L’apertura ai mercati internazionali genera incertezze, specie se combinata con una lunga crisi. Ma in Italia alla domanda di protezione sociale per i più deboli, si affiancano le richieste dei gruppi di pressione. L’unico argine è l’Autorità antitrust.
Le difficoltà dell’Antitrust italiana
Tempi duri per la concorrenza. Ce lo dice anche la relazione annuale che l’Autorità antitrust ha inviato alle Camere e che dovrebbe presentare in forma pubblica tra qualche settimana. Occasione utile perché di questi temi si continui a parlare. Anzi, raccontare la relazione diventa particolarmente utile per non farli scomparire dall’agenda e dalla discussione politica del momento. Ma è una discussione nella quale le formule ormai sembrano prevalere sui contenuti in modo definitivo – ciò che sicuramente non è una novità in senso assoluto, ma lo è invece per la misura in cui i contenuti sono passati in secondo piano (anche data la lontananza tra i programmi di quelli che pare saranno gli alleati del futuro governo).
È utile discuterne anche perché serpeggia il timore che un probabile punto di convergenza tra Lega e Movimento 5 stelle sia che la concorrenza serve a poco, il che sarebbe grave e miope. E a quanto si legge dalla stessa relazione della Agcm, non segnerebbe neanche un punto di svolta, ma una sostanziale continuità con il passato.
Infatti, è sconsolante constatare come la nostra Autorità antitrust si senta continuamente sotto assedio, con un 2017 nel quale la legge “annuale” per la concorrenza è stata approvata in verità dopo tre anni e dopo una serie di modifiche ed emendamenti che l’hanno ridimensionata. Oltretutto, in mezzo a provvedimenti di segno del tutto opposto.
Accanto ad alcuni passi avanti contenuti timidamente in questa legge, infatti, gli ultimi mesi hanno fatto registrare tante battute d’arresto, grazie a lobby aggressive e ben organizzate che trovano terreno fertile nel generale e prevalente orientamento statalista. Alcuni esempi sono già stati raccontati su lavoce.info. Come il tema del cosiddetto equo compenso, che rischia di ripristinare le tariffe minime per avvocati e altri liberi professionisti. Oppure quel comma della legge di bilancio che ha cercato di sottrarre i “codici deontologici” dei notai da qualunque valutazione antitrust.
E su questo tema conforta la reazione della nostra Autorità, che sottolinea che comunque la deontologia non è materia di concorrenza, ma che non esiterà ad arginare qualunque tentativo di forzare una nozione di etica professionale volta a limitare le libertà economiche dei professionisti, ossia di impedire loro di abbassare i prezzi o fare attività promozionale.
Se questo è il quadro della scorsa legislatura, ci si chiede cosa ci attenda per i prossimi mesi. Lo scenario è fosco. Lo è dal punto di vista internazionale, ove perfino il trattato commerciale tra l’Unione europea e il Canada segna il passo e ove la parola dazio è ormai tornata sull’agenda anche della supposta patria del libero mercato, gli Stati Uniti. Lo è in Italia, ove si ritiene normale che una istituzione finanziaria che dovrebbe agire per sostenere gli investimenti del paese, quale la Cassa depositi e prestiti, impegni risorse ingenti per rimettere la mano pubblica in Telecom Italia, a supporto di un fondo di investimento americano. Non a caso, forse, qualche mese fa l’amministratore delegato di Enel ha dichiarato che dopo le elezioni ritiene sempre meno probabile la liberalizzazione del mercato dell’energia che sarebbe prevista per la metà del 2019.
Dal sovranismo allo statalismo
Cosa succede? Si parla tanto di un’ondata che qualcuno chiama populista, altri la chiamano “sovranista”, e si riferisce al desiderio di riportare il potere in capo al nostro paese rispetto alle istituzioni internazionali. Ma dal punto di vista “micro”, si vede anche un’ondata, forse ancor più generalizzata, di riportare il potere in mano al governo rispetto a un mercato che è visto come inaffidabile e comunque non controllabile.
Per carità, la cultura liberale in Italia è da sempre minoritaria e l’idea che lo stato debba tenere in mano le leve dell’economia non è sicuramente nuova. Ma il parallelismo tra il tentativo di tornare agli stati sovrani e quello di tornare allo stato controllore di quanto avviene nei mercati mi colpisce. Sono processi totalmente differenti, ma che si alimentano sulla base di una serie di avvenimenti comuni. Da un lato, soprattutto in Italia si patisce ancora l’onda lunga della crisi economica, ma soprattutto della crisi fiscale dello stato, che – in un contesto ove l’incertezza generata dal mercato tende a crescere – non ha più le risorse per fornire quella protezione sociale di cui ci sarebbe bisogno.
