Con la crisi sanitaria dovuta al Covid-19 sono diminuite le interruzioni volontarie di gravidanza. Il divieto di spostamento unito all’alto numero di medici obiettori impedisce alle donne di ricorrere all’aborto legale. Così cresceranno quelli clandestini.
Italia, paese di obiettori di coscienza
Diceva Simone de Beauvoir: “Non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovrete restare vigili durante tutto il corso della vostra vita”.
Quanto fossero vere queste parole lo si vede oggi con l’emergenza sanitaria. Le misure di segregazione sociale messe in atto per fronteggiare la diffusione del Covid-19 hanno causato un’improvvisa riduzione dell’accesso al servizio di interruzione volontaria di gravidanza. Sulla base di una dichiarata conformità al decreto del 9 marzo, molti ospedali italiani hanno infatti sospeso la fornitura del servizio perché – illegittimamente – lo considerano non essenziale, nonostante la legge 194 inserisca l’interruzione volontaria di gravidanza fra le prestazioni mediche essenziali. La parziale sospensione del servizio – in un periodo in cui si potrebbe verificare un aumento delle gravidanze indesiderate per l’incremento delle violenze domestiche registrato dall’inizio del blocco – peggiora una situazione, di per sé, già drammatica.
L’Italia è uno dei paesi al mondo col più alto numero di medici obiettori di coscienza, con un tasso in crescita dall’approvazione della legge 194 (figura 1) e con una forte eterogeneità tra regioni (figura 2). In aggiunta, nel 2017 solo il 64,5 per cento degli ospedali con un reparto di ostetricia e ginecologia effettuava interruzioni di gravidanza. Gli altri di fatto rientrano in quella casistica che viene definita come “obiezione di struttura”, situazione non ammessa dalla legge 194. Nonostante gli ammonimenti dell’Unione europea, che ha definito la situazione italiana come discriminatoria e in violazione dei diritti alla salute, il ministero della Salute continua a dichiarare adeguato il livello di offerta del servizio.
Figura 2 – Distribuzione regionale delle percentuali di ginecologi che dichiarano obiezione di coscienza in Italia, 2017
Fonte: ministero della Salute.
Costrette a spostarsi da un luogo all’altro
Già in condizioni di normalità, questa situazione costringe le donne a muoversi da un comune all’altro e, nei casi peggiori, da una provincia o una regione all’altra, per riuscire ad abortire. L’impossibilità di movimento imposta dai decreti per fronteggiare il Covid-19 nega a molte donne la possibilità di spostarsi per riuscire a interrompere la gravidanza.
Nel 2016 più di 4 mila donne hanno avuto un aborto fuori dalla loro regione di residenza, cifra che ammonta a circa il 5 per cento del totale. Se si analizza la differenza fra regione di occorrenza dell’aborto e regione di residenza della donna, si può ricavare un indicatore del flusso netto in entrata di donne che vogliono abortire, per ciascuna regione. Le regioni per le quali il tasso di aborti per luogo di occorrenza è significativamente minore del tasso di aborti per luogo di residenza della donna, sono quelle in cui è più difficile abortire; al contrario, le regioni per cui la relazione è invertita, sono quelle che attirano donne dall’esterno.
Il confronto tra la percentuale di medici obiettori e con i flussi in uscita mostra come le regioni con più obiettori abbiano un problema di accesso all’aborto che spinge le donne a spostarsi per ricevere assistenza (figura 3). Gli autori dello studio stimano che un aumento di 10 punti percentuali nella quota di medici obiettori sia associato con un aumento di 2,1 punti percentuali nel flusso di donne in uscita.
Figura 3 – Flusso netto in entrata per regione 2016
Fonte: Tommaso Autorino, Francesco Mattioli e Letizia Mencarini “The impact of gynecologists’ conscientious objection on abortion access”, 2020.
Il ritorno dell’aborto clandestino
Ad aggravare la situazione, il 25 marzo l’associazione ProVita e Famiglia (uno dei più importanti gruppi pro-life italiani) ha avviato una petizione online indirizzata al ministero della Salute per chiedere di vietare l’aborto negli ospedali italiani. Dall’altra parte dell’oceano, in Texas e Ohio l’aborto è già stato dichiarato intervento non necessario e alle cliniche è stato revocato il diritto di praticarlo.
