La ricerca farmaceutica, ma non solo, si è spostata dal settore pubblico al privato. La conoscenza prodotta nei due ambiti risponde però a logiche diverse. Per progresso scientifico e benessere sociale la soluzione migliore è l’interazione tra le due.

Dal pubblico al privato

La notizia che una delle maggiori multinazionali nell’industria farmaceutica abbandona la ricerca per la cura dell’Alzheimer e del Parkinson ha destato interesse e preoccupazione. L’industria farmaceutica continua a investire in attività di ricerca e sviluppo, 157 miliardi di dollari solo nel 2016, e in particolare nelle neuroscienze, come dimostrano gruppi stranieri quali Eli Lilly, Roche, Boehringer, Eisai e AstraZeneca, ma anche italiani come Biogen. Ma diversi studi suggeriscono che l’efficienza della ricerca è sistematicamente calata negli ultimi anni. Inventare nuovi farmaci è sempre più difficile e pertanto finanziare la ricerca risulta sempre più oneroso, specialmente nei settori a elevata incertezza e lunghi tempi di sviluppo.
Il problema è ben più generale e non riguarda solo il settore farmaceutico, anche se diventa lampante quando tocca la salute. Perché mai dobbiamo affidare le nostre speranze per problemi seri nelle mani di investitori privati? Dal 1981 in poi c’è stato un calo sistematico e generalizzato della spesa in ricerca e sviluppo pubblica – come mostra la figura 1 – e un corrispettivo incremento di quella privata.

Figura 1 – Spesa in R&S finanziata dal settore pubblico come percentuale del Pil, 1981-2013

Fonte: OECD, Main Science and Technology Indicators

In media, nei paesi Ocse, il settore privato ha aumentato la spesa in R&S dallo 0,96 per cento all’1,44 per cento del Pil; al contrario, quella finanziata dal settore pubblico è calata dallo 0,82 allo 0,67 per cento del Pil (tabella 1). Il risultato, in termini di composizione tra ricerca pubblica e privata, è notevole. Se nel 1981 la quota di R&S pubblica era pari al 44,2 per cento, nel 2013 scende al 28,3 per cento. Per contro, nel 2013 il settore privato finanzia il 60,8 per cento della ricerca, rispetto al 51,6 per cento del 1981.

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Tabella 1 – Spesa in R&S finanziata dal settore privato e dal settore pubblico, 1981 e 2013

Fonte: Ocse, Main Science and Technology Indicators

Tabella 2 – Percentuale di R&S finanziata dal settore privato e dal settore pubblico, 1981 e 2013

Nota: le percentuali non sommano a cento per la presenza di altre fonti di finanziamento, per esempio, estero.
Fonte: Ocse, Main Science and Technology Indicators

I rischi

Quali sono gli effetti del travaso di risorse dalla ricerca pubblica a quella privata? In un recente studio sosteniamo che vi sono differenze importanti delle proprietà economiche della conoscenza prodotta nel settore privato rispetto a quella generata nel settore pubblico.
Tre sono le differenze sostanziali. Primo, nel caso del settore privato la distribuzione di risorse corrisponde a criteri di mercato, mentre nel caso del settore pubblico le risorse rispondono al pubblico interesse e la relativa assegnazione dipende da un processo politico: Secondo, nel settore privato le imprese tendono a escludere i concorrenti dall’utilizzo della conoscenza (ad esempio per mezzo del segreto industriale o dei brevetti), mentre nel caso del settore pubblico se ne incentiva la massima diffusione. Terzo, la produzione di conoscenza tende a essere celata nel caso del settore privato, mentre il settore pubblico ne favorisce la formalizzazione (ad esempio, mediante la scrittura di articoli scientifici) e il trasferimento tecnologico (mediante appositi organismi in molte università e centri di ricerca).
Con differenze tanto sostanziali, un cambiamento radicale nell’importanza relativa tra conoscenza pubblica e privata non può non avere effetti per la società. Il caso Pfizer ne esemplifica in modo chiaro uno: l’assegnazione di risorse risponde per l’azienda privata a criteri di mercato.
Tuttavia, occorre considerare che, da un lato, l’industria tuttora finanzia attività di ricerca in campo medico; e che, d’altro lato, le risorse pubbliche non sono illimitate, e occorre fare delle scelte tra ripartizioni alternative. Inoltre, i criteri di scelta politica non sono esenti da fallimenti dello stato (per esempio, per le attività di lobbying).
La ricerca pubblica e la ricerca privata hanno convissuto per decenni e ciò ha consentito che dalla loro interazione scaturissero avanzamenti scientifici e sviluppi tecnologici. Non ci sono ragioni evidenti per abbandonare questo modello: entrambe, nella loro divisione dei compiti, sono necessarie per il progresso scientifico e il benessere sociale.

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