Il Parlamento europeo ha approvato la direttiva sul copyright. Le norme più controverse sono ora più blande. E i produttori di contenuti online ottengono una migliore tutela dei loro diritti di proprietà intellettuale rispetto alle grandi piattaforme.
Perché una direttiva sul copyright
Nel febbraio 2019 – per evitare un eventuale veto posto in seno al Consiglio europeo – Parlamento, Consiglio e Commissione si sono accordati per una versione più blanda della direttiva sul copyright, la cui prima versione era stata approvata dal Parlamento a settembre 2018. La direttiva, finalizzata alla creazione di un mercato digitale unico (sulla falsariga del Mercato unico europeo) attraverso una tutela uniforme dei diritti di proprietà intellettuale su file digitali come testi, filmati e audio, viene per l’appunto edulcorata con riferimenti agli articoli più controversi, cioè l’articolo 11 sulla cosiddetta “link tax” (ora articolo 15) e l’articolo 13 sul cosiddetto upload filter (nuovo articolo 17).
Come discutevo qui, per lungo tempo si è coltivata l’illusione secondo cui internet potesse funzionare come meccanismo egualitario e democratico di diffusione dei contenuti, mentre la realtà dei fatti è andata in una direzione diversa, cioè quella della dominanza esercitata da pochi motori di ricerca e pochi social network che funzionano in maniera accentrata da mega-piattaforme finanziate in larghissima parte dai proventi pubblicitari. A loro volta, i produttori di contenuti si sono lamentati per il fatto che le piattaforme non pagavano loro “il giusto prezzo” come remunerazione del diritto d’autore: nella fattispecie si tratta dei giornali e dei produttori di notizie nei confronti dei siti che aggregano le notizie come Google News e dei produttori di video e brani musicali che compaiono su YouTube e su social network come Facebook e Twitter.
Cosa è cambiato nella versione finale
La versione della direttiva sul copyright digitale approvata dal Parlamento europeo a settembre 2018, soprattutto con gli articoli 11 e 13, spostava il bilanciamento della tutela del diritto d’autore a favore dei produttori di contenuti e a svantaggio delle grandi piattaforme. L’articolo 11 (ora articolo 15) riguarda l’estensione del diritto d’autore per gli editori e in generale i produttori di notizie nei confronti degli “information society service providers”, cioè le piattaforme che ospitano link e riassunti delle notizie stesse. Nella versione finale votata il 26 marzo è stato confermato il fatto che i produttori di contenuti possono negoziare direttamente con le piattaforme il pagamento di un compenso per l’utilizzo delle loro notizie, ma rispetto alla versione di settembre si prevede che gli “snippet” (cioè i brevi testi che riassumono la notizia sugli aggregatori come Google News) siano esclusi da tale contrattazione. Dunque, il “pendolo” degli interessi contrapposti si è spostato a favore dei produttori di contenuti, ma in misura leggermente più blanda rispetto alla versione precedente.
Dall’altro lato, l’articolo 13 (ora articolo 17) fa riferimento ai contenuti audio e video, per i quali è necessario che le piattaforme verifichino l’identità di chi detiene il diritto d’autore e – grazie a tecnologia adeguata – siano in grado di rimuovere i contenuti dietro richiesta di chi detiene i diritti originali. I siti devono dunque dotarsi di “filtri sul caricamento” (upload filter) ed esercitare il “massimo impegno” per rimuovere i contenuti qualora siano stati caricati senza il consenso del loro legittimo proprietario. Rispetto alla versione votata a settembre la dizione relativa al “massimo impegno” è più blanda e sono esplicitamente esclusi dall’applicazione i cosiddetti “meme”, cioè spezzoni corti di un video tipicamente modificati a fini satirici, e in generale ogni riutilizzo a fine di satira, commento o recensioni, con una giusta tutela della libertà di espressione da parte dei cittadini, che possono produrre opere creative “derivate”, come per l’appunto le prese in giro e i commenti.
Si può dunque apprezzare come gli eccessi contenuti nella versione iniziale della direttiva siano stati smussati nel testo finale, pur mantenendo la ragione generale della direttiva, cioè quella di tutelare i diritti di proprietà in ambito digitale rispetto all’anarchia precedente. D’altro canto, suona piuttosto bizzarra l’argomentazione secondo cui l’obbligo imposte alle piattaforme con fatturato oltre una certa soglia di dotarsi di upload filter danneggi gli operatori europei troppo piccoli rispetto ai giganti statunitensi (e cinesi) come Google, Facebook, Twitter e Wechat: se la politica industriale europea è stata troppo timida nel sostenere la nascita e lo sviluppo di grandi imprese digitali, perché mai si dovrebbe combattere ora una battaglia di retroguardia come quella sui costosi upload filter quando quella industriale vera è un’altra e per ora è largamente persa?
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Francesco
“D’altro canto, suona piuttosto bizzarra l’argomentazione secondo cui l’obbligo imposte alle piattaforme con fatturato oltre una certa soglia di dotarsi di upload filter […]” I requisiti sono 3, cioè fatturato, numero di utenti ed età del portale (minore di 3 anni), da soddisfarsi tutti e 3 contemporaneamente per essere esclusi dagli obblighi ex articolo 17. Parlare di “piattaforme con fatturato oltre una certa soglia” è estremamente fuorviante.
Ermes Marana
Ma la smettete con questa maledetta operazione di disinformazione?
Gli upload filters non esistono; l’unico in funzione (quello di Youtube) é talmente abusabile da parte di produttori, distributori o semplici troll da renderlo di fatto non uno strumento per lo scopo per cui é pensato (tutti spariti da Youtube i contenuti protetti da copyright, vero?) ma un vero e proprio strumento di censura.
Davide Gedda
Ottima mossa dal punto di vista di chi considera l’UE ormai irrecuperabile. Un carrozzone burocratico inutile e parassitario: la norma è stata introdotta esclusivamente per aiutare quel mediocre di Emmanuel Macron, con il suo progretto fallimentario di far di Parigi una Silicon Valley europea. Finalmente qualcosa che infastidisce l’utente comune a tal punto da inviare lettere di protesta e rende evidente che la classe dirigente globalista è interamente autoreferenziale a scapito dei cittadini comuni. Una norma su cui i partiti patriottici marceranno per anni, tra i piagnistei dei media di regime. Quasi peggio degli errori commessi sull’immigrazione, ma comunque benvenuta. Il conflitto è insanabile.
Federico Leva
Per chi fosse interessato a una sintesi da esperti di copyright, c’è
https://www.create.ac.uk/policy-responses/eu-copyright-reform/
Un paio recenti
https://www.create.ac.uk/wp-content/uploads/2019/03/Academic_Statement_Copyright_Directive_24_03_2019.pdf
https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=24298&LangID=E