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Il rompicapo del trasporto pubblico locale*

Con l’obbligo del distanziamento, la “fase 2” e la “fase 3” chiameranno i trasporti a una sfida epocale. Tutto però dipenderà dall’orizzonte temporale: il costo per gli investimenti strutturali avrebbe senso solo se la pandemia si trascinasse per anni.

La sfida presente e quelle future

Immaginiamo un’azienda che in questa emergenza si trovi con un -25 per cento dei ricavi del core business, con costi più o meno costanti (alcuni diminuiti, altri maggiori) e l’azzeramento di altri ricavi: ecco, questo è più o meno il quadro di chi fa trasporto pubblico locale (Tpl) in questo periodo. Negli ultimi due mesi i passeggeri sono crollati del 90 per cento circa rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente, il servizio scolastico si è azzerato, i ricavi dalla sosta – che in molti casi danno sussidi incrociati per sostenere il trasporto pubblico – sono anch’essi quasi nulli. Salvo interventi straordinari, queste imprese – che normalmente stanno poco sopra la linea di galleggiamento – chiuderanno il 2020 con gravi perdite. Ma fin qui è solo una questione di soldi. E le imprese del Tpl non sono certo le uniche.

La sfida peggiore è davanti a noi e il Dpcm sulla “fase 2” conferma che il governo ancora non sa esattamente come affrontarla. Si tratta di tenere assieme la necessità di far girare le città allo stesso ritmo di ieri con il “distanziamento”. E chiunque abbia visto come circolano di mattina gli autobus con gli studenti, i treni dei pendolari o le metropolitane avrà più di una perplessità. Una “fase 2” che a quanto si capisce non sarà tanto diversa dalla “fase 1”, e a cui dunque anche i trasporti pubblici potrebbero reggere bene. Ma il peggio (per i trasporti) verrà chiaramente con la “fase 3” quando – per quanto si sa ora – riapriranno in qualche modo le scuole e tutto il resto.

Aumentare l’offerta o razionare la domanda?

Se vogliamo poco affollamento sui mezzi, teniamo conto che raddoppiare i mezzi è tra il difficile e l’impossibile. Intanto per il costo, ma soprattutto perché ci vorrebbero anni per costruire le migliaia di mezzi che servirebbero, anche se si ordinassero stasera. La soluzione arriverebbe (speriamo) ben dopo il termine dell’emergenza medica.

Immaginiamo allora che il numero di mezzi utilizzati debba restare un dato, o possa crescere di poco (usando i mezzi oggi tenuti di scorta). Per limitare il numero dei passeggeri su ciascun mezzo si dovrebbe approntare un sistema che a ogni fermata dica quanti passeggeri possono entrare: quante imprese di Tal possono mettere in piedi tale sistema in qualche settimana? In ogni caso questo comporterebbe code alle fermate, con la consapevolezza che se non c’è posto (su un autobus comunque semi vuoto) dovrò comunque aspettare il bus successivo. Quanti aspetteranno davvero? Questione che innesca il tema del controllo.

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Mediamente il parco bus nazionale non ha la tecnologia per verificare il numero dei passeggeri. Servirebbe allora personale (e autorità) alle fermate per bloccare l’ingresso ai passeggeri in eccesso. Di nuovo, emerge il tema dei costi. A meno che gli autisti accettino di svolgere anche questa attività, il che è possibile. Ma che nessuno chieda loro di essere responsabili se qualche passeggero non mantiene i comportamenti previsti.

E comunque pensate alla metropolitana della mattina. Tre mesi fa a Milano o Roma le vetture erano piene oltre il 100 per cento. Se il distanziamento prevede un carico massimo del 25 per cento della capacità, vuol dire che tre passeggeri di ieri su quattro hanno un problema. Come faremo in autunno?

Servirebbero meno utenti, soprattutto nelle ore di punta

Se allora i mezzi di oggi dovranno spostare le stesse persone di sempre, la situazione rischia di scoppiare. Il principale tassello di qualunque soluzione sembra essere intensificare il servizio appena possibile, ma soprattutto ridurre il numero dei potenziali utenti, in particolare nelle ore di punta. Questo significa (i) limitare il numero di coloro che viaggiano e (ii) offrire alternative credibili.

