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Il populismo in Italia arriva da lontano

Se è populista un movimento politico che abusa della regola della maggioranza, contesta le élite fino a quando non arriva al potere e tende a negare il pluralismo, allora l’attuale situazione italiana è stata preparata dai 25 anni precedenti.

Una definizione di populismo

Il populismo non è un fenomeno nuovo. Già nel 1969 alla London School of Economics si discuteva del “populismo che infestava il mondo”. Oggi molti ci vedono una reazione alla globalizzazione e all’immigrazione; altri insistono sul disagio sociale. Serve una definizione. In What is Populismus?, Jan-Werner Müller propone un doppio criterio: antielitismo e antipluralismo; Pierre Rosanvallon evidenzia un terzo elemento strumentale dei precedenti: l’invocazione indiscriminata del giudizio popolare espresso attraverso votazioni, sondaggi, la piazza.

Tutti i movimenti populisti di destra o di sinistra apparsi negli ultimi decenni in Europa contestano la capacità e la legittimità delle élite governative (esponenti pubblici, partiti), economiche (multinazionali, banche, media e ricchi) e tecniche (burocrati nazionali ed europei, esperti e accademici incaricati dai governi), criticate anche da Colin Crouch come classe dirigente allargata caratteristica dell’era postdemocratica. I populisti sostengono che il malgoverno dell’élite (crisi; disuguaglianze; politiche neoliberali, globaliste e di rigore fallite; fiscalità inadeguata; dominio di mercati, multinazionali, banche, concessionari, fornitori e consulenti pubblici sulle autorità; sovranità diluita nell’UE) possa essere superato con ricette semplici, alla portata della gente comune, da loro, i rappresentanti del popolo. L’altra costante è la negazione del pluralismo: l’unica rappresentanza vera e simbolica del popolo essendo quella populista, tutte le altre sono pretese illegittime di gruppi d’interesse dipendenti dall’élite pronta a tutto per mantenersi al potere.

Comprendere la logica del populismo

Inizialmente di contestazione, i movimenti populisti mostrano la loro vera faccia quando accedono al potere. L’antielitismo e l’antipluralismo si esprimono in un rapporto disintermediato fra governo e la massa della gente. I populisti esibiscono una fede cieca nel verdetto popolare e fanno un uso indiscriminato della regola della maggioranza. In apparenza ultrademocratico, il populismo è in realtà antidemocratico, ammesso che la democrazia non sia riducibile alla regola della maggioranza, bensì necessariamente rappresentativa (intermediata, articolata) e pluralista (rispettosa delle minoranze e di alcuni valori), fatta di dibattito pubblico, di compromesso, di ricerca razionale della scelta ottimale. Il populismo mira invece a governare direttamente in nome del popolo, a legittimare il potere attraverso plebisciti, acclamazioni teatrali in piazza o votazioni para-democratiche (su internet), a screditare e indebolire – e una volta al governo: colonizzare e controllare – le istanze di garanzia, il parlamento, le autorità giudiziarie e il quarto potere. La metamorfosi populista fa parte di una logica che può distruggere la democrazia: Viktor Orban e Recep Tayyip Erdogan sono populisti al potere, come lo sono stati Hugo Chávez e Juan Domingo Perón, Benito Mussolini e Adolf Hitler; la differenza è il grado di negazione del pluralismo e delle libertà. Quali sono dunque in Italia i sintomi di degrado e di pericolo populista?

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Accorgersi dei sintomi della deriva populista

La deviazione populista non inizia col Movimento 5 stelle. Sin dagli anni Novanta si è affermato un nuovo discorso politico che, assistito da potenti mezzi di comunicazione, ha rivendicato un rapporto diretto fra un leader e il popolo, fondato su un “contratto” e facili promesse. Il paese ingovernabile doveva essere liberato dai (contro) poteri di veto. Gli avversari del “popolo della libertà” erano delegittimati. Una nuova Costituzione doveva mettere in riga il parlamento e rinforzare il capo dell’esecutivo. Rigettata la revisione col referendum, è stata adottata una legge elettorale iper-maggioritaria e liberticida (il cosiddetto Porcellum), con premio di maggioranza e liste bloccate, che sostituiva l’elezione con la nomina e la cooptazione. Dopo gli anni di crisi, la nuova maggioranza ha fatto suo il precedente discorso; lo spoils systemè diventato “rottamazione”; una nuova revisione della Costituzione con i vecchi rischi di deriva è stata respinta e, a dispetto della censura giurisdizionale, una nuova legge elettorale (Italicum) riproponeva la vecchia logica: tutto o niente; conta il capo, non le idee. Dopo una nuova censura, la legge vigente (Rosatellum) conferma il vizio più grave: liste bloccate, parlamentari nominati.

