Molti i pensionamenti dovuti a quota 100 nel nostro Servizio sanitario nazionale. Viceversa, sono pochi i medici pronti a sostituire coloro che se ne vanno. Risultato di una scarsa programmazione e, forse, di troppi ostacoli per diventare medico.
L’imbuto formativo
I medici in Italia sono anziani. Talmente anziani che entro il 2025 si prevede, causa pensionamenti, il dimezzamento dell’intera categoria degli specialisti del nostro Servizio sanitario nazionale, da 105 mila a poco più di 52 mila.
Un esodo che non sorprende. Il blocco del turnover, volto al riassestamento delle regioni con squilibri di bilancio, da anni aveva impedito la sostituzione degli specialisti in uscita da parte di medici giovani, causando un progressivo invecchiamento del personale. La tendenza però ha subìto una brusca accelerazione con l’introduzione dell’opzione quota 100 che, anticipando l’età di pensionamento, ha gettato benzina sul fuoco. Le stime presentate dal rapporto del sindacato Anaao Assomed sulle proiezioni di pensionamento indicavano, con la legge Fornero, l’uscita di circa 20 mila medici nei prossimi tre anni. Adesso, con quota 100, si prevede un’impennata fino a 38 mila pensionamenti entro il 2021.
Chi li sostituirà? I nuovi medici che concluderanno il percorso di specializzazione nei prossimi anni sono pochi e i dati del rapporto ci permettono di osservare le stime del flusso netto per singola disciplina nel periodo 2018-2025.
Figura 1
E proprio in vista del 2025, anno in cui mancheranno in totale più di 16 mila medici, alcune regioni si sono mosse autonomamente. Dal Molise che ha chiesto l’intervento di medici militari, al Veneto che punta sull’assunzione di professionisti stranieri. La risposta però va ricercata a livello più strutturale.
Come si diventa medici
La formazione in medicina e chirurgia è un cammino lungo, in cui ai sei anni di laurea magistrale a ciclo unico si sommano i tre o cinque anni di scuola di specializzazione. L’ingresso iniziale ai corsi di laurea magistrale è vincolato al numero chiuso deciso a livello ministeriale ed è seguito per i neolaureati dall’esame di abilitazione e da quello di accesso alla scuola di specializzazione.
Proviamo a quantificare. In media, ogni anno si iscrivono ai corsi di medicina circa 10 mila studenti, di cui mediamente l’80 per cento conclude gli studi e dovrà sostenere l’esame di abilitazione alla professione e di ammissione alle specializzazioni. Le borse di specializzazione disponibili sono state in media 7 mila ogni anno, dunque meno del numero di neolaureati. Gli esclusi da questa seconda selezione andranno dunque a ingrassare le fila di coloro che tenteranno il test l’anno successivo. È il cosiddetto “imbuto formativo” che secondo l’Associazione liberi specializzandi tende a escludere ogni anno in media 233 neolaureati appena abilitati, per i quali non c’è un posto di specializzazione (figura 2). E senza considerare l’aspetto cumulativo.
Figura 2
Eliminare il numero chiuso serve?
È a questo problema che il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti vorrebbe dare risposta. Con un post su Facebook ha ribadito la mancanza di personale ospedaliero e ha quindi annunciato un aumento del 18 per cento di posti nei corsi di laurea in medicina e chirurgia. Può essere una soluzione? È importante considerare prima di tutto che, con un percorso di formazione così lungo, una modifica del numero chiuso non produrrebbe effetti reali sul Ssn prima di una decina d’anni.
Pur tralasciando il fatto che più studenti richiedono più strutture, più professori e aule più attrezzate, la popolazione studentesca attuale risulta già sovradimensionata rispetto ai reali fabbisogni del sistema sanitario. Negli ultimi cinque anni l’aumento dei posti è stato del 25 per cento rispetto al quinquennio precedente, senza però una reale visione complessiva. Infatti la programmazione ha tralasciato l’aspetto più importante: la selezione delle scuole di specializzazione.
