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Un film già visto, l’italianità di Alitalia

Quattordici mesi di commissariamento hanno permesso ad Alitalia di migliorare i suoi conti. Ora si tratta di decidere quale offerta accettare tra quelle presentate. Perché la compagnia non può più tornare nell’alveo pubblico, né formalmente né di fatto.

Quattordici mesi di commissariamento

Ci risiamo: un altro governo che tiene alla italianità di Alitalia. Ne sentivamo proprio la mancanza.

Ma vediamo qual è la situazione attuale della società. Da maggio 2017 (da più di un anno, quindi) Alitalia è gestita da un trio di commissari a nome del governo italiano. E al commissariamento si è arrivati dopo una ulteriore lunga crisi. Uscita dal perimetro pubblico nel 2009, Alitalia è stata nelle mani di investitori italiani prima e di Etihad poi, ma nessuno ha saputo trovare una strategia che le permettesse di stare a galla.

Strano, perché già nel 2009 una bad company (la parte supposta malata, rimasta sulle spalle pubbliche) era stata separata dalla good company, e i privati si erano accollata solo quest’ultima, riuscendo però a farla fallire: evidentemente non era abbastanza “good”, ovvero non lo era il management.

Il commissariamento del maggio 2017 è stato possibile, se non necessario, in ragione della legge Marzano sulle crisi aziendali, che aveva trovato applicazione in altri casi di grandi imprese in difficoltà. Si tratta, si noti bene, di commissari con il mandato di dare continuità all’azienda, tutelare i posti di lavoro, valorizzare l’attivo (ossia, vendere l’azienda, se possibile bene). Non di liquidatori, ma di amministratori a tutti gli effetti.

Diversamente da altri casi, però, per mantenere in vita Alitalia, consentire la continuità aziendale e rendere quindi possibile il lavoro dei commissari, il governo ha erogato un prestito ponte di ben 600 milioni di euro, “che dovrà essere restituito entro sei mesi dall’erogazione”. Siamo ormai a quattordici mesi di distanza e non si vede traccia della restituzione. Anzi, il prestito è passato da 600 a 900 milioni. E rischia di essere comunque restituito (con interessi presumibilmente salati) quando la Commissione europea si pronuncerà sulla accusa pendente che costituisca un illecito aiuto di stato.

Il lavoro dei commissari

La situazione era e resta complessa. Ma i commissari sono riusciti a far andare avanti l’impresa comunque, tagliando parecchi dirigenti e ancora più dipendenti, usando il potere dell’amministrazione straordinaria per rinegoziare diversi contratti.

A quanto pare, da una perdita annuale precedente di circa 700 milioni si sarebbe arrivati a una molto più contenuta: circa 250 milioni, sempre di perdita, ma sempre molto meno di prima. Oggi, grazie al prestito ricevuto, la liquidità c’è ed è notevole. Il che significa tranquillità, poter dire ai viaggiatori che possono acquistare i biglietti senza timore di essere lasciati a terra. E senza fiducia l’impresa chiude subito. Anche in virtù di tutto ciò, Alitalia è riuscita ad aumentare i ricavi passeggeri (+7 per cento rispetto ai primi sei mesi dell’anno precedente). E questo avviene con meno aerei e meno dipendenti di un anno fa. Di nuovo, un risultato importante. Sul quale, francamente, non molti avrebbero scommesso.

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Nel frattempo, alcune offerte sono state presentate, alcune vere e sostanziali, altre solo simboliche. Da agosto del 2017 sono state esaminate le offerte ragionevoli e a ottobre la selezione ha lasciato sul tavolo cinque-sei proposte condizionate, ma nessuna offerta definitiva sull’intero attivo vendibile. Ciascuna conteneva condizioni, “se” e “ma”. E purtroppo se nessuno presenta un’offerta pienamente soddisfacente si deve negoziare con i possibili acquirenti.

Il governo Gentiloni ha consentito che si arrivasse ad aprile – data non casuale perché non voleva legare le mani al governo successivo. Giustamente, anche perché si sarebbe rischiato una riedizione di quanto visto a suo tempo, quando Romano Prodi decise una cosa, perse le elezioni e Silvio Berlusconi disfece tutto. Inutile forzare le situazioni quando si sa che il prossimo governo verosimilmente la penserà in modo diverso. La lungaggine del dopo elezioni ha spinto poi a prorogare i termini a ottobre. Speriamo sia l’ultimo termine. Anche perché la Commissione sta esaminando il tema degli aiuti di stato e tirarla troppo in lungo sarebbe un grosso rischio.