Prendere la democrazia sul serio

L’alterazione delle istituzioni segue da venti anni la stessa trama fino alle idee e pratiche preoccupanti degli attuali governanti. Il superamento del parlamento, le restrizioni al libero mandato, la democrazia digitale manipolabile, il sorteggio dei parlamentari, il referendum facile non sono che una versione esasperata del modello politico promosso già prima nel discorso pubblico (governo e capo “voluto dalla gente”, maggioranza certa la “sera delle elezioni”, denigrazione del voto secondo coscienza, legittimazione attraverso i sondaggi, caccia alla “casta”), nella normativa elettorale (liste bloccate, premi di maggioranza, indicazione del premier o del capo politico), nei progetti di revisione (franca o insidiosa) e nella realtà politica (partiti con o senza parvenza di democrazia interna ridotti a strutture di comando alla conquista del potere personale). Da quattro legislature i parlamentari sottostanno ai capo-partito. Ovunque si nominano fedeli alla maggioranza. La massima giurisprudenza non ha saputo ostacolare il nuovo corso. I media sono discreditati o colonizzati.
Senza un ripensamento dell’ideale democratico sarà difficile fermare la deriva populista.

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26 commenti

  1. Savino

    L’ignoranza della “gente” è, ormai, arrivata a livelli intollerabili alle soglie del 2020. La “gente” è tenuta ad informarsi in maniera corretta e a saper distinguere, con la diligenza del buon padre di famiglia, fior da fiore, pure quando c’è evidente faziosità.
    Nell’Italia di oggi, a maggior ragione, l’ignoranza non è scusabile. Il cittadino italiano, anzichè fare il saputello sui social network, dovrebbe ritornare (o andarci per la prima volta per davvero) a scuola ad imparare i rudimenti del vivere civile, dello stare con gli altri, oltre che ad imparare finalmente un lavoro. Perchè l’italiano, in questi anni, ha saputo solo fare il criticone su tutto e su tutti, ma a scuola era un somaro e l’abilità di un mestiere tra le mani non la possiede, così è stato travolto da 10 anni di crisi e non gli è rimasta che la frustrazione.
    Lasciamo occuparsi di riforme politiche, economiche, scientifiche e sociali chi ha approfondito per una vita queste materie, senza stare sempre a criticare e a lamentarsi, e cerchiamo di conferire più fiducia nelle loro mani per il nostro benessere e per il nostro futuro.
    E’ inutile la nostalgia per lo sciagurato passato della prima Repubblica, che per fortuna non tornerà mai più, si parli più di futuro e, soprattutto, più di giovani.

    • Henri Schmit

      A “Savino”: Più che colpa degli elettori ignoranti l’attuale disastro, il governo degli ignoranti, mi sembra preparato dai precedenti governanti. Non solo io, ma numerosi studiosi (posso citarne 10, forse 20) italiani e stranieri datano l’inizio dell’ultima deriva populista in Italia a oltre 20 anni fa. Non capisco che cosa possa far pensare che io sia nostalgico di non so quale passato. Non capisco in quali mani esperte e benevoli dovrei affidare il mio futuro. Credo da sempre, in politica ed in economia, in un liberalismo ragionevole, pragmatico, limitato dalle regole e dai valori sociali, che l’ignoranza, alcuni preconcetti di sinistra e l’ideologia rozza dei liberisti rischiano di allontanare sempre di più. La seconda Repubblica deve ancora nascere. Finora i (troppo?) numerosi esperti hanno provocato più danni che speranze.

