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Alcune precisazioni sullo spread

La febbre dello spread ha abbandonato i mercati (per il momento), ma non la politica. Non è un caso quindi che il nostro esercizio di fact-checking abbia suscitato polemiche e sia stato criticato, soprattutto su Twitter.

L’argomento è scivoloso, perché simulare gli effetti sui conti pubblici di rialzi dei tassi è complicato, in quanto presuppone ipotesi “controfattuali” (cosa sarebbe successo in assenza della tempesta sui mercati) che non sono facili da formulare. Ma sforzarsi di farlo in maniera trasparente aiuta a mettere a fuoco il problema.

L’accusa che ci è stata rivolta è di avere mal interpretato la frase dichiarata dall’On. Silvio Berlusconi durante la trasmissione “Omnibus” su La7 del 15 gennaio (orario 8:31): “L’aumento dello spread ci è costato poco meno di 6 miliardi”. Ci è stato fatto notare che l’On. Berlusconi si riferiva al costo annuo e non al costo totale dell’innalzamento dei rendimenti sul nostro debito sovrano. In verità, la frase è identica a quella riportata e il fatto che in seguito si citi il flusso della spesa pubblica annua per far capire che 6 miliardi sono pochi non implica di per sé che vadano anche loro interpretati come flusso e non come stock. Ma ammettiamo (senza concedere) che fosse quello il significato e vediamo di nuovo i numeri del nostro esercizio.

Tra parentesi, come avevamo scritto e per andare incontro sia all’On. Berlusconi sia al Sen. Mario Monti abbiamo interpretato la parola “spread” come sinonimo (improprio, ma ormai di uso corrente) di “rendimento”. E abbiamo anche sorvolato sulla differenza tra “rendimento” e “interesse” effettivamente sborsato dallo Stato. Chiusa parentesi.

Torniamo a noi. Se davvero si è interessati all’aggravio annuo (come flusso), non disponendo di una palla di vetro, la prima scorciatoia percorribile è calcolarlo “a regime” (in steady state, per usare il gergo degli economisti). La differenza fra il rendimento medio (ponderato su tutte le emissioni) nel periodo della crisi (2011Q3-2012Q4) e quello nel precedente periodo di riferimento (2010Q1-2011Q2) è pari a 115 punti base. Di conseguenza, dato uno stock di debito circolante pari a 2.020,67 miliardi, il costo di un simile aumento del rendimento a regime ammonterebbe a quasi 23,24 miliardi (18,24 miliardi, se si vuole tenere conto che all’incirca soltanto il 78,5% del debito pubblico è detenuto sotto forma di titoli di stato).

Chiaramente, come sottolineavamo nel nostro esercizio, questa semplice previsione suppone che il livello del debito a regime si mantenga sui livelli attuali, mentre gli impegni europei – Fiscal Compact in primis – prevedono una riduzione significativa nell’arco dei prossimi decenni. Infine, ulteriori risparmi o aggravi di spesa possono essere causati da una modificazione della composizione del debito (durata dei titoli, emissioni a tasso fisso o variabile, ecc.). Tuttavia, se si vuole calcolare il flusso annuo, l’ipotesi controfattuale a regime resta la più semplice e qualsiasi alternativa sarebbe altamente discrezionale. Per questo il Sen. Monti ha detto una frase sostanzialmente corretta: perché, con mestiere, ha aggiunto la postilla “a regime”.

Se si è interessati invece al costo una tantum della crisi del 2011-12, appunto perché si tratta di un calcolo una tantum e non a regime, ha meno senso calcolare un flusso annuo, perché si tratta di un aggravio di costi causato da uno shock limitato nel tempo e la distribuzione degli effetti si distribuisce su un supporto alquanto asimmetrico e determinato dalla maturità dei titoli emessi in quel periodo. Ma, anche se non lo riteniamo del tutto rilevante, completiamo lo stesso il nostro esercizio con il calcolo richiestoci dai nostri critici. La durata media (ponderata) delle emissioni su cui abbiamo calcolato il costo dell’aumento dello spread (quelle emesse nel periodo 2011Q3-2012Q4) è di 2,95 anni (di molto inferiore alla durata media del debito in circolazione perché c’è stato un accorciamento della durata del debito durante la crisi). Il costo simulato è di 28,72 miliardi (si ricordi che per andare incontro alla frase dell’On. Berlusconi abbiamo effettuato una stima di questo costo per difetto, non considerando 3 miliardi di BTP indicizzati a 3 anni emessi a partire dal luglio 2011 per mancanza di un corrispettivo pre-crisi). Quindi il costo medio annuo (sottostimato) è all’incirca pari a 9,75 miliardi. Resterebbe comunque il fatto che l’On. Berlusconi ha sottostimato il costo dell’aumento dello spread.

Concludendo: lo scopo dei nostri esercizi è quello di proporre una serie di numeri (da fonti accertate) o di nostre simulazioni (basate su ipotesi trasparenti) intorno ai problemi sollevati dalle dichiarazioni spesso in contrasto tra loro rilasciate dai politici. Questo abbiamo fatto finora e questo continueremo a fare.

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  1. Marcello

    In effetti questi esercizi di simulazione sui costi dello spread sono complicati. Perché non provate a calcolare il tasso medio di oscillazione? Prendiamo la durata del governo Monti, x mesi, calcoliamo le variazioni percentuali dello spread (per es. se va da 100 a 150 aumenta del 50%; e se torna a 100 diminuisce del 33.3%) mese su mese, e facciamo una media. Dopodiché calcoliamo lo stesso tasso medio di oscillazione per gli ultimi x mesi del governo Berlusconi (uguali ai mesi in cui il governo Monti è stato finora in carica). Mi pare un calcolo utile, perché l’effetto dello spread si dispiega nel lungo periodo, quindi la sua tendenza è una misura molto rilevante. Ma non ho mai incontrato comparazioni di questo tipo.

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