“Profitti privati e perdite pubbliche” come si diceva ai tempi della Fiat? Il prestito garantito richiesto da Fca, in realtà, non sembra necessariamente rientrare in quella logica, purché da questa operazione benefici l’intera filiera produttiva.
Fca ha deciso di utilizzare il decreto “Liquidità” chiedendo un prestito di 6,3 miliardi di euro parzialmente garantito da Sace da restituire entro tre anni. Come da tradizione, la richiesta ha scatenato un putiferio, con ultrà a favore (pochi) e contrari (molti) che si scontrano con toni più accessi di quelli usati in un derby. L’accusa è la solita: il lupo perde il pelo (cambia nome da Fiat a Fca) ma non il vizio (addossare allo stato le perdite).
I danni della pandemia all’automotive
Date le condizioni attuali sembra un’accusa ingenerosa. In primo luogo, l’aiuto è sotto forma di garanzia statale sul 70 per cento del prestito e non aiuto diretto. I credit rating di Fca la collocano nella parte bassa dell’investment grade, cioè con un rischio medio. Il costo per lo stato, quindi, è in termini di assicurazione su 4 miliardi di euro a tre anni per una multinazionale a medio rischio di credito, cioè una frazione dei 6,3 miliardi. In secondo luogo, la crisi causata dalla pandemia da Covid-19 ha colpito duramente molti settori dell’economia, tra i quali l’automotive. La risposta degli stati, supportata dalle opinioni pubbliche, è mettere in campo aiuti ingenti per le imprese, anche a fondo perduto, ben più costosi delle garanzie sui prestiti. Ovviamente, gli stati chiederanno garanzie occupazionali in cambio degli aiuti. Paesi che non offrissero nessun aiuto condizionato rischierebbero di doversi accollare una quota rilevante di eventuali esuberi a livello di gruppo. Giusta o iniqua che sia, questa è la situazione che si sta creando. Fca occupa direttamente 86 mila lavoratori nei suoi impianti italiani e attiva un indotto stimato in ulteriori 300 mila persone. Gli aiuti vanno indirizzati in una logica di preservare questi posti di lavoro. Le condizioni devono quindi essere stringenti da questo punto di vista, facilmente verificabile. Siamo invece più scettici su condizioni dirette sull’utilizzo dei fondi, difficili da monitorare per una multinazionale con più di cento stabilimenti produttivi sparsi per il mondo.
Liquidità all’intera filiera
E con l’indotto viene l’altro aspetto interessante. Nel dibattito che si è aperto Fca ha sottolineato che i fondi affluiranno a tutta la filiera. Se questo fosse il caso, Fca farebbe da “ponte” rispetto alle Pmi del settore per accedere alla liquidità fornita dalle banche e scavalcare le lungaggini procedurali del decreto “Liquidità”. Nel bilancio consolidato al 31 dicembre 2019 Fca riporta 21,6 miliardi di debiti verso fornitori. Una quota rilevante è verso fornitori italiani. Anticipare i termini di pagamento porterebbe quindi a uno shock positivo in termini di liquidità per l’intera filiera. È importante evitare che succeda esattamente l’opposto, tenendo conto che nei momenti di crisi le grandi imprese tendono a sfruttare il loro potere contrattuale per allungare i tempi di pagamento e ottenere liquidità dai fornitori.
Finché il gatto cattura i topi…
Infine, una considerazione sulle polemiche legate allo spostamento della sede legale di Fca nei Paesi Bassi. La sede legale ha implicazioni per il sistema di corporate governance delle imprese. In particolare, l’Olanda consente il voto plurimo, con la conseguente possibilità di rafforzare la capacità degli azionisti di maggioranza di mantenere il controllo con una frazione ridotta di capitale. Fca ha legittimamente deciso di usufruire di tale possibilità. Ovviamente ciò rende più ingessato il controllo e va contro lo spirito delle riforme fatte negli anni Novanta, volte invece a rafforzare la contendibilità delle imprese. D’altra parte, la sensibilità politica è cambiata dopo la Grande crisi, quando è emersa l’esigenza di protezione e assicurazione contro gli shock causati dalla finanza internazionale. La contendibilità delle imprese ha ceduto il posto, tra le priorità percepite dalla politica, a quella di mantenere il controllo delle imprese in mani italiane per timore che gruppi di controllo stranieri possano riallocare all’estero parti importanti delle catene produttive con gli inevitabili effetti negativi sull’occupazione. Se però si è favorevoli al mantenimento del controllo di imprese “strategiche” in mani italiane, ha poco senso protestare se per raggiungere tale obiettivo le società stesse scelgono sistemi di corporate governance non italiani. Come diceva Deng Xiaoping, finché il gatto cattura i topi, il suo colore è irrilevante. Le aziende non possono pretendere di ricevere aiuti dallo stato in modo incondizionato, specie in una fase in cui le risorse sono scarse e i bisogni sono numerosi. È giusto che ci siano garanzie occupazionali a fronte del sostegno finanziario. Ma entrare nelle scelte di corporate governance delle singole imprese non ci sembra un ruolo che lo stato debba svolgere.
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alberto pera
Ok per quel che riguarda le conclusioni riguardo l’impatto sulla filiera automobilistica. E non ritengo molto rilevanti le obiezioni basate sul trasferimento in Olanda della sede di FCA (anche se il tema della Corporate Governance e del controllo italiano delle imprese strategiche richiederebbe forse una riflessione più ampia): ma non mi sembra irragionevole l’osservazione che di fronte alle esigenze di liquidità FCA dovrebbe considerare il congelamento del dividendo per 5,5 miliardi deliberato in vista della fusione con PSA.