      • Savino

        Insisto. Non si può accantonare la questione per cui questo modo becero di governare odierno è frutto di una esplicita volontà del popolo. Sta diventando chiaro a tutti come il 4 marzo scorso il popolo abbia evidentemente sbagliato a votare, accecato dalla rabbia e dal rancore e sotto l’adrenalina della propria ignoranza. Il popolo che si ostina a dire di avere ragione, a fronte del deficit presente o della situazione demografica presente, sull’assistenzialismo del reddito di cittadinanza o sullo smantellamento supposto della legge Fornero è un popolo doppiamente fallace, poichè associa all’ignoranza la malafede di porre il proiprio portafoglio davanti ad ogni bene comune. Spero, per il futuro, che la società voglia fare maggiore autocritica, affinchè pragmatismo non sia sinonimo di egoismo.

        • Henri Schmit

          Francamente, il suo popolo, a mio modesto parere, non esiste. Esistono i proponenti e i governanti (che giudichiamo nello stesso modo, mi pare) e gli elettori che votano con la pancia, con l’intuito, pro e contro chi pensano procuri loro maggiori vantaggi. Nessuno ha votato per l’attuale coalizione nata in seguito a precise decisioni dei vari protagonisti, in particolare dei più cinici. Il popolo francamente non c’entra, nemmeno indirettamente.

          • Savino

            Il popolo aveva tutti gli elementi (alcuni sulla sua pelle) per giudicare, la qual cosa non ha saputo fare per egoismo. Il discorso vale anche per le due forze politiche singolarmente prese, ove una di esse avesse avuto più del 50 per cento per governare da sola.

      • Savino

        il populismo e le idee liberticide nascono anche laddove non si vuole essere contraddetti, creando una sorta di pensiero unico.

        • Henri Schmit

          Mi piace dovermi giustificare e le sono grato delle osservazioni critiche.

  2. Marcello Romagnoli

    Faccio rispendere per me il linguista, filosofo, accademico, teorico della comunicazione e attivista politico, prof. Noam Chomsky: “…il «populismo», un concetto con una storia mista, spesso piuttosto rispettabile”.

    E per prevenire il rischio di essere accusato di aver decontestualizzato la frase, per tutte le persone di buona volontà, posto anche il link all’articolo da dove ho preso il virgolettato.

    https://comedonchisciotte.org/il-popolo-si-sta-rivoltando-contro-le-elite-che-lo-hanno-ingannato-il-populismo-non-centra-e-ha-anche-una-storia-rispettabile/

    • Henri Schmit

      Grazie di questo bellissimo commento! Non penso di contraddire Chomsky. Se populismo è (secondo me o meglio secondo Rosanvallon) abuso della procedura democratica, il confine con la democrazia vera è davvero sottile; ma la deriva può portare molto lontano! Per questa ragione cito Colin Crouch, che criticando il governo dell’élite allargata semplifica, ma non ha torto. L’analisi teorica migliore è forse quella di William Riker, 1982, Liberalism against Populism; basta rileggere il primo e l’ultimo capitolo; l’autore evidenzia con chiarezza l’argomento centrale del mio articolo: la democrazia non è fondata sul voto popolare a maggioranza e basta, ma la regola della maggioranza è solo una procedura sempre perfettibile per trovare la migliore scelta condivisa valida nel tempo, e quindi non basta.

  3. Jacopo

    Grazie per l’interessante contributo che mi trova d’accordo a metà (la prima metà). Nella seconda metà mi pare che si ponga eccessivo accento a vari tentativi che sono stati provati per dare maggiore stabilità al governo (monopartito o di coalizione) che ha vinto le elezioni in quanto in Italia uno dei problemi è proprio l’instabilità delle maggioranze/governi. Per esempio, in fondo anche in Francia vi sono forti tutele affinchè il partito o la coalizione che vince le elezioni (e che solo raramente rappresenta la maggioranza degli elettori) possa governare per l’intero arco della legislatura. O mi sbaglio? E non mi pare che in quel caso molti parlino di attentato alla democrazia. Ho anche dei dubbi sulla nomina diretta dei membri del parlamento, almeno in Italia, dove il clientelismo è una pratica molto utilizzata.

