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Più che nazionalizzare qui bisogna normalizzare

Non serve la nazionalizzazione per mettere ordine nelle autostrade. Il modello con un gestore soggetto a regolazione è ancora valido. Purché si cambi radicalmente la regolazione, riconducendola a quella di altri settori regolamentati.

La vendita della Società autostrade

Per mettere nella giusta prospettiva il dibattito sulle concessioni autostradali, conviene innanzi tutto ricordare cosa avvenne al momento della vendita del 1999-2000 sotto il governo D’Alema. A quel tempo, l’Iri deteneva circa l’86 per cento della Società autostrade, che mise in vendita in due tranche: la quota di controllo (il 30 per cento) fu ceduta a un investitore singolo, con l’idea di avere un “nocciolo duro” stabile, il resto al “mercato”, ossia investitori piccoli e grandi, ma comunque con quote di minoranza.

Dopo una selezione, l’investitore di controllo fu individuato nel gruppo Benetton (insieme ad alcune banche), unico soggetto italiano a manifestare interesse. C’era interessamento anche da parte di investitori esteri (per esempio, il gruppo australiano Macquarie) ma la diffusa idea che fosse preferibile un azionista italiano li indusse a ritirarsi. La preferenza per un italiano fu una scelta non condivisa da tutti, anche perché sicuramente non favorì un incasso congruo a quello che avrebbe potuto essere. Ma la politica nazionale è tuttora piena di idee simili – a parte il fatto che anche i sovranisti di oggi sembrano capire che quello che conta non è il passaporto…

Come risulta dalle relazioni del ministero e della Corte dei conti, la cessione delle azioni al pubblico determinò un incasso di 8.105 miliardi di lire, pari a 4,18 miliardi di euro. Dalla vendita dei 355 milioni di azioni al nucleo stabile – perfezionata il 9 marzo 2000, una volta ottenuto il necessario nulla osta da parte dell’Autorità antitrust – l’Iri ricavò 4.911 miliardi di lire (inclusi 41 miliardi per interessi), equivalenti a 2,53 miliardi di euro. Complessivamente, quindi, l’incasso per l’Iri fu pari a 13.016 miliardi di lire, ossia circa 6,72 miliardi di euro per l’85 per cento dell’impresa, e occorre considerare anche che Autostrade aveva allora debiti per circa 1,7 miliardi (di euro).

Per meglio comprendere gli importi conviene poi tradurre il tutto in valori odierni. Considerando il rendimento dei Btp decennali da metà 2000 a metà 2018, in moneta odierna l’incasso del 2000 equivale a circa 13,5 miliardi di euro, che può essere pensata come la somma che lo stato ha risparmiato avendo ridotto il proprio debito tramite la privatizzazione. Poco? Tanto? Giudichi il lettore.

Privatizzazioni e profitti futuri

Ma chiunque acquisti azioni di un’impresa le paga in ragione dei profitti che si attende di ottenere. Al momento della privatizzazione, il tutto era stato definito dalla nuova convenzione del maggio 1999, che assegnava la gestione alla Società autostrade fino al 2038 in previsione della sua vendita. Quindi, se è sicuramente vero che la concessione è generosa per gli azionisti di quella che oggi è Autostrade per l’Italia (Aspi), ovvero Atlantia, è altrettanto vero che una concessione meno generosa avrebbe ridotto i proventi della privatizzazione.

In sostanza, il governo di allora ha ridotto il debito pubblico non alzando le imposte, ma alzando i pedaggi autostradali per i successivi decenni. Una forma di imposizione molto indiretta, ma non per questo meno reale. Se qualcuno vuol provare a dimostrare che la privatizzazione di Autostrade ha causato un danno erariale, non posso che augurargli buona fortuna…

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Nel 2014 il governo italiano ha poi concepito un piano per allungare la concessione di Aspi (e altri concessionari) di altri quattro anni, al fine di finanziare alcuni investimenti senza aumentare troppo le tariffe. La Commissione europea ha cercato di bloccare il prolungamento, che è stato poi approvato al termine di una lunga negoziazione. Quanto meno, il negoziato con la UE ha costretto a barattare l’estensione della concessione con un relativo aumento nella concorrenza rispetto ai lavori appaltati, che altrimenti sarebbero stati effettuati interamente da società del gruppo. Si tratta comunque di una decisione non ovvia e criticata da molti: nel migliore dei casi, appare come un’occasione perduta per rimettere a posto la concessione.