E ora?

Alitalia, dunque, si è un po’ rimessa in piedi. Basta per dire che è a posto? No. Basta per dire che possiamo continuare a gestirla all’interno del settore pubblico? Di nuovo, no. Sicuramente serve un piano strategico, che non escludo possa proseguire la linea tracciata dai commissari, ma che richiederà nuovi azionisti. Servono infatti nuovi investimenti, che un’impresa in pesante ristrutturazione non può fare per non violare in modo troppo plateale le regole europee, che richiedono che un prestito “sospetto” non serva a espandere la capacità produttiva.

Ora, tre offerte ci sono. Di nuovo, non sono senza condizioni, ma sono offerte. Con Lufthansa, Alitalia diventerebbe un vettore regionale della rete tedesca. Con EasyJet/Delta non è chiarissimo cosa succederebbe: un’alleanza strana in partenza cosa farebbe di Alitalia? Resta poi Wizzair, low cost ungherese in grande crescita, che potrebbe usare Alitalia per espandersi ulteriormente in Europa occidentale – ma con quali strategie rispetto al lungo raggio anche in questo caso non è chiarissimo.

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Il tema è quale sia il piano industriale e quale sia quello che meglio garantisce il collegamento del paese con il mondo. L’uscita del ministro Toninelli non sembra casuale. Non ha parlato di statalizzazione, si noti bene. Ha parlato di italianità, non quindi denaro pubblico, ma denaro privato. Che senso ha?

Nessuno, se si guarda la lettera di quanto ha detto. Si tratta però di capire se esprima una posizione ideologica (che nel nostro paese ha già avuto spazio, facendo i danni che sappiamo) oppure se sia un modo (un po’ sballato, magari, ma in questo periodo lasciamo perdere i dettagli) di dire che gli attuali piani industriali non piacciono. Il che sarebbe comprensibile, anche se la soluzione non è certo il passaporto del nuovo proprietario.

Da ora in poi, occorre però accelerare. Andare oltre ottobre significherebbe attirarsi quasi certamente gli strali della Commissione. Non sembra probabile che dopo quattordici mesi di tira e molla improvvisamente si materializzino tra qui e l’autunno una proposta e un piano industriale migliore di quelli che da qualche mese sono sul tavolo. Temo che dovremo farci piacere una delle proposte già presentate. Senza ideologismi privi di senso e guardando a un futuro nel quale Alitalia non potrà più tornare nell’alveo pubblico, né formalmente né di fatto. La politica deve stare fuori da Alitalia – per sempre, per favore.

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  1. Aldo Mariconda

    Non so se l’articolo, che condivido totalmente, sia anteriore alla dichiarazione del governo di voler ri-nazionalizzare Alitalia. Con quali strategie?
    Abbiamo un governo già critico con l’idea di ridurre le tasse e nel contempo allargare i benefici. Evidentemente l’idea che il bulancio pubblico sia un piozzo senza fondo sta dominando

    • toninoc

      I novizi governanti si stanno rendendo conto che governare è diverso dallo sbraitare nei vaffa day. Ora hanno il problema di mantenere le illusioni elettorali date ai loro elettori, ma con la simpatia dimostrata da Salvini nei confronti dell’UE, sarà difficile ottenere deroghe ai paletti economici imposti da Bruxelles vista la disastrosa situazione economica Italiana. Ed anche nel caso che qualche concessione sia fatta, sarà ad appesantire il fardello del debito pubblico sulle prossime 100 generazioni.

  2. emanuele felice

    Il Governo Lega 5 Stelle cerchi consenso non quadra da una parte la Lega in nome di una fantomatica italianità e i 5 stelle in a difesa di gruppi europei di cui non si sa il nome quindi non è pubblico il nome di sarà il nuovo CdA dell’Alitalia come mi pare di aver capito il suo ragionamento non esiste un vero piano industriale su Alitalia che continua a essere foraggiata da capitali di dubbia provenienza,magari italo egiziani con il beneplacito delle OO.SS ma senza il minimo dubbio di rilanciare un trend e un’azienda che ha dato molto all’Italia come Ferrovie Italiane .Occorre quindi che il Governo o meglio il Parlamento si svegli e cominci a discutere seriamente cosa vuole fare e non pagare 3 managers per quale motivo?vengano premiati se raggiungono risultati sennò a casa come tutti i lavoratori ma non con liquidazioni stratosferiche ma una pensione da dirigente dignitosa e basta

