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È un regalo alle banche il Pos anti-contanti?

In Italia circola ancora troppo contante. Bene dunque che il governo proponga incentivi all’utilizzo dei pagamenti elettronici. Ma nello stesso tempo dovrebbe promuovere una maggiore trasparenza sulle commissioni pagate dai negozianti alle banche.

Gli incentivi sui pagamenti elettronici

Il decreto fiscale collegato alla legge di bilancio 2020 ha previsto diversi incentivi ai mezzi di pagamento diversi dal contante: da gennaio prossimo, una lotteria con premi fino a un milione per chi comunica il proprio codice fiscale al rilascio di uno scontrino, nonché l’abolizione di alcune deduzioni e detrazioni se la spesa avviene cash; da luglio 2020, nuove sanzioni (pari a 30 euro più il 4 per cento della spesa) per i commercianti che non consentono il pagamento tramite terminali Pos, ma anche un credito d’imposta del 30 per cento sulle commissioni versate dagli esercenti; dal 2021, la restituzione ai contribuenti del 10 per cento delle spese “tracciabili” sostenute in settori ad alta evasione fiscale; dal 2022, infine, la riduzione a mille euro del limite all’utilizzo del contante.

In Italia circola troppo contante?

Si tratta di uno sforzo ammirevole, anche se non sempre efficace (se un medico disonesto chiede 100 euro in contanti, difficilmente cambierà idea per paura di una sanzione prefettizia di 34). Tuttavia, suscita due domande: in Italia c’è davvero troppo contante? Gli incentivi ai Pos nascondono un sussidio alle banche?

La risposta alla prima domanda è affermativa. Secondo uno studio pubblicato nel 2017 dalla Banca centrale europea, nel nostro paese 86 transazioni su 100 (pari al 68 per cento del valore) avvengono in contante, contro una media di 79 (54 per cento del valore) nell’area dell’euro. L’Italia è allineata alla Spagna e fa leggermente meglio della Grecia, ma impallidisce davanti alle 68 transazioni (28 per cento del valore) della vicina Francia. Un maggior utilizzo dei pagamenti elettronici non comporterebbe peraltro particolari problemi di “esclusione finanziaria”, visto che – come spiega la Banca d’Italia – solo l’1,6 per cento degli intervistati non possiede strumenti alternativi alle banconote.

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Un sussidio alle banche?

La risposta alla seconda domanda è più complessa, perché le commissioni richieste ai negozianti che adottano un Pos non brillano per trasparenza. Anche il comunicato del “tavolo” istituito dal ministero dello Sviluppo economico con gli operatori del settore non risulta particolarmente eloquente, visto che parla di commissioni annue “mediamente intorno” ai 25-180 euro.

Uno sguardo alle condizioni praticate da alcuni istituti di credito consente comunque di mettere a fuoco tre livelli di costi: un contributo una tantum per l’installazione del terminale, un canone mensile e una trattenuta sulle transazioni. Se l’installazione costa circa 100 euro (ma può anche essere gratuita), i canoni sono piuttosto eterogenei (in genere, tra 12 e 40 euro) e la trattenuta sull’incasso oscilla generalmente tra l’1 e il 3 per cento. Alcune banche specificano che si tratta di “valori massimi derogabili”, una prassi che certamente non giova alla confrontabilità delle offerte. Vi sono anche operatori non bancari che vendono, a prezzi non elevati, terminali Pos particolarmente semplici (piccoli apparecchi che si “appoggiano” al cellulare del negoziante e inviano la ricevuta al cliente per e-mail), incassando poi una commissione dell’1-2 per cento sui pagamenti effettuati.

Per promuovere l’adozione dei Pos con oneri accettabili, dunque, il governo dovrebbe farsi promotore di una maggiore trasparenza, per esempio subordinando il credito d’imposta (esteso a tutti gli operatori e al costo d’acquisto dei terminali) all’adozione di uno schema tariffario standardizzato, non modificabile e pubblicato su un sito internet comparativo.