Il problema vero non è il numero totale dei passeggeri ma la punta: se lo stesso numero di persone accettasse di viaggiare non tra le sette e le nove di mattina ma tra le cinque e le undici, questo sarebbe di aiuto. Quindi, sullo smart (?) working non si può purtroppo arretrare. Ma questo – anche se possibile – comporterebbe un prolungato stravolgimento dei nostri tempi di vita. E il rientro a scuola? Se tre passeggeri su quattro oggi trasportati alla mattina domani non troveranno posto sulle metro del nuovo regime, è evidente che o si sacrifica la scuola sull’altare del distanziamento (cosa che fatico ad accettare) oppure occorre trovare alternative credibili al trasporto pubblico.

Le alternative al trasporto pubblico

Non ha senso cercare una soluzione unica a Milano e a Ragusa. Ma nei prossimi mesi occorrerà comunque una combinazione ragionevole – differenziata da città a città – di (i) cambiamento dei tempi di lavoro, studio e vita, (ii) potenziamento e nuove regole per il trasporto pubblico e (iii) spazio al trasporto privato.

Il traffico privato potrà contare semplicemente sulle biciclette, come alcuni sembrano pensare? Magari. Ma temo che non basteranno. Nessuno sembra avere il coraggio di dirlo ma soprattutto nella “fase 3” sarà difficile evitare di lasciare maggiore spazio alle auto. Questo non mi piace per nulla, ma non credo abbiamo alternative. Le biciclette aiuteranno nella “fase 2”, da maggio a settembre. Ma dall’autunno in poi, con la cattiva stagione e con la riapertura delle scuole, mi pare difficile pensare che Milano o Roma si trasformino in Amsterdam. E i sindaci che hanno sospeso le Ztl o hanno liberalizzato la sosta in centro già questo lo hanno capito, pur senza avere sempre intenzione di dirlo apertamente.

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E notate che non si tratta solo di spostamenti entro le mura cittadine: stiamo parlando dei pendolari del lavoro e della scuola, milioni di persone da fuori città. Per questi sarebbe necessario almeno raddoppiare il trasporto ferroviario locale (ma in questi tempi si potrà intensificare un po’ il servizio e poco di più) e il bike sharing cittadino. Ma anche migliorare il parco a due ruote (bici a pedalata assistita, scooter in sharing, etc.) richiederà tempo. Se siamo seri sul distanziamento, temo che l’auto rappresenti una delle poche alternative concrete. A meno che qualcuno non ci dica che con mascherine di buona qualità il distanziamento non è poi così necessario (e ci dia queste mascherine).

La domanda fondamentale che attende risposta è però l’orizzonte temporale. Non sappiamo esattamente quando tutto questo finirà, ma dobbiamo decidere su cosa questo paese vuole puntare. Qualunque strategia deve partire da una visione, da uno scenario plausibile, sapendo che questo potrebbe o meno essere confermato e senza il quale si continua a navigare a vista. Pensare a costosi rimedi strutturali avrebbe senso solo se si trattasse di un problema che pensiamo seriamente ci trascineremo per anni. Se pensiamo invece che fra un anno il Covid-19 sarà poco più di un orrendo ricordo, forse un bagno di spiacevole realismo sarebbe più opportuno.

* L’autore, redattore de lavoce.info, è anche presidente di Brescia mobilità Spa.

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  1. Andrea Malan

    Buongiorno, concordo con la lucida esposizione dei problemi. Credo però si debba combattere con ogni mezzo l’aumento del ricorso all’auto, che come sa è già in Italia nettamente superiore alla medie europea ed è una concausa di quell’inquinamento che ha favorito il Covid. A questo scopo servirà tutto, dalle piste ciclabili sulla carreggiata agli incentivi alle bici a pedalata assistita e magari anche a scooter elettrici, a più spazio per i pedoni. Bisogna togliere spazio alle auto. Ammetto che serva anche un grande cambiamento culturale; ma se non ora, quando?

