In Italia i minori stranieri sono oltre un milione e più della metà ha meno di otto anni. È soprattutto per loro che va rivista la legge sulla cittadinanza. Ma per evitare confusioni e diffidenze, la riforma dovrebbe fondarsi sullo ius culturae.
Stranieri, ma nati in Italia
Sul cosiddetto “ius soli” c’è molta confusione e strumentalizzazione, la prima creata soprattutto dai mass media, la seconda dalla politica. Per fare un po’ di chiarezza può essere utile partire dai dati.
La popolazione residente italiana è composta da oltre 60 milioni di abitanti. Oltre 5 milioni di loro sono stranieri, anche se fanno strutturalmente parte, appunto, di quella che viene formalmente definita come “popolazione residente italiana”.
Questa componente “non italiana” della popolazione “italiana” è molto eterogenea al suo interno. Ci sono persone nate in paesi dell’Europa occidentale (come spagnoli e svedesi), persone nate in paesi recentemente entrati nell’Unione europea (come bulgari e rumeni), persone nate in paesi dell’Europa orientale extra UE (come Albania e Ucraina), persone nate in paesi occidentali “extracomunitari” (come svizzeri e statunitensi) e tutto il resto del mondo (come Marocco, Cina e Perù). Ma il paese di nascita in assoluto prevalente tra chi è oggi straniero in Italia è…l’Italia. Si tratta dei membri delle cosiddette “seconde generazioni”: stranieri per legge, quindi, ma non di fatto, perché è questo (spesso) l’unico paese che conoscono e l’italiano è la lingua che meglio sanno parlare.
Quanto nel 1992 è stata varata la legge sulla cittadinanza attualmente in vigore (basata sullo “ius sanguinis”), questa componente era molto bassa. Si trovava in tale condizione meno del 2 per cento dei bambini residenti in Italia. Oggi i minori stranieri sono oltre un milione e più della metà ha meno di 8 anni. La grande maggioranza è nata in Italia o vi è arrivata senza memoria del paese di origine dei genitori. Nelle prime classi elementari oltre un bambino su dieci è “straniero”, anche se conosce solo l’Italia, ha frequentato solo scuole italiane, viene formato da insegnanti italiani sulla storia, la geografia e la cultura italiana.
Da condizione rara, l’ingresso in prima elementare di bambini considerati stranieri seppur nati in questo paese è diventata una condizione comune. Nasce da qui il tema del ripensamento della legge sulla cittadinanza, con il dibattito pubblico che si è, però, trovato a girare a vuoto attorno alla questione dello “ius soli”.
Il boomerang dello “ius soli”
Precisiamo subito che sono molto pochi i paesi (come gli Stati Uniti, che hanno una loro storia particolare) in cui vige lo “ius soli”. Se idealmente potrebbe essere la soluzione auspicabile, l’assegnare automaticamente subito alla nascita la cittadinanza ha varie controindicazioni che hanno portato gran parte dei paesi, anche i più tolleranti, a non adottarlo (o ad averlo abbandonato). E va anche considerato che l’idea di un tale automatismo, in una fase di forte preoccupazione dell’opinione pubblica sulla pressione migratoria, tende a suscitare timori e resistenze. Se l’idea di concedere la cittadinanza a chi è nato qui ed è già qui da anni, all’interno di un processo di integrazione della famiglia, è considerata largamente condivisa, più controversa è invece l’applicazione dell’automatismo a chiunque e in qualsiasi modo arrivi sul nostro suolo.
Dalla larga apertura di qualche anno fa, come testimoniavano vari sondaggi, verso una revisione della legge sulla cittadinanza si è passati più recentemente a una diffusa perplessità, se non ostilità, per tre motivi. Il primo è la mala gestione della questione da parte del Partito democratico che tra iniziali fughe in avanti e successive incertezze ha trasformato un tema condiviso in un boomerang. È sembrata una scelta imposta dall’alto, non preceduta da una campagna di informazione e da un dibattito pubblico su perché era utile rivedere la legge del 1992 e su come farlo avendo in mente contemporaneamente l’interesse del paese e, al suo interno, quello dei nuovi italiani. Assieme a questo c’è stata l’incapacità dei mass media di affrontare il tema, usando in modo iper-semplificatorio e distorto la locuzione “ius soli”, alcuni ad arte, altri solo per colpevole insipienza. Tutto questo ha offerto su un piatto d’argento alle forze xenofobe quella confusione che, assieme al timore per gli sbarchi, poteva facilmente prestarsi ad essere trasformata in consenso elettorale.
