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End of waste: e dai rifiuti nascono beni

L’end of waste è una grande opportunità per un paese che ha bisogno di occuparsi di ambiente, sostenere lo sviluppo e contrastare lo smaltimento illegale dei rifiuti. Per superare l’attuale situazione di stallo si potrebbe dare più spazio alle regioni.

Cos’è l’end of waste?

È di questi giorni la notizia della firma al decreto “end of waste” che consentirà di riciclare i pannolini usati. Allo stesso tempo si registra la presa di posizione della regione Lombardia sul rilascio delle autorizzazioni agli impianti che producono biometano dai rifiuti. Sono due passi concreti per sostenere l’economia circolare.

Ma cosa si intente per EoW, end of waste? Si tratta del processo che consente a un rifiuto trasformarsi in un non-rifiuto, cioè in un prodotto. Si legittima così, normativamente, la trasformazione di un costo (rifiuto) in valore (non-rifiuto) e si esce dalla disciplina amministrativa e dei controlli dei rifiuti. È un processo che richiede di essere disciplinato con cura, prima di tutto dall’Ue e in seconda battuta dai singoli stati membri.

Assecondare le innovazioni di processo e di prodotto all’interno dei circuiti dell’EoW è, dunque, il cuore di una strategia a sostegno dell’economia circolare e più in generale dell’ambiente, in una fase in cui, con il decreto “sblocca-cantieri” in via di approvazione, sembra che il riavvio degli investimenti in Italia sia entrato finalmente nell’agenda di governo.

L’Italia è un paese da sempre all’avanguardia nel settore del riciclo, ancora prima che l’Ue intervenisse e che venisse codificata normativamente la trasformazione da rifiuto a non rifiuto. E sinora le regioni vi hanno svolto un ruolo attivo.

Lo stop agli impianti di riciclo

Nonostante le richieste delle aziende del riciclo di spingere sull’EoW per sostenere l’economia circolare, l’iter per l’emanazione dei regolamenti e dei decreti procede molto lentamente. L’incertezza rallenta pesantemente la spinta all’innovazione, che è esattamente uno dei tratti tipici del settore.

Cosa è stato fatto finora? L’Ue sino a oggi ha approvato tre regolamenti, che hanno segnato il cambio di status per i rottami metallici, di vetro e di rame. Solo tre provvedimenti portano invece la firma del ministero dell’Ambiente: combustibile solido secondario (Css), conglomerato bituminoso e prodotti assorbenti per la persona (Pap). Mentre sono in corso di lavorazione i decreti per il polverino di gomma, per i rifiuti da costruzione e demolizione (C&D), per le plastiche miste. Il resto è ancora da fare, pur con le pressanti richieste del mondo delle imprese che ha la tecnologia e il know how per trasformare i rifiuti in valore, evitando di continuare a intasare discariche e inceneritori.

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C’è di più: due recenti sentenze, la prima del Consiglio di stato (n. 1229 del 28 febbraio 2018) e la seconda della Corte di giustizia Ue (C-60/18 del 28 marzo 2019) hanno bloccato la possibilità (che si era affermata nella prassi) che le regioni, in attesa dei decreti governativi, potessero rilasciare le autorizzazioni agli impianti per i processi di end of waste. Un’impasse che costa, in termini economici ed ambientali.

Le opportunità nella filiera del biometano

Uno dei processi di recupero che richiede una regolamentazione urgente dei criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto è quello finalizzato alla produzione e immissione in rete del biometano, una fonte di energia rinnovabile prodotta dal trattamento di residui agricoli e dell’industria alimentare, da effluenti zootecnici, dalla frazione organica dei rifiuti urbani (Forsu) e dai fanghi di depurazione in impianti di digestione anaerobica.

I vantaggi che la filiera del biometano può assicurare sono di due tipi, uno ambientale e uno economico.

Dal punto di vista ambientale, oltre alla neutralità delle emissioni di CO2 rispetto ai carburanti e combustibili di origine fossile, la produzione di biometano in impianti di digestione anaerobica può rappresentare la risposta al deficit del paese nel trattamento del rifiuto organico (Forsu e verde), degli scarti agroindustriali e dei fanghi prodotti dalla depurazione dei reflui (civili e industriali).