Ma le concessioni erano sballate

Infatti, le concessioni autostradali hanno tanti aspetti del tutto censurabili. Soprattutto due paiono degni di massima attenzione, non solo per Aspi, ma anche per gli altri concessionari che godono di situazioni analoghe.

Il primo riguarda la remunerazione degli investimenti. Per quelli previsti dalla convenzione Aspi fino al 2006, il tasso di remunerazione è il 7,18 per cento. Per gli investimenti non previsti in convenzione entro ottobre 2006, un allegato alla convenzione di metà 2007 indica un rendimento del 10,45 per cento. Un valore congruo? Per dare un parametro di riferimento, pochi mesi dopo (dicembre 2007), l’Autorità per l’energia (oggi Arera) fissava i seguenti tassi di remunerazione del capitale (delibera 348/07): 7 per cento per le reti di distribuzione elettrica, 6,9 per cento per la trasmissione elettrica, 7,2 per cento per il servizio di misura dell’elettricità. Talora a questi tassi si poteva poi aggiungere uno specifico incentivo (circa 2 per cento) per alcuni particolari investimenti migliorativi, ma siamo chiaramente ben lontani dal 10,45 per cento di Aspi.

Una legge del 2006 (il decreto legge 262) aveva previsto una revisione delle concessioni, da sottoporre al parere tecnico del Cipe e del Nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida sulla regolazione dei servizi di pubblica utilità (Nars). Ma prima che Cipe e Nars potessero pronunciarsi sulla convenzione del 2007, la legge 101 del 2008 (con la cosiddetta norma “salva Benetton”) ha approvato tutti gli schemi di convenzione che Anas aveva già comunque provvisoriamente siglato. Perpetrando così le storture precedenti e rinviando a un futuro indefinito la riforma delle concessioni, delle quali infatti oggi ancora si discute.

La generosità caratterizza in realtà molte concessioni autostradali, che non a caso restano uno dei primi settori ove gli investitori esteri sono pronti a entrare. Lo schema seguito per Aspi è assai simile a quello seguito anche per molti altri concessionari. Con la differenza che per lo meno gli azionisti di Aspi hanno pagato la concessione alcuni miliardi, altri concessionari no. Ma questa è un’altra (non bella) storia.

Oltre alla generosità di fondo, un secondo aspetto cruciale è che in tutti i settori regolati le tariffe vengono riviste dopo un certo numero di anni (generalmente da 3 a 6 anni) in modo che le tariffe vengano ri-allineate ai costi unitari del gestore.

Non così nelle autostrade, ove le tariffe vengono semplicemente adeguate (verso l’alto) in ragione degli investimenti effettuati e dell’inflazione. Ma non sono mai confrontate con i costi, come invece avviene nei settori energetici, nella telefonia, nel settore idrico. Anzi, la revisione del piano finanziario (ossia, delle tariffe) può essere richiesta dal concessionario (Aspi) in ragione di un nuovo piano di investimenti proposti, ma la stessa facoltà non è data al concedente, che può chiederla solo per “forza maggiore”.

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Quindi gli extra profitti di oggi finiscono per perpetrarsi all’infinito.

Nazionalizzazione? No, grazie

Affermare che il passaggio dal privato al pubblico risolverebbe il problema abbassando le tariffe, perché lo stato deve solo coprire il costo (per intenderci) dei Btp, mi pare a dir poco affrettato. Se avesse una gestione oculata dei suoi soldi, lo stato dovrebbe quanto meno considerare il costo (o il prezzo-ombra) del blocco dei fondi – si parla di una ventina di miliardi per la sola Aspi, che oggi gestisce circa il 60 per cento della rete nazionale. Quanto renderebbe allo stato destinare questi miliardi a usi alternativi? Non chiederselo ci porterebbe su una china che negli anni Settanta-Ottanta ha poi condotto a grandi monopoli pubblici, capaci solo di produrre perdite crescenti. E bloccare molti miliardi come capitale di rischio, remunerandoli a parametri fuori mercato per tenere le tariffe più basse, sarebbe un regalo agli automobilisti che faticherei a capire.

Si noti poi che la capacità di investire dello stato italiano è – e resterà (per i prossimi decenni) – pesantemente vincolata dal debito esistente. Perorare il ritorno al socialismo di stato mi pare un modo per garantire che gli investimenti, che si dice siano così necessari, non verranno in realtà mai effettuati. Se servono investimenti, c’è bisogno di azionisti con capacità finanziarie rilevanti, non di uno stato sempre alla ricerca di un nuovo fondo del barile da raschiare.