Da dove ripartire ora? Da salvare c’è soprattutto lo “ius culturae” che condiziona la richiesta di cittadinanza all’aver superato almeno un ciclo scolastico. Si potrebbe pensare di partire dalle elementari per chi è nato in Italia, monitorarne gli effetti e poi via via allargare agli altri cicli scolastici e a chi è arrivato poco dopo la nascita. Insomma, si tratta di mettere in atto un processo controllato, condiviso che superi i limiti attuali, ma che dia il segnale giusto che è nell’interesse del paese far sentire questi bambini e questi ragazzi come parte attiva di un futuro comune. Un futuro da migliorare con il rafforzamento della loro istruzione e del loro senso di appartenenza.
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Willian A. Smith
In pratica conviene lasciare lo ius sanguinis. Aver amturato un ciclo scolastico ed avere la cittadinanza a 13 anni o averla a 18 cambia poco. Con la differenza che a 18 anni é il soggetto a scegliere per quale cittadinanza optare e non i genitori
Henri Schmit
Bisogna precisare che ius sanguinis e ius soli (sottointeso della nascita) sono estremi fra i quali si muovono le varie legislazioni. Il diritto fondato sul luogo della nascita E della residenza potrebbe benissimo implicare a 18 anni o prima un automatismo, e non solo una naturalizzazione a richiesta (NB: sono ammesse le doppie cittadinanze). In Italia è prevista la naturalizzazione dopo anni di residenza stabile, ma prevale il ius sanguinis che si estende al diritto di voto dei connazionali residenti magari da sempre all’estero, concesso nel 2001 (legge Tremaglia, ex MSI). Nel frattempo addirittura la Francia ha copiato. Senza ammettere l’assurdo ius soli della nascita (l’America degli immigranti aveva ragioni per adottare tale misura), è dovuto un ius sedis (della residenza prolungata), perché la comunità è quella e non c’è ragione di discriminare fra comunità e popolo (sovrano). I rivoluzionari francesi l’avevano capito: godeva dei diritti politici chi residieva sul suolo francese da almeno 12 mesi; Thomas Paine, scozzese e americano è stato eletto a settembre del 1792 nella Convenzione nazionale; bastava iscriversi sulle liste elettorali. Le sedicenti democrazie di oggi assomigliano più alla democrazia esclusiva razziale di Atene dove per limitare il potere dei numerosi meteci poteva votare solo chi era nato da due genitori ateniesi. In Italia anche il vigente diritto alla naturalizzazione è zoppo perché la procedura dura quasi quanto è richiesto di residenza. Vergogna!
Luca Ba
Credo che la gran parte della popolazione parta da un presupposto diverso, una volta che una persona ottiene la cittadinanza non può più essere cacciata dall’Italia anche in caso di gravi crimini. Questa è una speranza degli italiani di fronte all’incapacità del nostro sistema giuridico e carcerario di garantire la certezza della pena e quindi visto che si dà per scontato che per certi reati non si sarà mai puniti almeno gli stranieri potrebbero essere espulsi. In realtà è anche questo un errore perchè come non riesce a punire così il sistema non riesce neppure ad espellere, in ogni caso penso che lo ius soli potrebbe essere accettato solo con un sistema di giustizia più efficiente allo stato attuale chiunque lo proponga lo fa contro il parere della gran parte dei cittadini.
Angelo
Infatti da anni si discute di ius culturae, basta andare a vedere il testo approvato dalla Camera dei deputati la scorsa legislatura e arenatosi al Senato (al seguente link http://leg17.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00940816.pdf), l’Atto Senato 2092. E’ evidente, purtroppo, che in Italia c’è una maggioranza politica che si oppone anche a questa riforma. D’altronde nessuno ha in mente, almeno credo, di riconoscere la cittadinanza solo per il fatto di essere nati sul suolo italiano.
Mohamed Mahmoud
Straniero non significa che in automatico non si possa soggiornare in territorio Italiano, anzi. Non capisco quale vantaggio per gli italiani possa esserci nel naturalizzare ulteriori persone, queste possono permanere, lavorare, versare contributi all’INPS da stranieri, se è questo ciò che vogliono fare in Italia e per l’Italia. Se si tratta invece di godere di altri vantaggi non vedo reciprocità con chi è già membro del club. Le risorse non sono infinite e sono contendibili, voi che siete una rivista di divulgazione (anche) economica dovreste non solo saperlo, ma ricordarlo in ogni singolo articolo. Io restringerei l’attuale sistema che permette di ottenere la cittadinanza ai cittadini stranieri nati in Italia e qui cresciuti all’ottenimento di un diploma di scuola secondaria superiore entro il compimento dei 20 anni. Altrimenti possono permanere liberamente da stranieri.
Lello Panzieri
Non capisco perche’ si sia cosi’ restii a proporre quello che qui in UK gia’ esiste: l’esame di cittadinanza.