  4. Henri Schmit

    Si, due revisioni e due leggi elettorali, tutte e quattro censurate dall’elettorato o dalla Corte, hanno provato a rinforzare la stabilità del governo, ma a spese dell’autonomia, della rappresentatività e della credibilità del Parlamento. Avrei promosso riforme diverse per rinforzare il governo senza rinunciare alla centralità e indipendenza del Parlamento, e garantendo inoltre uno strumento di correzione di ultima istanza al popolo sovrano. Si, dal 1962 la Francia ha corso il rischio di una deriva plebiscitaria, ma è il comportamento del generale che l’ha evitata: lui contrariamente ad altri si è definitivamente dimesso nel 1969 dopo una sconfitta su quesiti secondari, pretestuali. I progetti attuali di revisione in Francia sono più preoccupanti: una riforma costituzionale promossa dai soli governanti di solito finisce male o molto male. L’idea dell’elezione diretta è invece valida. Se è immaginabile per il capo dell’esecutivo, perché rinunciarvi per i singoli legislatori? Lei sembra preferire i danni del clientelismo di partito a quelli più mitigati degli appartenenti ai partiti. L’argomento non è una questione di opinione o di gusto, ma di conformità ai principi di tutte le costituzioni democratiche.

  5. bob

    E’ inutile la nostalgia per lo sciagurato passato della prima Repubblica, ”
    Il Paese all’avanguardia quale è? Quelli con le corna in testa vestiti di verde?

    • Henri Schmit

      Con tutto il rispetto non capisco la nostalgia per non so quale prima repubblica (forse ha letto i commenti invece dell’articolo) né l’allusione a non saprei quale avanguardia. Più concretamente penso che l’Italia abbia una costituzione bellissima sulla carta, ma pessima nell’attuazione, ora in piena deriva che molti chiamano populista. Positivamente rinforzerei il governo (potere e responsabilità) senza rinunciare alla centralità del parlamento; sopprimerei la seconda camera (invece di renderla “omogenea”, una follia!) e farei risorgere il senato come organo solo consultivo, senza poteri, ma con un prestigio ed un influenza potenzialmente immensi. Serve anche il referendum propositivo vincolante, d’iniziativa popolare, in tutte le materie, ma a condizioni molto severe (firme, maggioranza degli aventi diritto a novecento dei votanti). Ma siamo giù fuori tema dell’articolo.

    • Savino

      L’avanguardia non è certo la casalinga di Voghera che, con la sua inesperienza, fa il Ministro dell’Economia o della Salute.
      Il popolino abbassi la cresta, sia consapevole delle criticità e capisca che, questa volta, non c’è più mamma-Stato che ti assiste perchè il mondo è cambiato. Prima lo si fa, meglio è, siamo già in abbondante ritardo.

      • Francesco Castagna

        Sono perfettamente d’accordo e concordo con il fatto che il populismo arriva già dalla fine degli anni 60. Nasce anche dalla mancanza di dialogo tra le generazioni dalla incapacità dei giovani di ascoltare le parole sagge degli anziani. L’anziano che racconta la sua vita fa della cronaca annoia può anche non essere ascoltato ma chi testimonia insegnamenti morali se delegittimato si comporta come un bambino.

  6. Cesare Cariolato

    Condivido l’analisi del Prof Schmit, specie la prima parte, e la conclusione a risposta per cui la democrazia non è fondata sul voto popolare a maggioranza e basta.Tuttavia la seconda parte dell’articolo mi pare semplicistica e quasi provocatoriamente direi che anche le campagne contro il primo Berlusconi hanno contribuito a deligittimare la classe politica. Ritengo che troppi fattori ci hanno portato alla situazione attuale non da ultimo il fatto che una crisi dllle istituzioni nel senso più ampio ha portato molti ad invocare un “capo branco” in grado di guidare il “Popolo”. Del resto siamo pur sempre una specie sociale con forti legami gerarchici.

    • Henri Schmit

      Grazie del commento. La mia seconda parte sostiene solo che, visto che il confine fra democrazia e populismo è sottile, molti elementi che ora denunciamo nei partiti e esponenti governanti sono stati introdotti nella retorica, nel comportamento e nella normativa nei vent’anni precedenti. Numerosi studiosi italiani e stranieri hanno interpretato le politiche dei governi Berlusconi come populisti. Alcuni estendono tale interpretazione al governo Renzi. Nonostante le differenze, anche importanti, ma più di grado che di sostanza, condivido questa analisi o questo giudizio. Il parallelismo diviene macroscopico quando l’analisi si concentra sugli aspetti istituzionali, come faccio nell’articolo. Il rischio che corriamo ora è che i nuovi governanti imitino i loro predecessori e lancino un loro progetto di revisione costituzionale, lo approvino a maggioranza semplice e …. lo facciano ratificare attraverso il referendum confermatorio.

