Le informazioni sul rischio di contagio tra i lavoratori sono essenziali per individuare le attività da riaprire per prime e quelle in cui è necessario prevedere misure di sicurezza rafforzate. Lo smart working è poco diffuso nei settori oggi fermi.
Alcuni lavoratori sono più esposti di altri al rischio di contagio da Covid-19, in particolare se operano in prossimità fisica con altre persone (clienti, collaboratori) o sono più a contatto con casi di malattia e infezioni. Analizzare tali caratteristiche è di primaria importanza nel disegnare la fase di uscita dal lockdown, per selezionare le attività da riaprire prima e per individuare i settori in cui è necessario prendere misure di sicurezza particolarmente rafforzate (vedi qui per un’analisi complementare che caratterizza i rischi dal punto di vista dell’età e qui per i rischi per le donne).
Una recente ricerca presenta una mappa del rischio ed elabora un indicatore della misura in cui le attività lavorative possono essere svolte in smart working (si veda anche il contributo di Tito Boeri e Alessandro Caiumi).
Prossimità fisica e rischio di contrarre infezioni
L’indagine campionaria sulle professioni Icp condotta da Inapp fornisce, per le 800 professioni italiane, due indicatori che consentono di misurare i rischi dovuti all’esposizione a malattie e infezioni o alla prossimità fisica. Gli indicatori vengono poi mappati a livello di settore d’attività economica in base alla quota occupazionale di ciascuna professione osservata nei dati Istat della rilevazione sulle forze di lavoro (Rfl) relativi ai primi trimestri del 2019.
La figura 1 mostra i primi dieci settori per indice di prossimità fisica (pannello A) e per esposizione a malattie e infezioni (pannello B). Escludendo il settore sanitario, ovviamente vitale durante un’epidemia e tra i più esposti a malattie, l’analisi conferma l’intuizione che diversi settori dei servizi si caratterizzano per elevata vicinanza fisica e quindi maggior rischio di contagio.
Se si analizza la composizione settoriale dell’occupazione a seconda dell’esposizione ai contatti interpersonali (figura 2), si osserva che gli occupati che presentano alti valori dell’indice di vicinanza fisica sono concentrati nel settore dei servizi e nel commercio al dettaglio. La attività manifatturiere registrano valori medi dell’indice, anche se con ampia variabilità. La maggior parte delle occupazioni che richiedono poca interazione interpersonale sono concentrate nell’agricoltura, che fornisce beni necessari e, come la sanità e altri servizi fondamentali, non è sottoposta a lockdown. Nel complesso, esclusi i servizi sanitari e il commercio alimentare, il numero di lavoratori occupati in settori il cui indice di prossimità fisica è superiore alla media nazionale è pari a oltre 6,5 milioni (circa il 28 per cento dell’occupazione complessiva).
Figura 2 – Distribuzione dell’occupazione per vicinanza fisica e settore
Nota: Elaborazioni degli autori su dati Inapp-Icp e Lfs. Il grafico mostra la distribuzione dell’occupazione per ciascun percentile dell’indice di prossimità fisico e lo divide in cinque settori principali come descritto nella legenda.
I rischi nei settori sottoposti a lockdown
Usando i dati della Rfl, si stima che i provvedimenti dell’11 e del 22 marzo 2020 di fermo delle attività possano aver interessato fino al 35 per cento dei lavoratori (quasi 8 milioni di persone). Il primo provvedimento ha riguardato circa 2,8 milioni di occupati, maggiormente impiegati in professioni a elevata vicinanza fisica; il secondo è stato più generale. Mirando a preservare l’attività in settori ritenuti essenziali, i due provvedimenti non hanno interessato alcuni tra quelli con un alto livello dell’indice di esposizione a malattie e infezioni, tra cui l’industria sanitaria e le attività di pubblica sicurezza e trasporto pubblico.
Lo smart working
Si è inoltre costruito un indicatore di possibilità di lavoro da remoto combinando alcune domande sull’utilizzo dei computer, sulle interazioni faccia a faccia e sull’utilizzo di mezzi meccanici. Le attività caratterizzate da un valore elevato dell’indicatore sono l’industria finanziaria, bancaria e assicurativa, la pubblica amministrazione e la maggior parte dei servizi professionali, che non sono state coinvolte dai decreti. Al contrario, i settori sottoposti a lockdown hanno meno lavoratori che possono lavorare da remoto. Si può infine stimare che i lavoratori che non si sono recati sul luogo di lavoro perché avevano, almeno in linea di principio, la possibilità di lavorare da casa sono fino a 3 milioni in più di quelli direttamente interessati dal fermo delle attività.
* Le opinioni espresse sono personali e non riflettono necessariamente la posizione della Banca d’Italia o di Inapp. Questo testo è originariamente apparso, leggermente emendato, sul sito della Banca d’Italia l’11 aprile e alcune delle risultanze sono apparse sul sito Inapp nel Policy Brief n.16, aprile 2020.
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Savino
Sulla sicurezza sanitaria rischiano di più i lavoratori che svolgono mansioni umili, che nessuno vuole più fare. Sulla sicurezza economica rischiano di più i lavoratori solo figurativamente autonomi, in prevalenza i nostri giovani. Lo smart working non è fattibile per sempre per problemi di produttività effettiva e per la necessità di interagire tra persone.