  3. toninoc

    Trovo assurdo che si pensi ancora all’italianità di un’Azienda che agli Italiani ha portato solo e sempre debiti. I grandi gruppi industriali e finanziari Italiani hanno sempre guardato le Aziende partecipate dallo Stato come gli avvoltoi guardano le loro vittime. Per loro solo occasioni per comprare al minimo e rivendere a con lauti guadagni a chi ha i quattrini per comprare senza farsi problemi sull’Italianità degli acquirenti. Lo spezzatino Telecom ha arricchito diversi industriali Italiani e le telecomunicazioni sono finite a cascata in mano a gruppi stranieri. L’Italianità è una bufala politica. I politici hanno fatto di Alitalia un bacino elettorale di privilegiati fino a vederne il multiplo fallimento.Naturalmente tutto a carico degli Italiani.

  4. Lorenzo

    Alitalia ha portato solo debiti e falsi risanamenti perché in questo paese manca un piano infrastrutturale nazionale con un briciolo di logica all’interno di un indirizzo economico/industriale. Come diamine è possibile far fallire una compagnia aerea di bandiera dotata di un brand forte già avviato, che ha la sua base in Italia, paese con una vocazione turistica che ogni anno dovrebbe valergli un posto sul podio per arrivi/presenze a livello mondiale (anche qui un bel discorso sarebbe da fare)??…Come è possibile che in Italia esistano 1000 campi volo e neanche un Hub veramente Intercontinentale? Malpensa l’aeroporto del Nord?…ma siamo seri?…andate da Jeff Bezos e chiedetegli perché il magazzino logistico di Amazon-Italia non lo ha costruito a Malpensa, ma a Piacenza…o chiedete ad Ikea…Alitalia fallisce perché in Italia non abbiamo la volontà di fare le cose con logica economica…alchè ci rallegriamo che qualcuno dall’estero l’acquisisca, giusto per levarci da davanti agli occhi l’immagine della nostra stessa stupidità e incompetenza

  5. Henri Schmit

    L’articolo descrive con rara semplicità e giudica con ammirevole equilibrio il passato disastroso, il presente difficile e il futuro incerto ma modesto del vettore nazionale. Quale lezione trarre dall’epica vicenda? Non solo gli elettori ma anche i commentatori e opinionisti farebbero bene non fidarsi più di chiunque abbia causato danni seri rappresentando una realtà fasulla; peggio ancora, se l’ha fatto intenzionalmente e a proprio beneficio. L’imbroglio (dei capaci) è più pernicioso dell’inazione o dell’errore (degli incapaci).

  6. Michele

    Quali lezioni trarre dalla triste vicenda Alitalia? 1) il mito della mano privata efficace e efficiente si è rivalto per quello che è: un mito ideologico senza alcun fondamento 2) il Governo Gentiloni – decidendo di non decidere – ha lasciato ai successori delle grosse patate bollenti (alitalia, ilva etc.) 3) nessuna delle ipotesi sul tavolo è potabile per il governo Conte e in ogni caso sarebbero uno shock per il paese – che verrebbe messo davanti alla cruda realtà di ristrutturazioni pesantissime 4) l’Italia non può rimanere un paese con una classe dirigente senza responsabilità: chi ha causato danni deve essere messo di fronte alle conseguenze politiche, economiche e giuridiche delle proprie azioni.
    Aggiungo un altro punto: non so quanto costerebbe ai contribuenti italiani accettare una delle offerte condizionate oggi sul tavolo per Alitalia. Certamente molto tra cassa integrazione, scivoli pensionistici, costi sociali, tratte sussidiate, sovraprezzi sui biglietti etc etc. La bad company del 2009 sembra sia costata ai contribuenti tra tutto € 7 bn. Se questo fosse l’ordine di grandezza anche per questa volta e se davvero il buon lavoro dei commissari avesse ridotto le perdite operative a 250 milioni all’anno, allora la nazionalizzazione non sarebbe un cattivo affare: con il costo per la collettività della ristrutturazione ci si pagano 28 anni di perdite operative. Chissà che prima della pensione i commissari ce la facciano a portarla a break-even. E poi perché rendere pubbliche così tante perdite per far fare (forse) profitti a dei privati – che quando falliscono ne fanno pagare le conseguenze di nuovo ai contribuenti?

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