Nel corso dell’audizione davanti alle Commissioni finanza e lavoro della Camera Tito Boeri ha spiegato i tempi della relazione tecnica che accompagna il decreto dignità e il metodo di calcolo per le stime. Perché la sua ricostruzione è convincente.
Il contesto dell’audizione
L’audizione del presidente dell’Inps, Tito Boeri, del 19 luglio scorso alle Commissioni riunite finanze e lavoro della Camera ha suscitato numerosi commenti e critiche. Vale quindi la pena riassumere la vicenda per i lettori de lavoce.info. Premetto che Tito Boeri è un caro amico e collega: ritengo che questo fatto non influenzi la mia capacità di interpretare i fatti, ma lascio al lettore il giudizio finale. In ogni caso, per essere il più obiettivo possibile, tralascerò (a malavoglia) quelle parti dell’audizione nelle quali Boeri parla del rapporto tra tecnici e politici e degli attacchi personali.
La Camera esamina in questi giorni il decreto legge n. 87, noto come “decreto dignità”, per la sua eventuale conversione in legge. È in questo contesto che le Commissioni lavoro e finanze chiedono congiuntamente chiarimenti al presidente dell’Inps riguardo la relazione tecnica allegata al provvedimento. Si tratta di una relazione preparata su richiesta del ministero del Lavoro e che, validata dalla Ragioneria generale dello stato, è stata trasmessa al Presidente della Repubblica per l’emanazione del decreto.
Nei giorni precedenti l’audizione, con un duro comunicato i ministri dell’Economia Tria e del Lavoro Di Maio hanno contestato le stime della relazione tecnica, definendole “prive di basi scientifiche”. In particolare, si mette in dubbio la previsione di una riduzione dell’occupazione di circa 8 mila unità per effetto del decreto. Si intuisce che disturbi il segno meno, ovvero il fatto che il decreto possa generare una perdita, seppur minima, di occupazione. Non solo, varie dichiarazioni pubbliche lasciano intendere che l’Inps avrebbe introdotto la cifra solo al momento della trasmissione al Presidente della Repubblica, senza informarne i ministeri: la cosiddetta “manina”. Tito Boeri si presenta quindi all’audizione per spiegare sostanzialmente due punti: i tempi di produzione e di comunicazione della relazione tecnica; e il metodo di calcolo degli effetti sull’occupazione.
I tempi
Riguardo ai tempi di produzione e di comunicazione della relazione tecnica, ritengo che i punti salienti della ricostruzione di Boeri siano i seguenti. Primo, il testo della richiesta arrivata all’Inps dal ministero del Lavoro già prevedeva un effetto negativo sull’occupazione (“[…]occorre stimare la platea dei lavoratori coinvolti al fine di quantificare il minore gettito contributivo derivante dalla contrazione del lavoro a tempo determinato […]”). Stupisce quindi che i ministri ne contestino il segno, che essi stessi avevano anticipato. Secondo, la relazione tecnica con la stima degli 8 mila occupati in meno viene inviata al ministero del Lavoro una settimana prima della trasmissione del provvedimento al Presidente della Repubblica. Terzo, la Ragioneria generale dello stato, dopo averla ricevuta, chiede ulteriori approfondimenti all’Inps. L’Istituto aggiorna la relazione secondo le richieste della Ragioneria e ne spedisce una seconda versione a tutti. Sarà questa seconda versione a essere inviata al Capo dello stato. La contestata stima di 8 mila occupati in meno è presente in entrambe le versioni e la seconda aggiorna soltanto gli effetti sulla Naspi.
Che io sappia nessuno ha smentito la versione dei fatti presentata formalmente e in sede istituzionale dal presidente dell’Inps. Inoltre, Boeri allega traccia di tutte le comunicazioni ufficiali avvenute per posta elettronica certificata.
Il lettore valuti come crede, ma a me sembra evidente che la ricostruzione chiarisce che le critiche per gli effetti negativi sull’occupazione sono strumentali e la “manina” non è mai esistita. Semmai, si è voluto sfruttare strumentalmente l’esistenza di due versioni della relazione per immaginare strane dietrologie.
Le stime
Passiamo ora alla parte dell’audizione in cui Boeri spiega come sono state prodotte le stime. Qui credo che le critiche siano opportune, ma vadano nella direzione già espressa molto bene da Bruno Anastasia: le stime dell’Inps sembrano oltremodo ottimistiche.
La relazione tecnica, infatti, valuta soltanto l’impatto della riduzione della durata massima dei contratti a tempo determinato da 36 a 24 mesi. Considerare le altre modifiche normative contenute nel decreto porterebbe con tutta probabilità a un impatto negativo sull’occupazione di maggior entità. Anche sulla base di teorie economiche molto, ma molto, alternative è difficile immaginare che la riduzione della durata dei contratti temporanei non comporti un calo dell’occupazione a tempo determinato, che peraltro è uno degli obiettivi del decreto. Si potrebbe sperare che a questa contrazione si accompagni un aumento dell’occupazione a tempo indeterminato e quindi di quella totale. Improbabile però che ciò avvenga quando il decreto introduce anche un aumento dei costi di licenziamento per i contratti a tempo indeterminato, che i numeri dell’Inps non considerano. Inoltre, come evidenziato da Boeri nell’audizione, i meno 8 mila occupati sono calcolati senza considerare il contributo addizionale di 0,5 per cento per ogni rinnovo di contratto temporaneo, anch’esso previsto dal decreto.