Dalla letteratura scientifica risulta evidente che quando l’accesso all’aborto legale non è garantito, le donne ricorrono a quello clandestino. L’Istat ha stimato circa 10 mila-13 mila aborti clandestini in Italia per gli anni 2014-2016. L’emergenza coronavirus e le sue conseguenze sull’accesso all’interruzione di gravidanza potrebbero aver fatto esplodere il fenomeno. Nonostante la vendita online di pillole abortive abbia reso la procedura meno rischiosa che in passato, abortire clandestinamente continua ad avere comunque molti rischi per la salute della donna. L’Organizzazione mondiale della sanità ha calcolato che a livello mondiale il costo annuale per il trattamento delle complicazioni derivanti dagli aborti clandestini si aggira intorno ai 553 milioni di dollari.
Il processo di costruzione di misure di contenimento per affrontare la diffusione del coronavirus necessita di uno sguardo più attento alla centralità dei corpi delle donne come fulcro delle disuguaglianze di genere all’interno del nostro paese. Dobbiamo evitare che una crisi sanitaria si trasformi in una crisi sociale e politica che costringa le donne ad arretrare nell’esercizio dei propri diritti.
Questo articolo è pubblicato in versione più estesa su inGenere.
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Emilio
” L’impossibilità di movimento imposta dai decreti per fronteggiare il Covid-19 nega a molte donne la possibilità di spostarsi per riuscire a interrompere la gravidanza” non mi sembra una affermazione centrata: le ragioni sanitarie come quelle per un aborto ma anche per una importante visita medica o ancora di più esami, accertamenti, interventi ecc. non possono certo sottostare a vincoli pur in questa situazione. Inoltre, mi sorprende non poco in un momento in cui TUTTI possono avere bisogno di assistenza medica e trovare non poche difficoltà che qualcuno possa concentrarsi solo su un piccolo spaccato come se non esistesse il diritto alla cura e all’assistenza per tutti i pazienti !! Ancor più è sorprendente che l’istanza provenga da chi lamenta discriminazioni. Trovo che questa enfatizzazione sui problemi di alcuni tralasciando quelli di tutti e tanti in maniera generale alla fine possa fare più danni che giovamento alle stesse categorie che intende proteggere: non è meglio fare una analisi e tirare delle conclusioni su come l’assistenza sanitaria in questo periodo sia per tutti limitata e come tanti ammalati stanno riscontrando difficoltà? In tal modo si eviterebbe per percepire questo allarme come una cosa solo di una parte. Infine forse i dati sulle migrazioni fuori regione appaiono motivate da altri fattori rispetto a quelli citati, aggiungerei meno controllo sociale ma anche spesso non abbinamento tra regioni di residenza anagrafica e regioni dove si vive e lavora.
Caterina Muratori
Leggendo con attenzione l’articolo potrà notare che la nostra tesi principale NON è che le donne non possano spostarsi da regione a regione per abortire a causa delle misure di contenimento. Infatti, gli spostamenti fra regioni in condizioni di normalità sono citati per mostrare come, già prima della crisi sanitaria, l’accesso all’aborto non fosso garantito e che la riduzione nell’erogazione del servizio si sommi ad una realtà già di per sé grave.
In secondo luogo, la riduzione complessiva nell’accesso all’assistenza sanitaria in questo periodo è determinata dalla mancanza di posti letto e personale sanitario, non dalla decisione di sospendere l’erogazione di taluni servizi essenziali. Parimenti non vi è stato nessun attacco politico a questi servizi, come invece sta succedendo per l’aborto, di cui i gruppi pro-life ne chiedono la sospensione.
Le vorrei inoltre ricordare che la ricerca si basa esattamente sullo studio approfondito di temi particolari, in questo caso l’accesso al servizio di interruzione volontaria di gravidanza, che ha un valore a sé stante e che non collide in alcun modo con la possibilità di approfondire differenti aspetti della crisi sanitaria attuale, come la diminuzione nell’assistenza sanitaria in altri settori.
Infine, l’analisi delle migrazioni tra regioni per abortire risulta interessante in quanto dimostra una relazione causale tra numero di obiettori e migrazioni, non come analisi nei valori assoluti delle migrazioni.
Cantoretoscano
L’assistenza sanitaria, in questo periodo, è limitata per tanti altri settori. Trovo sbagliato concentrarsi solo su un caso particolare quasi esistesse solo quello e che la limitazione sia fatta per ridurre i diritti delle donne. Sono aumentati i morti d’infarto ad esempio perché sono limitati gli accessi ai pronto soccorso. Vedere in una tragedia come questa la volontà di togliere diritti alle donne lo trovo controproducente proprio per il genere femminile.