Enrico Franco
Tutto giusto quanto scrivono gli Autori, ma stranamente omettono del tutto un altro punto molto importante della vicenda: il dividendo straordinario di 5,5 miliardi che i soci FCA riceveranno in base all’accordo di fusione con Peugeot, casualmente dello stesso ordine di grandezza del prestito richiesto, garantito dallo Stato.
Il Presidente FCA ha già detto che quel dividendo non si tocca perché sta “scritto nella pietra”. Benissimo, perché già pattuito in un accordo complesso e importante.
Ma è così stravagante immaginare che il prestito a FCA Italia venga erogato in tutto o in parte dagli stessi soci beneficiari del dividendo stesso, così giustamente premurosi per le sorti della filiera italiana di FCA, evitando così di attingere a risorse garantite da uno Stato e quindi dalla Collettività già in gravissime difficoltà sanitarie ed economiche?
O la “sacralità” del dividendo concordato prevale comunque, anche in una economia di mercato straordinariamente sconquassata da uno tsunami sanitario come quello in cui ora viviamo?
carlo giulio lorenzetti settimanni
I problemi sono forse più d’uno. Non solo quello della scelta legittima – ma discutibile – di un sistema di governance più favorevole al gruppo di controllo.(voto multiplo).Vi è la sede fiscale a Londra della controllante e la circostanza, finora non smentita, di una liquidità, pare, di svariati miliardi che potrebbero essere investiti, almeno in parte, in FCA Italia invece di ricorrere al prestito di 6.3 miliardi e alla garanzia dello Stato. Infine, la questione del dividendo, che sarà pure “scritto nella pietra” ma che appare inevitabilmente inopportuno e degno di quella tradizione evocata nel titolo dell’articolo :”il lupo ..ecc.
Enrico Poli
Siamo su una piattaforma di esperti di economia ed imprese, ci si aspetterebbero commenti meno caratterizzati da pura ideologia astratta, anche se coerenti con le improvvide esternazioni di Carlo Calenda.
Enrico Franco
Su questa piattaforma, invece, ci si aspetterebbe che si controbatta e si argomenti nel merito, e non ci si limiti a etichettare negativamente i commenti non condivisi e basta.
Enrico Poli
Sembra che successive interpretazioni dei decreti sulle garanzie Sace, con un plafond di 200 miliardi di euro, consentano di portare la quaota garantita dal 70% all’80%. Vi risulta?
Michele
FCA dichiara nel suo report sul Q1 2020 € 18,3 mld di liquidità + €3.5B new incremental bridge credit facility syndicated in Apr ’20. Quasi lo stesso livello di liquidità del Q1 2019. Davvero hanno bisogno delle garanzie statali italiane? Una azienda che – al di là della sede legale – è fondamentalmente azienda USA, dove nel 2019 ha realizzato più del 100% del suo EBIT. Lo stato italiano non dovrebbe garantire prima le tante aziende medie e piccole e lasciare che FCA si rivolga a Trump, a Macron o al governo olandese?
Ma soprattutto chi si illude sulla sorte degli impianti italiani dopo la vendita ai francesi?
Sarebbe davvero una beffa: lo stato italiano garantisce 80% dei 6.3 mld, FCA ci paga il dividendo straordinario di 5,5 mld, e la vende ai francesi che poi massacrano gli stabilimenti italiani…
PS: i dipendenti in Italia sono molto meno degli 86 mila indicati nell’articolo visto che l’Annual Report 2019 a pagina 31 indica 60.636 employees in Europe (In diminuzione del 8% vs 2017)
Firmin
Non capisco perché per uno stato sovrano sia ritenuto accettabile indebitarsi con condizionalità anche pesanti, mentre per una impresa no. Non è un problema ideologico, ma di normale pratica finanziaria. Se non sbaglio, il prestito degli USA alla FCA nel 2008 comportava condizioni molto più stringenti.
ettore falconieri
Dare addosso alla Fiat è una moda vecchia di decenni che piace a non pochi…..cattivissima FCA che dà lavoro solo a migliaia di lavoratori
Emanuele
Giusto. I 6 miliardi diamoli direttamente ai dipendenti invece che agli azionisti.
Andrea Malan
Condivido il dubbio sull’effettivo numero di occupati FCA in Italia: lo stesso comunicato di FCA in cui annuncia la richiesta di prestito parla di 55mila occupati diretti: rispetto a 86mila è una differenza non da poco
Monica Favoino
C’è qualcuno in grado di fare una analisi delle promesse che FIAT aveva fatto e poi ha effettivamente mantenuto a fronte di precedenti aiuti di stato ricevuti ? diciamo che una analisi degli ultimi 5 anni potrebbe essere utile in tal caso.
Giovanni Battista Morlino
Molti degli aspetti trattati sono condivisibili. Ma perché possa considerarsi un articolo che analizzi tutti gli aspetti, stupisce il fatto che la scelta olandese venga trattata solo come un aspetto di governance. Nei fatti c è anche una meno nobile pratica di elusione fiscale.
Pratica diffusa nelle grandi aziende, ma il fatto che non venga affrontata mette in dubbio tutta l analisi.
Henri Schmit
Sono d’accordo con questo commento. Dopo aver fatto l’osservazione la questione è di chi è la colpa : di FCA, dei suoi azionisti, dei governi e legislatori di NL e UK, o del governo e del legislatore italiano che non hanno provveduto a chiudere il loophole?
Sebastiano Privitera
Fca, chiedendo un prestito di 6,3 miliardi di euro… ha fatto scatenare un putiferio. Il putiferio è scaturito principalmente perché paga imposte in Olanda e in UK. Con l’aggiunta della risposta sui 5,5 miliardi di dividendi che si vogliono distribuire. Dall’articolo, tutto questo, non si capisce bene.