Il modello attuale, con un gestore soggetto a regolazione, mi sembra tuttora difendibile, se però si cambia radicalmente la regolazione. Non serve la nazionalizzazione, serve la normalizzazione del settore. Quanto viene fatto dai regolatori in settori quali l’energia o la telefonia è del tutto ragionevole, e pensare di riportare anche le autostrade all’interno di quel modello di gestione sarebbe perciò auspicabile. Non c’è nessuna ragione per la quale le autostrade siano state (e vengano) trattate in modo differente.

Gli ingredienti dovrebbero quindi essere:

  1. tariffe regolate da un’autorità indipendente secondo criteri di orientamento al costo;
  2. capitale remunerato con criteri trasparenti e di mercato;
  3. verifica periodica dell’allineamento delle tariffe ai costi;
  4. controlli attenti sulla effettuazione degli investimenti.

Il primo passo dovrebbe quindi essere attribuire all’Autorità per i trasporti la competenza su tutte le concessioni autostradali, dotandola delle risorse necessarie per svolgere le sue funzioni. Si può fare, con una norma molto semplice. Basta volerlo.

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17 commenti

  1. Pradelli Edo

    “tariffe regolate da un’autorità indipendente secondo criteri di orientamento al costo;” Ho letto che ha lavorato per “‘Autorità per l’energia elettrica e il gas e per varie imprese private”, pertanto conosce benissimo il settore. Mi riesce a spiegare come deve essere organizzata una Autorità indipendente, per essere veramente indipendente ?

    • carlo Scarpa

      Bellissima domanda. Il tema della indipendenza delle autorità è delicato ed è una questione nella quale non esistono risposte nette.
      Tutte le autorità sono comunque espressione della politica, ma la nomina è normalmente il risultato di un processo condiviso, ove (normalmente) si deve convergere su persone competenti e con una certa reputazione. La perfezione non è di questo mondo, ma è un ragionevole compromesso.
      Poi dipende dalle persone che vengono nominate. E dalla loro capacità di mantenere un colloquio con tutti ma una dipendenza da nessuno. Ho lavorato con il prof. Ranci che a riguardo era esemplare. Ma non tutti (soprattutto in altre autorità) lo sono stati altrettanto.
      Ma resto del parere che una autorità sia comunque preferibile al mondo dei ministeri romani, ove la dipendenza dal politico di turno è quotidiana. Se il collegio è di livello e protegge gli uffici, il loro lavoro è sicuramente migliore.
      Ma, come dicevo, nessuna alternativa è perfetta.
      Cordiali saluti

  2. Carmine Meoli

    Forse occorre confermare o meno
    1 se esistessero altri possibili acquirenti e non solo sperati , a me risulta che nessuno si fidava abbastanza dello Stato italiano per accedere ad un simile investimento
    2 se la durata della concessione fosse stata determinata dalla necessitadi conseguire un corrispettivo superiore ai 13 mila miliardi di lire( per un EV di oltre 16 mila ) e rendere finanziabile l’investimento richiesto per la realizzazione della Variante di Valico e le Terze corsie ( malcontati altri 20 mila miliardi di lire )
    3 il tasso remunerazione del “grosso ” degli investimenti e’ assai inferiore a quello indicato. ( dati pubblici ) e aumentato solo alcuni nuovi investimenti per coprire investimenti piu recenti che di non sarebbeo recuperabili con i soli quatto anni incrementali di concessione senza alzare le tariffe a livelli non sostenibili
    4 se il sistema tariffario sia basato o meno sul metodo “price cap” che alla fine del periodo stabilito rende partecipe la tariffa deii guadagni di produttività conseguiti grazie a management

    L’incidente non merita attenuanti ma neppure analisi parziali.

