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Flat tax, maneggiare con cautela

Perché in Italia la flat tax esercita tanto fascino? È davvero così diversa dall’Irpef? E quali potrebbero essere i suoi effetti? A queste e altre domande cerca di rispondere un agile libriccino di cui pubblichiamo qui un estratto.

Il fascino della flat tax

Da un paio d’anni in Italia si discute molto di flat tax. Proposte per modificare l’attuale imposta sul reddito in questa direzione sono state presentate sia da economisti che da politici, tanto che entrambi i principali partiti della coalizione più votata alle elezioni del 4 marzo 2018, Lega e Forza Italia, dedicavano ad essa un posto importante nei rispettivi programmi di governo. Successivamente, nel maggio 2018 Movimento 5 stelle e Lega hanno sottoscritto un contratto di governo che, tra gli impegni più rilevanti, prevede per l’Irpef il passaggio ad una “quasi” flat tax con due aliquote, molto vicine tra loro: 15 e 20 per cento.

In realtà la flat tax ha fatto il suo esordio nei programmi di governo di vari partiti politici ormai più di vent’anni fa. Nel 1994 Silvio Berlusconi, appena sceso in campo, promise un’aliquota unica al 33 per cento, ispirato anche da numerose campagne presidenziali statunitensi dove proposte di flat tax periodicamente riaffiorano. […] È curioso notare che, malgrado nessuna flat tax abbia fin qui visto la luce, e nonostante oggi la spesa pubblica da finanziare sia molto più alta rispetto al 1994, le varie proposte che si sono susseguite hanno visto via via ridursi l’aliquota promessa, tanto che il 33 per cento del Berlusconi di un quarto di secolo fa ci pare quasi di sinistra. I conti pubblici peggiorano, il debito aumenta eppure le promesse elettorali diventano sempre più temerarie. Perché proprio in Italia la flat tax esercita tanto fascino? È davvero così diversa dall’Irpef che oggi paghiamo sui nostri redditi? Quali sono le sue caratteristiche distintive e quali potrebbero essere i suoi effetti se venisse introdotta nel sistema tributario italiano? Cosa è successo nei paesi in cui è stata applicata? Queste sono le principali domande a cui il libro cerca di dare risposta.

Proporzionale o progressiva?

[…] Nella sua versione più semplice la flat tax è un’imposta che moltiplica con una sola aliquota tutta la base imponibile. Questa imposta è proporzionale, nel senso che povero e ricco versano un’uguale percentuale del proprio reddito, anche se in assoluto l’imposta aumenta con il crescere del reddito. Dobbiamo quindi concludere che la flat tax sia proporzionale? Non necessariamente, perché è facile renderla progressiva. È sufficiente infatti introdurre una deduzione, cioè una riduzione del reddito prima dell’applicazione dell’aliquota, o una detrazione, cioè una riduzione dell’imposta dovuta, per rendere progressiva anche un’imposta ad aliquota unica. Tutte le varie proposte di flat tax presentate in Italia sono progressive per deduzione. Anche in gran parte dei paesi dell’Europa orientale che adottano la flat tax essa è progressiva, raramente proporzionale.

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[…] La flat tax viene di solito associata a posizioni politiche di destra favorevoli ad una riduzione del peso dello stato nell’economia. Uno dei suoi maggiori sostenitori è stato infatti Milton Friedman, che nel suo Capitalismo e Libertà del 1962 ha proposto l’imposta negativa. Per passare dalla flat tax all’imposta negativa è sufficiente che si aggiunga un solo requisito: quando il reddito è inferiore alla deduzione, allora l’imposta non viene messa a zero come nella flat tax, ma diventa un trasferimento a cui il contribuente ha diritto. Nel 1996 Anthony Atkinson, uno degli economisti più attenti alla difesa del welfare state e alla lotta alle diseguaglianze, recentemente scomparso, ha scritto un libro che ha come sottotitolo The basic income/flat tax proposal, nel quale propone una radicale riforma del sistema di tax-benefit centrata su un’imposta ad aliquota unica e su un sussidio universale incondizionato. L’imposta negativa è stata dunque invocata da economisti molto lontani per orientamenti politici e preferenze distributive, come il liberale Friedman e il laburista Atkinson.