    • roberto

      rilevo che in questa discussione è sempre completamente assente il tema dei taxi. Che, a mio avviso, se correttamente gestiti, e con tariffe ragionevoli, potrebbero rappresentare un efficacae intermedio tra mobilità privata e pubblica

  2. alberto zanni

    Buongiorno professore, articolo molto interessante con l’eccezzione della frase su Amsterdam, molto usata purtroppo ma che non aiuta molto, ma come propone di dar piu’ spazio ad auto? Cosa succederebbe se si aprissero tutte le ztl con parcheggi gratis in un paese con un tasso di motorizzazione cosi’ elevata? Credo sarebbe stato utile di parlare anche di altre conseguenze possibili della ‘restituzione’ del gia’ elevatissimo spazio assegnato all’auto

  3. franco

    Credo che l’unica strada praticabile a breve ( perche’ la risposta deve essere “a breve”) sia l’intensificarsi del traffico automobilistico: costruire nuove piste ciclabili? richiede programmazione e tempo. Spazio ai pedoni? Spesso il posto di lavoro e’ a chilometri dall’abitazione, per cui non si puo’ pretendere di trasformare i cittadini in tanti podisti. Il modello Amsterdam continua ad affascinare molti, ma le nostre citta’ ed i nostri territori non sono lande piatte strappate al mare, ove i dislivelli non esistono; ne’ possiamo pensare di sostituire i marciapiedi o le carreggiate, spesso gia’ ristretti, con piste ciclabili. Riguardo poi l’abbondanza di auto pro capite dell’Italia va considerato che il nostro territorio e’ fatto di tanti piccoli centri diffusi, ove quindi le economie di scala delle strutture deputate al trasporto pubblico vengono sacrificate. Non da ultima poi la pessima abitudine italica di esigere che ogni servizio pubblico debba costare poco: all’estero i biglietti di bus e metropolitane sono spesso molto piu’ cari dei nostri. L’uso delle due ruote (comprese quelle a motore) potrebbe essere l’unica soluzione di massa per decongestionare traffico e parcheggi. Ogni modello urbano va visto con le sue peculiarita’. Temo che la soluzione ottimale semplicemente non esista, vuoi per dati oggettivi insormontabili, vuoi per il fattore tempo che e’ imprescindibile da qualsivoglia soluzione.

  4. Francesco

    Proprio l’eccezionalità del tempo che viviamo richiederebbe uno sforzo politico per riformulare sistemi insostenibili di mobilità urbana. Dispiace leggere che la macchina privata sia l’unica alternativa che possiamo immaginare realisticamente. Credo che investimenti in ciclabili e micro-mobilità elettrica (esperimento interessante anche se un po’ disorganizzato nella sua partenza) possano essere meno costosi e di più veloce realizzazione. Il riferimento all’arrivo della brutta stagione mi sembra fuori luogo visto che migliaia di persone usano la bicicletta come mezzo di trasporto quotidiano in paesi dove il clima è molto più duro rispetto al nostro. Non ci sarebbe momento migliore per pensare ad un profondo cambiamento nella struttura degli incentivi nella mobilità urbana e ad un cambiamento di mentalità. Alcune città europee stanno già sfruttando l’occasione, noi che aspettiamo?

  5. Marco

    Analisi precisa che fotografa lo stato attuale.
    Sarebbe interessante disposrre di uno studio approfondito sulla distribuzione dei targitti casa-lavoro o casa-scuola.
    Lo scopo è quello di conoscere meglio le dinamiche di questi spostamenti per cercare di ottimizzarli usando dati obiettivi.
    Un’altra idea su cui lavorare potrebbe essere quella di cercare di ridurre gli spostamenti trasferendo i lavoratori tra aziende
    in modo da ridurre gli spostamenti.
    Sto cercando di pensare fuori dagli schemi abituali.

  6. bob

    la mobilità urbana e extra-urbana non può essere affrontata come criticità a se stante. Le tecnologie attuali permettono di ridurre la mobilità soprattutto nei grandi centri ( smart working). Inoltre la tecnologia permette oggi di affrontare anche un altro grande problema: lo squilibrio demografico di questo Paese. L’ Appennino dalla Liguria alla Sicilia conta meno di 3 milioni di abitanti. Invece di fare una politica lungimirante per meri interessi di bottega si è preferito ammassare la gente nelle periferie delle città o creare squallidi quartieri-satellite, veri e propri formicai.

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