Nonostante i pessimi risultati in Iowa, New Hampshire e Nevada, Joe Biden è riuscito nella rimonta. In cinque giorni si è rimesso in corsa e ora, dopo che è stato assegnato più di un terzo dei delegati, è primo tra i candidati democratici alla Casa Bianca.
I risultati di quindici stati
Nella giornata di martedì 3 marzo si è svolto il cosiddetto Super Tuesday, il giorno in cui, in ogni elezione primaria americana, si vota in più stati contemporaneamente. Quest’anno gli stati in palio erano 14, cui si sono aggiunte le Samoa Americane (figura 1).
L’elettorato era molto ampio ed eterogeneo: si è votato in stati del Nord e del Sud, in quelli molto grandi (come Texas e California) e in altri molto piccoli, in stati con popolazione mediamente ricca e a maggioranza di origine europea (come il New England) e in altri con una forte presenza di ispanici e afroamericani.
I risultati sono stati sorprendentemente buoni per Joe Biden, ex vicepresidente degli Stati Uniti. Bernie Sanders, pur ottenendo un buon numero di consensi, ha fatto peggio del previsto, non sfondando in molti stati e addirittura ottenendo, in alcuni, percentuali inferiori a quelle del 2016, quando si scontrò alle primarie con Hillary Clinton.
Biden e Sanders si sono spartiti i due stati più importanti, vincendone uno a testa: Texas (Biden, 228 delegati) e California (Sanders, 415 delegati). L’ex vicepresidente ha vinto anche in Minnesota, lo stato di Amy Klobuchar, che lunedì sera gli aveva dato il suo endorsment insieme a Pete Buttigieg e a Beto O’Rourke. Sono gli indiziati principali per la vicepresidenza.
Sembra invece ormai fuori dalla corsa Elizabeth Warren, che non ha vinto in nessuno stato ed è arrivata addirittura terza nel Massachusetts, di cui è senatrice. Molto deludente anche il risultato di Michael Bloomberg.
Il New York Times stima che Biden si attesti attorno ai 650 delegati contro i 580 di Sanders.
Cosa era accaduto finora
Le primarie democratiche non erano partite nel migliore dei modi: i caucus in Iowa, evento poco significativo per numero di delegati assegnati ma molto importante dal punto di vista simbolico, sono stati un disastro organizzativo cosicché nessuno dei candidati vincenti (Buttigieg per numero di delegati ottenuti e Sanders per numero di voti assoluti) aveva potuto sfruttare la propria buona partenza, per la gioia di Donald Trump. Nel corso delle prime quattro votazioni, inoltre, non era emerso alcun candidato abbastanza forte in più stati. L’unico ad aver avuto buoni risultati ovunque era stato Bernie Sanders che però, viste le idee piuttosto radicali per la politica statunitense, non sembra in grado di guadagnare un sostegno trasversale, conquistando l’ala moderata del partito. Joe Biden, vicepresidente di entrambe le amministrazioni Obama, ha ottenuto risultati a tratti disastrosi nei primi tre stati in cui si è votato: quarto in Iowa, quinto in New Hampshire e secondo in Nevada. Con solo 15 delegati conquistati, le sorti della sua campagna erano indissolubilmente legate al voto del 29 febbraio in South Carolina: uno stato con una forte presenza afroamericana, un segmento di popolazione fra cui ci si aspettava che Biden ottenesse consensi. Il risultato sperato è arrivato: l’ex vicepresidente ha stravinto quell’elezione e si è rimesso in corsa in vista del Super Tuesday.
Il flop di Bloomberg
Dopo il ritiro di Buttigieg e Klobuchar a causa dei risultati deludenti in South Carolina, le primarie sarebbero potute diventare una sfida tra Sanders – il candidato “alternativo” – e l’ala più moderata del partito rappresentata da Biden, con la senatrice Elizabeth Warren a rincorrere. A tentare di scompigliare le carte, si è però inserito il miliardario – ed ex sindaco di New York – Michael Bloomberg. Con una strategia elettorale molto particolare, ha deciso di non partecipare ai primi quattro turni delle primarie e di investire moltissimo in vista del Super Tuesday con l’obiettivo di ottenere i voti degli elettori meno radicali e sostituire Biden nel ruolo di alternativa moderata a Sanders. Alla vigilia del Super Tuesday molti erano curiosi di scoprire quanto la campagna eterodossa di Bloomberg (che solo per uno spot durante l’intervallo del Super Bowl di febbraio era arrivato a spendere 10 milioni di dollari) potesse incidere sulle elezioni. L’impatto è stato in realtà deludente: il magnate ha ottenuto pochissimi delegati e ha deciso di ritirarsi il giorno dopo il Super Tuesday. L’unico territorio in cui è uscito vincitore è quello delle Samoa Americane che, avendo solo 6 delegati, sono di fatto irrilevanti.
Cosa dobbiamo aspettarci
L’ipotesi più probabile dopo il Super Tuesday resta una brokered convention, cioè una situazione in cui nessuno dei candidati arriverà con la maggioranza assoluta dei delegati alla convention del Partito democratico di Milwaukee (Wisconsin), che si terrà a luglio. Dopo il sostegno di Bloomberg, diventa però sempre più probabile una convergenza verso Biden dei moderati, i cui delegati voterebbero per l’ex vicepresidente facendogli così superare la soglia dei 1.991 voti necessari per ottenere la nomination.
Il rischio maggiore è che i sostenitori di Sanders, in caso di sconfitta, decidano di boicottare la candidatura di Biden. Nonostante la grandissima capacità di coinvolgimento del senatore del Vermont, infatti, l’elettorato di Sanders tende a essere piuttosto categorico: in caso di nomination di un altro candidato, molti potrebbero decidere di non andare a votare alle elezioni presidenziali di novembre, dando un enorme vantaggio ai repubblicani e a Donald Trump, che già nel 2016 avevano beneficiato dell’astensione di molti democratici di sinistra a danno di Hillary Clinton.
Dopo questo risultato, comunque, i rapporti di forza tra Sanders e Biden sembrano essersi invertiti: secondo le previsioni di FiveThirtyEight (figura 4), Biden ha il 31 per cento di possibilità di ottenere la maggioranza assoluta dei delegati e il 65 per cento di ottenere quella relativa, contro i rispettivi 8 e 34 per cento di Sanders. La probabilità di brokered convention si attesterebbe invece al 61 per cento.
L’unica certezza a questo punto è che, d’ora in poi, le primarie democratiche saranno una corsa a due, tra Biden e Sanders.
Figura 4 – Probabilità che uno dei candidati ottenga la maggioranza assoluta dei voti
Fonte: FiveThirtyEight.
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