Figura 3
È sufficiente aumentare le borse di specializzazione?
Il ministro della Salute, Giulia Grillo, nella sua intervista a Porta a Porta di qualche giorno fa ha ribadito l’impegno del governo ad aumentare di 1.800 le borse di specializzazione, come previsto nella legge di bilancio 2019. Va però considerato che il test di ammissione alle scuole specialistiche permette di indicare sede e disciplina di preferenza. Nel caso si fosse selezionati per una sede, ma non fosse la prima scelta, si può rinunciare e ritentare l’esame l’anno successivo, di fatto sprecando una borsa di specializzazione. L’Associazione liberi specializzandi quantifica lo spreco per il 2016, quando il 12,2 per cento di studenti iscritti a specializzazioni ha scelto di ritentare l’anno successivo, in un totale di 510 borse perse.
Dunque, del totale dei contratti di specializzazione, solo una parte si trasforma effettivamente in medici specialisti per la sanità pubblica italiana. Infatti, anche escludendo coloro che non termineranno il percorso, si stima che il 25 per cento dei neo-specializzati non sceglierà di entrare nel Ssn, ma opterà per il settore privato o per aziende ospedaliere di altri paesi.
Cosa si può fare?
Un report di Anaao Assomed propone, tra le altre cose, di far passare la formazione degli specializzandi dal ministero dell’Istruzione Università e Ricerca al ministero della Salute, in linea con ciò che avviene negli altri paesi europei. Secondo questo modello, l’università si dovrebbe occupare della formazione teorica, ma la formazione pratica avverrebbe all’interno del Servizio sanitario nazionale. Oggi infatti lo studente pratica il tirocinio esclusivamente negli ospedali universitari e la sua formazione è totalmente a carico del Miur. Dargli la possibilità di formarsi in tutti gli ospedali accreditati potrebbe aumentare la qualità della formazione riducendone i costi per le università.
Lo stesso rapporto propone di svolgere l’ultimo biennio in una struttura del Ssn, lavorando con un contratto di formazione-lavoro a tempo determinato. In questo modo, gli specializzandi uscirebbero prima dalle mura universitarie per essere formati sul campo. La soluzione, cofinanziata da stato e regioni, potrebbe far risparmiare alle casse pubbliche diversi milioni di euro, che potrebbero essere utilizzati per la creazione di nuove borse di studio.
Il decreto Calabria, approvato definitivamente il 19 giugno 2019 dal Senato, è in linea con questa proposta perché si occupa non solo di misure emergenziali per il Servizio sanitario della Regione Calabria, ma apporta anche modifiche urgenti in materia di Sistema nazionale. In particolare, viene data la possibilità agli studenti specializzandi all’ultimo anno (o al penultimo nel caso di specializzazioni quinquennali) di essere assunti a tempo determinato all’interno del Ssn. Questo farebbe aumentare subito gli specialisti negli ospedali e permetterebbe agli studenti di entrare nel mondo lavorativo in linea con quanto avviene nel resto dell’Unione Europea. Resta da vedere se basterà.
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Arduino Coltai
Articolo lucido e conseguente. Non ha senso eliminare il numero chiuso che garantisce comunque in media un’alta qualità dei giovani che accedono a medicina. E’ necessario rivedere il meccanismo di accesso alle scuole di specializzazione evitando lo spreco di borse già stanziate. E’ comunque davvero incredibile che nel 2019, con gli strumenti informatici e tecnologici che ci sono la politica non riesca a gestire una programmazione sensata circa il numero di professionisti che serviranno nel paese in un prossimo futuro, così da poter evitare per tempo e correggere i problemi di carenza (o di sovrannumero per altre professioni).