    • bob

      “campagne contro il primo Berlusconi hanno contribuito a deligittimare la classe politica.” La classe politica è stata spazzata via nel ’92 dove con un progetto studiato a priori ( Di Pietro docet) si “è gettata l’acqua con il bimbo”. Poi tanti ” masanielli” e populisti urlanti che sono cresciuti in fretta in un brodo favorevole che si chiama: localismo e regionalismo!i ! Il populismo becero è direttamente proporzionale alle beghe locali, paesane che fanno perdere di vista al Paese progetti, vedute lungimiranti

  7. franco benincà

    La caduta delle élite ha carattere ciclico nella storia ed essenzialmente è dovuta da una serie di cause: sono arroccate in ordinamenti autoreferenziali con severe barriere di entrata, si allontanano progressivamente dalla realtà, difendono ad oltranza principi superati dal tempo, sono deboli e adòttano politiche di appeasment. Al loro interno dilaga la corruzione volta ad una autoconservazione applicando principi di cooptazione e nepotismo ostinato

    • Henri Schmit

      Sono d’accordo, c’è qualcosa di moralistico nella critica al populismo: si cercano criteri obiettivi che poi si rivelano se va bene valoriali, se no semplicemente di segno politico opposto. Gli antipopulisti temono di essere rottamati, soppiantati dai populisti. La democrazia non è però solo procedura ma presuppone uno zoccolo di valori che valgono a prescindere da quello che preferiscono di volta in volta gli elettori e … gli eletti. Il successo dei populisti (definiti come coloro che propongono politiche semplificate, con presunti vantaggi immediati, a prescindere dagli svantaggi di medio termine ) sarebbe allora massimo nei paesi (per ipotesi simili sotto altri profili) in cui questi valori supremi sono più facilmente aggirati.

  8. Francesco Rocchi

    L’articolo è interessante ma fraintende completamente il senso della riforma costituzionale, non figlia del populismo, ma ad esso ultimo argine.
    Fosse passata, oggi il Senato non sarebbe omologo alla Camera, ma espressione di autorità locali slegate dall’ultime elezioni, e con poteri di controllo costituzionali. Il Senato, ad esempio, con la riforma sarebbe potuto intervenire sulle navi lasciate fuori dai porti, ad esempio.
    La riforma costituzionale dava nuova linfa e funzionalità alla rappresentanza.
    Per il leaderismo, è vero che Salvini gli ha ridato slancio, ma la Lega non è un partito personalistico e il M5S non ha un leader, ma tanti comprimari.
    Per il populismo, gioca sicuramente il fatto che le istituzioni sono le stesse di 80-100 anni, quando i sistemi erano meno integrati. Ora le economie sono globali, ma la rappresentanza ancora locale. Questo spaventa e spinge nel localismo chiuso e securitario. In più, l’Italia dopo un po’ di alternanza ha conosciuto una lunga stagione di intese istituzionali fragili ed emergenziali, in cui il margine di manovra dei governi erano così stretti che comunque andassero le elezioni, ci si ritrovava sempre con le stesse politiche. L’aver compresso la possibilità del popolo di scegliere un governo “di parte” è tra le concause che ha segnato il successo del “nuovo”, anche se privo di qualsiasi cultura istituzionale o idea reale di governo.

    • Henri Schmit

      Condivido il commento in parte: La riforma costituzionale di per sé non era populista. Alcuni elementi puntavano invece in quella direzione: l’impronta iper-maggioritaria doveva creare un’omogeneità strutturale fra governo, maggioranza parlamentare e schieramento politico (partito) di maggioranza. Lo strumento delle liste bloccate rendeva, e rende tuttora, gli eletti dipendenti dai capopartito più o meno dispotico. L’abolizione maldestra del bicameralismo paritetico, le competenze, la rappresentanza, la composizione e l’elezione del Senato riducevano l’obbligo della doppia approvazione a pochi casi, spesso casi. C’era tanto fumo di misure di per sé valide intorno al vero progetto di una chiara iper-maggioranza dietro l’uomo forte del momento. In democrazia funziona diversamente: meglio scegliere il capo dell’esecutivo direttamente, confermare i poteri di controllo e di autonomia, anche individuale (art. 67), del Parlamento eventualmente monocamerale, e rinforzare i contro-poteri ahimé debolissimi nel confronto comparativo. Quattro mesi prima del referendum ho pubblicato un articolo (Lezebuerger Land, … catastrophe annoncée…) che sosteneva che con qualsiasi esito il paese andava verso una catastrofe, consegnando attraverso la super-maggioranza tutto il potere ai populisti. Ora con la nuova legge elettorale ne abbiamo ben due al governo! Sono d’accordo che la struttura della Lega non è dispotica, ma con lo stratagemma delle liste bloccate lo sarà presto!