    • carlo Scarpa

      Risposta a Carmine Meoli
      Punto 1: Ribadisco quanto detto. Macquarie era interessata, poi si è defilata. Perchè? chiedetelo a loro…
      Punto 2: necessità… sono tanti aspetti di uno stesso problema. Remunerazione annua e lunghezza della concessione determinano il ricavo. I costi di quanto era richiesto erano calcolabili. La differenza è l’utile atteso sull’arco della concessione, che determina il massimo che sono pronto a pagare per acquistare la concessione. Il problema è che se so di essere l’unico acquirente non offrirò mai tutto quell’importo…
      Punto 3: I tassi di remunerazione sono quelli della concessione. Basta guardarli. Il tema dell’allungamento della concessione lo ho solo sfiorato. Immagino lo analizzeranno altri.
      Punto 4: Il sistema tariffario è quello descritto nella concessione. Possiamo anche chiamarlo price cap. Ma in realtà se non c’è praticamente mai un riallineamento dei prezzi ai costi, abbiamo delle storture, anche gravi.
      Cordiali saluti
      Carlo Scarpa

      • Carmine Meoli

        Spiace ricordare che all’epoca Macquarie ( come altri possibili investitori ) non si fidava dello Stato Italiano e aveva soglie di remunerazione superiori a quelle riconosciute nella vendita ( il citato 10 e rotti si applica solo a parte dei progetti recenti ) . Per non dire di dare un occhio al tipo di gestione e al ritorno conseguito da Macquarie in altro progetto Italiano ,realizzato anni dopo quando il caso Autostrade aveva mutato la confidenza nello Stato il caso Autostrade.

  3. Damiano

    Secondo me la gestione pubblica non produce debiti in quanto tale, ma perché malcostune e corruzione sono spesso la regola.

  4. Sergio Brenna

    Scarpa per valutare l’accettabilità o meno del tasso di remunerazione dei concessionari autostradali (10,45%) lo confronta con quello di concessionari di altri settori (6,9-7-7,2 % + 2% per particolari incentivazioni). Tutto sommato forse non così distanti: non è che il termine di paragone sia esso stesso “inquinato” dal regime concessorio e sarebbe meglio invece confrontarsi con la remunerazione in investimenti industriali o di servizi non caratterizzati dalla concessione pubblica di monopoli naturali ?

  5. bob

    “concessioni autostradali” nel suo articolo c’è un errore di fondo: qui non si tratta di concessioni si tratta di regime di monopolio ben altra cosa! Per cui tabelline e confronti lasciano il tempo che trovano. Se ti offro un monopolio devi sapere che hai” remunerazione più bassa del mercato, controlli severi sul bene, economia sociale da svolgere. I vantaggi? Enorme flusso di cassa garantito, non concorrenza . Con il solo flusso di cassa un qualsiasi privato ha liquidità da investire e comperarsi il mondo intero. Di cosa parliamo!

  6. Pietro Brogi

    Il fatto che i pedaggi autostradali siano non competitivi rispetto alla stessa tipologia di trasporto in altri paesi europei comporta ovviamente una penalizzazione dei produttori in Italia e quindi ha comportato e sta comportando una riduzione del PIL dell’Italia. Questo a mio parere porta un danno all’erario. Penso non sia facile da quantificare ma si potrebbe provarci partendo dalla percentuale di eccesso tariffario r
    ispetto alla media europea.

  7. Henri Schmit

    Sono d’accordo con l’orientamento generale dell’articolo. Mancano tuttavia alcune considerazioni essenziali. Quali compiti sono dati al concessionario? Varie risposte sono possibili. Forse sarebbe paradossalmente più interessante concedere poche mansioni, gestione pedaggi, gestione traffico e sicurezza ordinaria, manutenzione ordinaria (da definire), ma non la manutenzione straordinaria intesa come Interventi di sostituzione. Il rischio sarebbe basso, la rimunerazione bassa e il valore di “privatizzazione” alto. Inoltre serve una gara. Prima del 2008 Mcquarie era molto interessata a sviluppare L’investimento in Italia. Ci spieghi chi l’ha fatta piegare bagagli! Bisogna escludere dalla gara soggetti para pubblici nazionali con un AD che prende cinque volte lo stipendio di un suo omologo francese o tedesco. La sicurezza ultima, obbligo di risultato dello stato (in opposizione agli obblighi solo di mezzo perché contrattuale dei concessionari privati) sarà comunque sempre necessariamente pubblica, come ora quasi tutti hanno capito. I quattro punti finali dell’artIdolo sono invece vaghi, figli di una logica non più accettabile. Meglio rimescolare le concessioni a scadenze più brevi che queste trattative fumose , occasioni perfette per ripetere i vizi atavici.