Dal punto di vista economico, il via alle autorizzazioni alla produzione di biometano potrebbe avere un impatto rilevante, soprattutto se si considera l’intera filiera. La stima del fabbisogno residuo di trattamento dell’organico al 2035, pari a circa 2,3 milioni di tonnellate/anno, richiederebbe infatti l’avvio di 52 impianti di digestione anaerobica e investimenti per circa 1,4 miliardi di euro. Inoltre, la vendita di biometano rappresenterebbe una prospettiva di ricavo interessante per le aziende titolari degli impianti. I potenziali introiti si aggirano tra 1,5 e 3 miliardi di euro l’anno a seconda del canale di vendita (all’ingrosso con ritiro da parte del Gse-Gestore dei servizi energetici o ai distributori) al netto degli incentivi.

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Organo tecnico e spazio alle regioni

Per superare lo stallo servono regole chiare, filiere tracciabili e trasparenti e soprattutto sistemi di controllo moderni ed efficaci.

Una soluzione potrebbe essere la costituzione presso il ministero dell’Ambiente di un organo tecnico dedicato alla disciplina dei processi di EoW, con un calendario preciso e tassativo da rispettare. Le indicazioni per l’avvio dei decreti per le singole filiere potrebbero provenire dalle singole regioni, che giocherebbero un ruolo di apripista con il rilascio delle autorizzazioni in via provvisoria, da inviare contestualmente al ministero, il quale si pronuncerebbe sulla validazione (o annullamento) del provvedimento, che laddove recepito verrebbe esteso in modo omogeneo a tutto il territorio nazionale.

EoW è una grande opportunità in un paese che ha bisogno di occuparsi di ambiente, sostenere lo sviluppo e contrastare lo smaltimento illegale. Perché indugiare oltre?

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  1. Complimenti per l’ottimo articolo. Probabilmente sentendo i “decisori” sentiremo che una proposta complessiva è allo studio e sarà presentata entro fine mese. Sta di fatto che la gestione dei rifiuti (che potrebbero essere davvero una miniera a cielo aperto generando migliaia di posti di lavoro invece di essere un problema) è un problema per ogni azienda, piccola o grande che sia. Peraltro l’attuale gestione (perlomeno nel mio settore dei RAEE) non prevede incentivi particolari alle aziende per una migliore suddivisione del rifiuto (tenete conto che potrebbe essere recuperato oro, platino, terre rare, rame,…..) ma semplicemente un conferimento indifferenziato. Inoltre non è previsto un incentivo per il riuso e il riciclo (mentre in Germania ad es. i computer dismessi dai ministeri vengono venduti su ebay in Italia certamente paghiamo per il loro ritiro).
    Spero caldamente che il vostro articolo venga letto dagli attuali “decisori pro tempore”.

  2. F.Mario Parini

    Sono sempre stato un sostenitore nella mia carriera ambientale della digestione anaerobica; anzi ero contrario alla fliiera del compostaggio come era un tempo impostata. Per mia esperienza il materiale organico deve essere sottoposto alla digestione anaerobica classica o wet; successivamente dopo aver prodotto il metano il materiale risultante può essere destinato alla digestione aerobica/compostaggio. Il vantaggio di questa procedura è evidente , si sfrutta la parte putrescibile e non si consuma ossigeno per produrre anidride carbonica. Gli impianti di digestione anaerobica/wet dovrebbero essere diffusi per sfruttare tutti i residui organici non valorizzabili e gli sfalci( prati,strade,aiuole,ecc.). Questo settore potrebbe creare migliaia di posti di lavoro e permettere la produzione di parecchi miliardi di mc di metano. Il confronto con la fermentazione alcolica è favorevole al metano; non sono necessari processi particolari mentre per la produzione dell’alcol è necessario procedere alla distillazione ed alla rettifica. . Speriamo che venga incentivata e sostenuta una politica di sviluppo di questo settore

  3. mauro zannarini

    La natura non fa scarti, è la nostra incompetenza che produce rifiuti.
    Quarant’anni fa basai le mie ricerche sul riutilizzo degli inquinanti delle acque reflue, recuperandoli come prodotti utilizzabili e l’acqua depurata come prodotto di scarto del processo di trattamento.
    Mi fa piacere che finalmente invertendo le priorità s’inizi a vedere una soluzione; spero solo che come allora non si dia priorità ai parolai e si veda più scienza nelle Leggi.
    Normare pesantemente un settore in pieno sviluppo, rischia di tarpare le ali ad una debole neonata Economia Circolare.

  4. Andrea A.

    Ma se si desse la competenza ad ARERA per aggiornare ed ampliare, visto lo sviluppo tecnologico, le condizioni per l’EoW. Sarebbe una buona idea?

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