati potrebbero poi essere raccolti negli account aperti dai crowdworkers all’interno di piattaforme pubbliche (per esempio, ClickLavoro).
* Massimo De Minicis è ricercatore Inapp – Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche. Le opinioni espresse dall’autore non impegnano necessariamente l’Istituto di appartenenza.
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