[…] Anche senza imposta negativa, una sola aliquota è sufficiente per la progressività, ed è questo il caso politicamente rilevante, non quello di flat tax proporzionale. Spesso si ribatte a questa constatazione che sì, in teoria la flat tax può essere progressiva, però di fatto lo sarebbe molto meno dell’Irpef attuale, risolvendosi in un forte regalo ai redditi più alti. Vedremo che, relativamente alle proposte in campo oggi in Italia, questo giudizio è fondato. Teoricamente, però, una flat tax potrebbe essere anche molto progressiva. Tutto dipende dalla scelta dell’aliquota e della deduzione che definisce l’area esente. Nel capitolo finale presentiamo in dettaglio gli effetti distributivi delle proposte di flat tax formulate in Italia negli ultimi tempi. Qui consideriamo in termini generali le conseguenze distributive di una flat tax. Confrontiamo, per chiarirci le idee, due ipotesi teoriche di riforma:

  1. flat tax con forte riduzione del gettito rispetto all’Irpef attuale: aliquota 25 per cento.
  2. flat tax con uguale gettito: aliquota 35 per cento.

Il primo caso vuole assomigliare alle proposte oggi in campo in Italia. Immaginiamo che l’unica differenza tra le due ipotetiche flat tax sia l’aliquota unica, bassa nel primo caso e necessariamente molto più alta nel secondo. Per entrambe la base imponibile è il reddito familiare, non quello individuale come per l’Irpef di oggi. La deduzione è uguale alla linea di povertà calcolata secondo il criterio Eurostat. La figura contiene l’incidenza media di queste imposte e dell’Irpef sul reddito complessivo, per famiglie classificate in ventili di quest’ultimo: ogni gruppo comprende il 5 per cento delle famiglie italiane, ordinate per valori crescenti di reddito complessivo equivalente. Entrambe le flat tax sono chiaramente progressive: l’incidenza cresce con il reddito. L’ipotesi con aliquota bassa riduce il carico per tutte le famiglie tranne che per il più povero 10 per cento, che già ora non paga Irpef. Ma al prezzo di circa 50 miliardi di gettito in meno, con conseguente forte crescita del deficit pubblico. Per evitare questo problema si potrebbe pensare ad una flat tax a parità di gettito con l’Irpef di oggi. Servirebbe un’aliquota unica del 35 per cento, con effetto redistributivo molto diverso: guadagnerebbero i poveri e i redditi alti, mentre la classe media in parte sarebbe indifferente e in parte perderebbe. A parità di gettito, se qualcuno guadagna altri devono rimetterci. Insomma, senza perdita di gettito il passaggio alla flat tax si tradurrebbe in un cattivo affare per la classe media, in un beneficio esteso ad un’ampia platea di redditi bassi ma tutto sommato modesto, e in un guadagno significativo per il 5 per cento più benestante.

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Figura 1 – Incidenza dell’Irpef e di due ipotesi di flat tax per ventili di reddito complessivo familiare equivalente

Fonte: nostre elaborazioni su dati Silc

Se la flat tax è poco conveniente per le classi medie, come mai sembra aver riscosso un ampio consenso nelle elezioni del marzo 2018? Forse perché questa suggestione si è intrecciata con quella, ben più potente, del calo delle tasse. […] Nessuno proponeva infatti di passare alla flat tax mantenendo costanti le entrate. All’obiezione che una perdita di gettito di decine di miliardi sarebbe insostenibile e obbligherebbe il governo a tagliare la spesa, si può ribattere che gli elettori hanno interpretato la promessa di una flat tax con aliquota molto bassa (o quasi flat tax con due aliquote vicine e basse) come un generico ma forte impegno a ridurre le imposte e semplificare il sistema fiscale.

Massimo Baldini e Leonzio Rizzo, Flat tax. Parti uguali tra disuguali?, Il Mulino, Bologna, 2019, pagine 136, 11 euro.

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  1. Henri Schmit

    Proporzionale significa una linea piatta, progressiva una retta diagonale, in teoria infinita. Con mai nell’economia digitale che ha generato redditi e indirettamente patrimoni immensi, mai visti dai tempi di Creso e di Fugger, sicuramente non dalle rivoluzioni liberal-democratiche, anti-dispotiche del 700, si propone una flat tax o comunque un cap molto basso alla tassazione dei redditi più alti? Non si dovrebbe fare proprio l’opposto, nell’era digitale? Ma il colmo è che l’idea estemporanea viene promossa proprio nel paese con i maggiori problemi 1. di disuguaglianze sociali (indice Gini), 2. di debito pubblico, interessi passivi e deficit cronico, e 3. di inefficienza fiscale, di squilibrio fiscale (dipendenti vs. indipendenti) e di evasione fiscale? Non ha ragione Landini che dice che si tratta di un’enorme presa in gira? di un doppio inganno: 1. perché dietro l’apparenza di favori fiscali ai ceti medi si creano nuovi privilegi per i più fortunati e 2. perché non si farà davvero, si aumenta il bizantinismo invece di ridurlo e tutto serve solo alla campagna elettorale davanti ad un’opinione pubblica corrotta da un quarto di secolo di demagogia e un mondo accademico complice, senza giudizio.