  9. Henri Schmit

    A sostegno della mia tesi ring io ad un articolo di diritto sulla metamorfosi dei partiti strutturati e radicati di massa in partiti personali di conquista del potere dal prof. Claudio De Flores pubblicato il 26 aprile su Costituzionalismo.it, scoperto solo adesso. L’autore fa coincidere questa metamorfosi con l’affermarsi del populismo. Condivido l’analisi dottrinale con due osservazioni: è limitata, per scelta, al contesto costituzionale italiano e non menziona in alcun modo lo strumento elettorale delle liste bloccate, dei parlamentari nominati dal rispettivo leader. Questa omissione rende la conclusione (in diritto lacune o difetti hanno sempre un rimedio) poco convincente.

  10. Pietro Brogi

    Personalmente ho riscontrato in ogni governo, non negli ultimi venti anni ma in molti di più vene di populismo. Ogni volta che si cercano di utilizzare falsamente dati statistici per cercare di ‘farsi belli’ e di convincere il popolo, ogni volta che si ingannano tutti coloro che non sono in grado di accedere a fonti sicure od addirittura si creano fonti fraudolente o si mistifica la realtà utilizzando Comunicazioni di massa non in grado di fare il proprio lavoro si commette uso ed abuso di populismo. Per me erano populiste le scarpe regalate una alla volta a Napoli e le dichiarazioni di stabilità della lira alla Fiera di Bari nel 1992 da parte di Amato. Non parliamo nemmeno delle dichiarazioni di Berlusconi… Come erano populiste le dichiarazioni di Monti sulla equità che avrebbe utilizzato (La riforma delle pensioni future avrebbe dovuto semmai coinvolgere le pensioni in essere), era populista il ‘tutto va ben Madama la Marchesa di Letta, e le innumerevoli dichiarazioni di Renzi, spesso più populiste di auelle rese attualmente: non sono populisti gli elettori ma quei politici che non sono in grado di sostenere un confronto con gli elettori sulla base di fatti ma preferiscono relegarli e comprimerli nella ignoranza ed ingannarli.

    • Henri Schmit

      Generalizzando troppo il discorso perde significato. La mia tesi è ben diversa: sono i discorsi e parte delle politiche, in particolare i progetti di riforma istituzionale, dei governi Berlusconi e Renzi che hanno preparato l’attuale deriva populista. I comportamenti populisti o demagogici sono, come lei giustamente sostiene, più comuni. Mario Monti mi pare non sia stato populista fino alla campagna elettorale in proprio (con il cagnolino in tv, riflesso della proposta politica?) che segnò la fine della sua carriera governativa. Solo Enrico Letta sembra salvarsi da qualsiasi accusa di populismo.

      • Pietro Brogi

        Mi scusi, solo oggi leggo la risposta, che non mi era stata annunciata.
        La mia tesi in effetti è che si stia abusando (populisticamente) della presunta deriva populista che non ha ragione di essere enfatizzata. Solo una maggiore possibilità di accesso a fonti non sempre attendibili rende più facile il propagarsi delle informazioni anche false e fuorvianti.
        Per Mario Monti, di cui avevo grande stima, auspicando nel luglio 2011 il suo avvento, ho citato un esempio che mi colpì particolarmente dopo la sua nomina, e cioè la dichiarazione di una impronta di equità, nella necessaria manovra, che nella pratica io non ho assolutamente riscontrato, in particolare per la riforma pensionistica.
        Per Enrico Letta erano per me populiste le quotidiane dichiarazioni di ottima situazione, senza nessun riscontro di un miglioramento né progettuale né suffragato da dati.
        Grazie per prendere sempre in considerazione i commenti!

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