Diversamente, resterà il dubbio che la grande guerra al contante non vada oltre qualche scaramuccia di confine. Dubbio peraltro legittimo, considerato che le nuove misure – in un paese assediato da evasione fiscale e criminalità organizzata – entreranno pienamente in vigore solo nei prossimi tre anni. Come quel tale che chiamava i pompieri urlando “ho la casa in fiamme, potreste venire il mese prossimo?”: non proprio un esempio di credibilità.

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  1. Davide

    Il dibattito sulle commissioni alle banche è sempre valutato basandosi sulla % della transazione. Il 2 % può sembrare poco in assoluto, ma se rapportato al margine diventa rilevante Ad esempio, su una spesa di 100 euro, pagherei 2 euro di commissione. Supponiamo, per semplicità di esposizione, che il ricarico del commerciante sia 20%, ovvero 20 euro. Il peso delle commissioni si alza al 10% del primo margine. Se poi lo rapporto al margine imponibile, dopo le tasse e i costi d’azienda, l’incidenza può diventare anche molto considerevole. Come mai non viene mai inserita questa valutazione nel dibattito?

  2. Lucio Tamagno

    Il problema è correttamente evidenziato e ritengo che un pressing del governo sulle percentuali massime applicabili (p.es.5 cent flat fino a 10 euro e l’1,5% derogabile in meno sopra) sarebbe efficace. I POS possono già essere noleggiati a 12 euro/mese cifra che include la manutenzione on-site; ricordo infine che anche il maneggio e il ritiro del contante ha un costo e dei rischi, anche se lo si fa personalmente (meno costo e più rischio); questo andrebbe controbilanciare il costo delle gestione elettronica, ma nessuno lo dice.

  3. Andy McTREDO

    Fermo restando che le commissioni bancarie non sono guadagno puro per le stesse, che il sistema Bancomat/Carta di credito prevede persone che se ne occupano H24, che necessita di materiali e apparecchiature, ecc. ecc. ; che come gli EURO sono di emanazione privata e non pubblica, ecc. ecc… ; non sarebbe il caso che lo stato italiano sia meno strabico? cioè da una parta tassa l’estratto conto di c/c e carte di credito e dall’altra vorrebbe incentivarne l’uso … un po’ di coerenza forse… e poi ricordiamoci da che tempo e tempo i prezzi imposti uccidono il mercato anziché incentivarlo.

  4. Maurizio B.

    “Lotteria con premi fino a un milione per chi comunica il proprio codice fiscale al rilascio di uno scontrino” Domanda: come farò a sapere di avere vinto grazie a uno scontrino pagato durante le ferie? Il mio C.F. non è collegato a nessuna dichiarazione dei redditi in Italia, perché vivo, lavoro e pago le tasse all’estero da molti anni.
    Più seriamente, oltre a quanto nota Davide ricordo che pagare con bancomat o carta di credito significa regalare al gestore un profilo completo di come spendiamo i nostri soldi. Il Grande Fratello (Orwell, 1984) ringrazia.

  5. Emanuele Bracco

    Ma una stima del costo di gestione del contante esiste? Alla fine quel che conta è il prezzo relativo

  6. Gerardo

    Secondo l”articolo: In Italia circola ancora troppo contante”.

    È chi ha stabilito che circola troppo contante? Per chi sarebbe troppo? In base a cosa stabiliamo che è troppo? In tal senso, non c’è alcuna possibilità di realizzare in termini rigorosi alcuna comparazione interpersonale di utilità, dato che i cosiddetti costi di transizione sono soggettivi.
    Se l’Italia ha problemi di efficienza non dipende certo da quanta quantità di contante circola, bensì dal suo contesto istituzionale prevalente. La fonte primaria della crescita di una comunità è la sua vivacità imprenditoriale, la quale da luogo a innovazione e investimenti a seconda del contesto istituzionale prevalente. Ci vogliono ordine, stabilità politica, certezza del diritto, formazione del capitale umano, iniziative e libertà d’impresa per favorire l’efficienza, cose nelle quali il contesto istituzionale italiano è attualmente deficitario.

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