  2. Roberto Convenevole

    L’articolo dovrebbe essere stato firmato a rigore dalla Redazione che, con la decisione di pubblicare un estratto di un libro, evidentemente condivide totalmente le tesi dei due Autori. Non essendo un esperto di Scienza delle Finanze, che invece abbondano su La Voce, mi limito a rispondere alla prima domanda (perché in Italia la FT esercita tanto fascino?). La risposta è secondo me semplice: nessun Paese civile ha una aliquota Irpef così elevata sul primo scaglione di reddito: 23%. Da anni nonostante le addizionali (la mia aliquota marginale è il 43%), il rapporto tra le due è solo 1,87. Fino alla riforma Visco del 1996-97 quel rapporto era 7,2!! Le detrazioni, deduzioni ecc. non cambiano la sostanza. Pertanto l’Italia ha di fatto un sistema fiscale che massacra i lavoratori dipendenti con i redditi più bassi ed i pensionati con pensioni basse. Su questa platea, che per vari motivi diversi si sta restringendo, si regge di fatto il nostro sistema fiscale che io qualifico, non essendo un esperto della materia, come un sistema altamente regressivo. Dopo Visco abbiamo avuto Tremonti che portò la prima aliquota al 23%. Forse sbaglio, ma non mi pare che la Commissione Ceriani istituita da Tremonti nel 2010 abbia mai partorito proposte per uscire dal ginepraio delle cosiddette spese fiscali. Con il ché ci trasciniamo da allora le cosiddette clausole di salvaguardia sull’IVA. Nei decenni il sistema Irpef si è imbastardito ed a questo punto il popolo vuole la Flat Tax.

    • Giuseppe GB Cattaneo

      Osservazioni interessanti.

    • Amegighi

      Sono daccordo con la sua valutazione negativa della pressione fiscale italiana. Ma, forse, ciò non è la conseguenza delle enormi spese che dobbiamo sostenere ? Se decidiamo di abolire la Fornero, e aumentiamo il debito, da qualche parte i soldi li dobbiamo tirare fuori. Oppure dobbiamo tagliare, ma non solo le spese superflue, credo.
      Comunque alla fine è un serpente che si mangia la coda, lo riconosco.
      Ma se andiamo alla flat tax, non mi sembra che le nazioni dell’Est che la applichino possano essere considerate come modello di libero mercato, nè di democrazia aperta.
      Lasciando perdere valutazioni politche, l’IVA dell’Ungheria è la più alta dell’UE (quindi i soldi da qualche parte ritornano allo stato…..) e sono da segnalare le recenti proteste per l’obbligo introdotto per legge di un certo numero di ore straordinarie all’anno (400) che il datore di lavoro potrà pagare in 3 anni. Diciamo che non siamo proprio nella condizione ideale per valutare un reale effetto della flat tax…..

    • Henri Schmit

      Ottimo intervento!

    • Vincenzo

      Osservazioni molto interessanti. A tutto ciò si deve capire se e come gli enti locali avranno ulteriori margini di manovra per aumentare le addizionali. Spero non accada, ma credo si corra il rischio che se da una parte diminuisce la tassazione nazionale, si vedrà poi aumentare la tassazione locale: il saldo nelle tasche delle famiglie non è detto che sia a zero

    • Ottimo e condivisibile commento. Conferma la discussione che avvenne in Ass. Cost. il 23 maggio 1947 dove venne abolita l’allora sistema di fatto, nel suo insieme, proporzionale! Infatti i costituenti volevano che i tributi indiretti sui consumi, essendo regressivi che penalizzavano in modo grave ed ingiusto le classi meno abbienti, trovassero la loro progressività in sede di accertamento del reddito globale personale effettivo. Purtroppo tutto questo non è attuato e le gravi ingiustizie che danneggiano le classi meno abbienti si sono amplificate.Basti pensare alle aliquote IVA ed Irpef. L’IVA dal 1973, ha sostituito l’IGE che aveva 2 aliquote del 2 e del 3 per cento, è passata da una media per consumi di 1a e 2a necessità del 6% ed una del 38% sui beni di lusso, ad una media odierna del 12 su consumi di 1a e 2a necessità ad una massima del 22% su prodotti di 1a e 2a necessità ma anche su beni di lusso essendo stata abolita nel 1992 quella del 38%.Per esempio: quando mettiamo sullo stomaco un pezzo di pane vi entra al 4% ed esce al 22% con la carta igienica elevata a prodotto di lusso!

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