Amegighi
Assolutamente daccordo con la seconda parte del suo commento. Non siamo di fronte a situazioni sconosciute o improvvise, ma ad una condizione che era ampiamente prevedibile da anni e quindi facilmente aggiustabile. Un esempio in più (se ve n’era bisogno) della totale inadeguatezza dei nostri amministratori politici di vedere al di là di un range temporale breve e di progettare a medio-lungo termine.
Riguardo alle Scuole di Specializzazione, vorrei però sottolineare due aspetti che forse sono sfuggiti all’Autore dell’articolo (oltre a sentire l’Anaao, giustamente, occorrerebbe anche valutare la normativa vigente in Italia e soprattutto UE).
1. Le specialità durano 4 o 5 anni (non 3 o 5 anni) e sono equiparate a livello europeo
2. Come conseguenza dell’equiparazione europea, i medici generali e specialisti possono esercitare in UE, ma ovviamente le regole della loro preparazione devono essere simili
Ne deriva l’obbligo di frequenza nel Corso di Medicina e la Borsa Ministeriale nella Specialità, che avrebbe dovuto essere un qualcosa di simile alla borsa di dottorato. A tale riguardo nei primi anni della nuova normativa “europea” delle scuole di specialità le borse non furono erogate e vi furono proteste e ricorsi degli specializzandi. La normativa europea prevede borsa (di studio) e, soprattutto, tutoraggio (in poche parole, non tocchi il paziente senza uno specialista dietro di te). Qui invece la borsa paga sostanzialmente un servizio erogato.
Michele
Tutto chiaro, in sintesi i medici “generici” sono troppi, gli specialisti pochi. Motivo: poche borse per gli specializzandi. Alcuni dicono: aumentiamo il numero di borse… in effetti è corretto. Butto li un altra idea: perchè non aboliamo le borse e diamo accesso libero agli specializzandi (magari con un filtro sul curriculum o un esame di ingresso) facendo rientrare la specializzazione come una continuazione del corso di laurea? Io dopo la laurea io ho pagato per il post laurea, nessuno mi ha dato soldi! ho lavorato gratis (o quasi) come stagista e mi sono pagato corsi post laurea, ma d’altronde tutti fanno così. Perchè i medici sono diversi? io non riesco a capirlo, e la mia è una domanda senza alcuna vena polemica.
gianpaolo
In Europa gli specializzandi sono pagati, in Italia è così da 20 anni per obbligo europeo(dal 1991,anno in cui mi sono laureato), in passato la specializzazione era gratis, la frequenza non era full time, molti arrotondavano con piccoli lavori. Molti colleghi hanno fatto ricorso, lo stato sta spendendo milioni di euro in risarcimenti. La borsa di studio paga un lavoro full time ben oltre le 38-40 ore di un lavoro comune, credo che dopo sei anni di laurea (e non 3 o 5) e l’obbligo di altri 4-5 anni di formazione full time, senza rimborsi, ma pagando fior di tasse, credo il numero di aspiranti medici crollerebbe. Ti ricordo che in Francia, Germania, la pletora di stagisti che lavora gratis o paga, è ridotta, vi sono leggi che impongono un rimborso spese.
and
vi propongo un sogno: se oggi tutti gli studenti che accedono all’università si iscrivessero a medicina, nel 2050 no ci sarebbero abbastanza medici per curare tutta la popolazione mondiale…..
ps non é un sogno sono proiezioni molto attendibili un pò come quelle che l’inps é tecnicamente fallito
Paolino
!) Il “mestiere” di specialista s’impara lavorando sotto controllo, prendendosi responsabilità progressive( quindi remunerati per il lavoro )con il fiato del collega “vecchio” sul collo, che è dirigente e quindi dotato di autorità ma anche corresponsabile con lo specializzando. 2) il numero di posti in specializzazione va dosato sulle necessità dell’utenza ( ad es. saranno necessari molti più geriatri
nel prossimo futuro ),Quindi lo specializzando dovrebbe studiare ( lezioni, esami, tesine ecc,), in università ma formarsi in ospedale: pagato dall’ospedale