Caterina Muratori
La riduzione complessiva nell’accesso all’assistenza sanitaria in questo periodo è determinata dalla mancanza di posti letto e personale sanitario, non dalla decisione di sospendere l’erogazione di taluni servizi essenziali. Parimenti non vi è stato nessun attacco politico a questi servizi, come invece sta succedendo per l’aborto, di cui i gruppi pro-life chiedono la sospensione.
Le vorrei inoltre ricordare che la ricerca si basa esattamente sullo studio approfondito di temi particolari, in questo caso l’accesso al servizio di interruzione volontaria di gravidanza, che ha un valore a sé stante e che non collide in alcun modo con la possibilità di approfondire differenti aspetti della crisi sanitaria attuale, come la diminuzione nell’assistenza sanitaria in altri settori.
Lorenzo
Personalmente ritengo che ci sia una minore richiesta di assistenza ospedaliera in tutti i settori. Da novembre – dicembre prossimi, invece su questo blog si narrerà della mancanza pressoché totale di nascite …
Caterina Muratori
Non vedo come la diminuzione del tasso di natalità abbia una qualche relazione con il diritto all’aborto. Suggerisce forse di attuare una politica di incremento delle nascite impedendo alle donne di abortire?
Silvio Viale
1. Nessuna notizia concreta su dove sarebbe stato limitato. 2. Per la legge italiana l’aborto ha “carattere di urgenza” e il ministero lo ha inserito tra le prestazioni “indifferibili ed urgenti” 3. l’obiezione di coscienza è da 40 anni l’alibi alla politica per non intervenie e ai polemisti per continuare a fare polemiche a vuoto. Basta pensare alla PMA (legge 40). 4. 4000 donne in altre regioni sono poche e prevalentemente lavoratrici e studentesse fuori sede 5. Da me, proprio a Torino, abbiamo regolarmente continuato a fare aborti. A marzo 22% in più. Oltre mille IVG dall’inizio dell’anno, più della metà con la RU486, essendo normale che alcuni ospedali per il Covid abbiano ridotto le proprie attività, ma ASL e Regione devono garantire gli aborti, come è accaduto 6. I problemi della 194, da oltre 40 anni, sono nei limiti della 194 e nella non volontà di creare servizi adeguati, pretendendo che si facciano dappertutto, cosa che non capita per nessuna prestazione della sanità. 7. L’aborto è l’unica prestazione che si fa solo nel pubblico e solo negli ospedali. 8. L’aborto clandestino è cronico nel sud tra le italiane, ma ha un impatto trascurabile al nord.
Caterina Muratori
1 Nel testo può trovare il link ad un articolo che riporta testimonianze concrete sui problemi di accesso al servizio. 2 L’aborto in Italia rientra nei LEA. 3 E’ una sua opinione personale, peraltro non chiarissima. 4 La valenza dell’analisi sta nell’aver stimato un nesso causale fra obiezione ed emigrazione, non nell’aver riportato il numero di donne che hanno un aborto fuori regione. 5 Il fatto che da lei si continuino a fare aborti non esclude la possibilità che altri ospedali non li svolgano più. Inoltre, proprio l’aumento del 22% di cui lei parla potrebbe essere dovuto alle limitazioni attuate in altri ospedali vicini che hanno spinto da voi donne che, normalmente, si sarebbero rivolte ad altre strutture. 6 La legge 194 non prevede che gli aborti siano effettuati “dappertutto”, bensì in tutti gli ospedali con un reparto di ostetricia e ginecologia, in quanto prestazione essenziale. 7 Non vedo il nesso con l’articolo, e in ogni caso mi pare solo un motivo in più per rafforzare la fornitura del servizio. Inoltre l’aborto viene praticato anche in strutture private autorizzate. 8Non so quali basi scientifiche abbia la sua affermazione, soprattutto in luce dei problemi di stima. Anche dandole ragione, il fatto che il fenomeno sia tipico di alcune regioni e non di altre non ne diminuisce la gravità; essendo il sud la zona con la maggior percentuale di obiettori, la cronicità degli aborti clandestini al sud confermerebbe solo il nesso causale fra obiettori e aborti clandestini.