  8. Michele

    A volte faccio davvero fatica.
    Ricapitoliamo :
    Benetton “per semplificare” acquista il 30% di autostrade. Successivamente acquista tutte le azioni, per poi rivenderne una parte. Le acquisizioni sono fatte a debito, e tali debiti sono pagati attraverso gli aumenti di tariffa indiscriminati e il tasso di remunerazione.
    Fatta questa approssimata premessa, e considerando che dal sito di autostrade loro stessi dichiarano che degli investimenti programmati nella convenzione del 1997 devono ancora completarne 1,1 miliardi, di quella del 2002 4,8 miliardi, e della successiva e integrazioni NULLA, e nel frattempo ha dichiarato utili da top 10 della borsa, allora non capisco quale sarebbe la super capacità economica e manageriale di un soggetto privato quale quello attuale. La società l’hanno pagata in anticipo con il debito che hanno scaricato sulla società stessa e su cui hanno potuto aumentare tariffe in situazioni di monopolio.
    IL problema non è la gestione dello stato (infatti in germania, svizzera, austria, olanda e buona parte della spagna è così, ma questa volta non vale fare confronti con i virtuosi europei) quanto nei problemi di corruzione e relazione, che ops, sono in realtà già presenti tra pubblico e privato.
    IN più è vero che quanto pagato da Benetton ha contribuito a diminuire il debito pubblico (e tralascio la valutazione), ma allo stesso tempo, quel debito pubblico, è il mio e il tuo e di noi, e con tariffe più basse, ci avremmo risparmiato.

    • bob

      che vendendo l’ argenteria di famiglia si abbassa i debito pubblico è una favola. Il debito pubblico è esploso in determinati anni e determinate circostanze ci sono dati da analizzare per fare diagnosi e quindi trovare la cura. Con il debito pubblico del Paese c’è chi tribula e chi fa milioni a palate ad ogni rinnovo ( non parlo di stranieri ma di Signori italiani) . Il Paese del ” Spagna o Franza purchè se magna” non poteva avere altro destino

  9. Michele

    Cancellare tutte le concessioni autostradali e non. Basta monopoli naturali gestiti da privati. Dove sta la legge “annuale” sulla concorrenza? Altro che authority capture, qui neanche esiste l’authority. Dove stanno le norme contro le sliding doors? Altro che normalizzazione, qui bisogna fare piazza pulita di tutto ciò che è stato fatto dalle privatizzazioni in poi

  10. Michele

    Volendo poi entrare in dettagli tecnici, che senso economico ha applicare un WACC (un costo opportunità riferito ad investimenti di rischiosità simile) per determinare delle tariffe in monopoli naturali? In un monopolio naturale il business risk è zero e se la tariffa determina la remunarazione del capitale investito, tutta la remunerazione è a rischio zero. Quindi l’unica remunerazione accettabile per la componente equity è il risk free rate (2/3% max). Per non parlare poi del D/E: se il rischio è zero, il leverage sostenibile aumenta fino a peso 100% (come la realtà dimostra: mai i concessionari hanno fatto aumenti di capitale) portando il wacc ad essere pari al costo del debito (1/2%) da nettare per l’effetto dedicibilità degli interessi. Quindi, volendo proprio applicare questo metodo per calcolare le tariffe, il wacc corretto per determinare le tariffe dovrebbe essere circa 1%, ben altro che il 7% o il 10%

    • carlo Scarpa

      Una risposta articolata non mi pare abbia molto senso. Ma se riesce a trovare un paese occidentale che segua questo approccio, sarei lieto di ridiscuterne. Poiché tale paese non esiste, i casi sono due. O lei è l’unico nel mondo occidentale ad avere capito come fare la regolazione delle imprese in monopolio, oppure forse lei dovrebbe rivedere un po’ queste considerazioni. Lieto di riparlarne dopo questo passaggio… cordiali saluti

      • Michele

        Tale paese forse non esiste semplicemente perché la regulatory capture è molto più diffusa di quanto si pensi

  11. Daniele Gaetano Borioli

    Buongiorno professor Scarpa, sono un ex senatore del PD già membro della VIII Commissone del Senato. Condivido molto le cose che lei scrive. Nel corso della passata XVII Legisltaura cercai di far passare una mozione a mia prima firma (sottoscritta da molti altri colleghi), che proponeva quasi esattamente ciò che propone lei a proposito dei controlli. Purtroppo inascoltata. Forse, almeno su quel punto avremmo fatto un passo avanti

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