Quando si lascia spazio al mercato, e si espongono le imprese alla concorrenza internazionale, si minano molte sicurezze sul mercato del lavoro. In questi momenti o si è in grado di offrire qualche protezione aggiuntiva o si vedrà montare lo scontento. Quanto abbiamo davanti è sicuramente un processo complesso con tante sfaccettature. Ma mi pare che il timore stia dando forza crescente pure alle forze anti-mercato, con il risultato di dare legittimità nel dibattito pubblico anche alle pressioni meno nobili. E questo deve preoccupare anche di più.
Capirei bene che in questa situazione trovasse cittadinanza una domanda di maggiore protezione sociale per i più deboli. Purtroppo, vi si infilano invece anche le richieste di tutela dei notai, di Poste italiane o degli agenti sportivi che finalmente hanno un loro albo (ciò di cui non si sentiva esattamente la necessità). E sono richieste che non c’entrano nulla con la crisi e l’opportunità di proteggere fasce deboli: sono solo gruppi di pressione che approfittano del sentire comune per proteggere la propria situazione. Nei prossimi anni avremo molto bisogno dell’operare della nostra Autorità antitrust, di difendere la sua autorevolezza, di ascoltare le sue raccomandazioni. In un’economia che ancora fatica a riprendersi in modo duraturo, avere mercati che funzionano bene è un valore che dovremo continuare a difendere. E speriamo che il Parlamento sappia ascoltare.
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Savino
Ci troviamo ad affrontare tanto scelte sbagliate – di sperpero – da parte dello Stato, quanto scelte sbagliate – di extraprofitto selvaggio – da parte dei privati, che hanno penalizzato la fetta più ampia della popolazione.
Se l’economia di mercato resta indiscutibile, dobbiamo sempre più abituarci a formule ibride e pragmatiche, che prevedano, talora, vere e proprie inversioni a U, sia con privatizzazioni laddove storicamente si era nazionalizzato, che con statalizzazioni e pubblicizzazioni laddove storicamente si era privatizzato.
Dove il mercato è libero e i cittadini sono uguali, la protezione degli interessi deve essere effettivamente contendibile, senza furberie.
E’ il consumatore il fulcro centrale e non chi gli offre beni o servizi.
Marcomassimo
Egregio Professore, che l’Italia abbia problemi di posizioni privilegiate e corporative è sotto gli occhi di tutti; però per esempio la Brexit è avvenuta in un paese con elevati livelli di liberalismo; la malattia sociale dell’occidente è sicuramente più radicata e profonda di quanto si possa dedurre dal parametro della concorrenza; è un problema di territori e classi sociali che sono sempre più divisi ed incomumicabili anche all’interno di stati nazionali e di territori che sono ad un tiro di schioppo l’uno dall’altro; la concorrenza sta mettendo contro questi pezzi di società in modo sempre più feroce e sta provocando una spiccate liquiefazione e frantumazione sociale; e francamente occuparsi di concorrenza in frangenti storici come questo è un pò come stare attenti a non bagnarsi i piedi nell’acqua di un ruscello mentre ti sta per cadere addosso un meteorite.
Savino
Dobbiamo solo parlare dei film che si sono fatti gli italiani con le scorciatoie come reddito di cittadinanza e abolizione della Fornero, che prevedono, tralaltro, che i costi fissi in bolletta prevedano anche il pagamento per gli scrocconi (non indigenti) che non pagano.
Alfredo
Concordo pienamente con l’autore. Ormai da tempo l’autorità antitrust si erge come ultimo baluardo a difesa dei consumatori contro le angherie delle grandi aziende che si accordano in modo tale la concorrenza (fittizia) produca effetti diametralmente opposti a quelli sbandierati dai fautori del libero mercato e relativa mano invisibile (la vicenda della fatturazione telefonica dice tanto al riguardo). Assai preoccupante appare l’inerzia del Legislatore che pare aver lasciato campo libero agli interessi delle grandi corporazioni, tanto che ormai si è rimasti fermi alle famose lenzuolate del ministro Bersani, nato comunista.