Il ministro Tria ha messo in dubbio la scientificità di queste stime. Naturalmente, la credibilità di qualsiasi stima dipende dalla credibilità delle ipotesi che la sottendono e non esistono stime senza ipotesi. L’Inps ipotizza che lavoratori e imprese reagiscano al decreto dignità in modo simile a come hanno reagito in passato all’interruzione di rapporti di lavoro temporanei. In particolare, la relazione tecnica utilizza stime esistenti della probabilità di entrare in disoccupazione alla scadenza di un contratto a termine e gli effetti occupazionali dell’abolizione dei voucher che, come il decreto dignità, impose l’interruzione di contratti di lavoro in essere. Eviterei di entrare nel dibattito sugli approcci metodologici della scienza economica e non so quale sia la definizione di scientificità del ministro Tria. Si possono probabilmente immaginare altre ipotesi, alternative o complementari a quelle usate nella relazione, ma definire l’approccio dell’Inps “privo di basi scientifiche” è semplicemente inaccettabile.
Concludo con una mia personale perplessità: davvero i ministri Tria, Di Maio e Salvini si aspettavano che l’Inps prevedesse un aumento dell’occupazione? Se c’è qualcuno tra i colleghi economisti, magari lo stesso Giovanni Tria, che capace di produrre stime alternative, ugualmente ragionevoli, con un effetto occupazionale positivo, lo incoraggio a descrivere il suo approccio, numeri e ipotesi alla mano. Sono certo che lavoce.info sarebbe felice di ospitare il suo contributo.
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Michele Zazzeroni
Articolo esemplare. Mi chiedo allora nelle mani di chi, tra demagoghi e opportunisti, abbiamo messo il governo e il destino del paese.
toninoc
I dilettanti al governo se la prendono con Tito Boeri perchè sono convinti (da veri dilettanti) che le stime le abbia fatte personalmente il Presidente dimostrando di non sapere (da veri dilettanti) che il Presidente fa eseguire le stime richieste a diverse commissioni di esperti che ci mettono la firma oltre che la faccia. Ma per i rappresentanti e tifosi del governo non bisogna essere ne realisti ne pessimisti perchè, per dirla con Enzo Jannaci “Sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al Re…..”. Ogni giorno che passa ci renderemo conto che siamo caduti dalla padella alla brace…
Henri Schmit
Premetto che condivido con convinzione le posizioni difese da Tito Boeri e concordo quindi con la sostanza dell’articolo: meno male che sono previste, e prodotte, valutazioni tecniche indipendenti dei progetti economici del governo! Ce ne servirebbero ben altre, in tutti i campi legislativi, per esempio attraverso un Senato composto da esperti nominati dai deputati, con incarichi più lunghi, ma con poteri solo consultivi, tutt’al più sospensivi. Non mi sembra corretto sostenere che il governo stesso abbia previsto “un effetto negativo (del suo dl) sull’occupazione”, perché – secondo il testo stesso citato dall’autore – i promotori del decreto contestato hanno presupposto un travaso automatico dei contratti a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato, un’ipotesi, per dirla gentilmente, è molto superficiale. Rivendicare per le critiche espresse nella RT l’esclusiva della scientificità sarebbe altrettanto presuntuoso che, come ha fatto il MEF, negargliela in toto. Meglio non abusare del metodo scientifico; non tutto quello che è quantificabile è ipso facto scientifico; parliamo di previsioni economiche che dipendono da numerosi fattori fra cui la ‘vera scienza’ dovrebve provare a individuare quelli (più) determinanti. Secondo me il fattore determinante non sono i tempi e i possibili rinnovi del contratto a tempo determinato, ma l’estrema instabilità della normativa, l’assenza di direzione delle riforme, e quindi l’incertezza del diritto del lavoro.
Michele
La relazione tecnica (e questo articolo) sostengono implicitamente che la riduzione della durata massima dei contratti a t. determinato causa un aumento della produttività. Se lo stesso livello di output si realizza con meno lavoratori la produttività aumenta. Non si scappa. Se invece si vuole sostenere che sia l’occupazione sia il livello di attività diminuiscano bisogna spiegare perché la riduzione della durata dei contratti determini una riduzione del livello di attività delle imprese. Non può essere il costo: esplicitamente si dice di non aver considerato lo 0,5% di incremento dei contributi. Ma allora perché mai dovrebbe calare il livello di attività delle imprese a causa della minore durata massima dei contratti a tempo determinato? Se, al contrario, tale durata viene aumentata, il livello di attività delle imprese e l’occupazione aumentano? Troppo facile…
Pradelli Edo
Mi spiegate come sono calcolati gli 8.000 occupati in meno (annuali) per i prossimi 10 anni? Io sono un imprenditore e se debbo produrre un prodotto o un servizio richiesto dal mercato assumo, altrimenti non assumo, anche se la manodopera è gratis!!!
Michele
Assolutamente d’accordo. Le sue parole dimostrano come attorno al Decreto Dignità si combatta una battaglia tutta ideologica. Con la relazione tecnica si vuole dire una cosa molto semplice: qualunque limitazione alla flessibilità delle imprese, qualunque diritto dei lavoratori riduce l’occupazine. È l’ideologia del “meglio un posto di lavoro degradato piuttosto che niente”. Questa ideologia si è ampiamente dimostrata sbagliata. Negli ultimi 20/30 anni malgrado dosi massicce di flessibilità la produttività delle imprese italiane non è aumentata. Anzi il sistema produttivo italiano ha perso posizioni nelle classifiche mondiali. Nel srttore auto innanzitutto, ma non solo.