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C’è un’altra epidemia da curare: l’incertezza

Gli effetti diretti sul Pil del blocco delle attività dovuto al coronavirus sono sotto gli occhi di tutti. Poco si sa, invece, del ruolo moltiplicativo esercitato dall’incremento senza precedenti dell’incertezza economica, politica e finanziaria.

Così l’incertezza aggrava le recessioni

L’economia mondiale sarà caratterizzata nel prossimo futuro da una rilevante caduta del Pil a causa della pandemia Covid-19. A maggio 2020, la Commissione europea ha previsto, per quest’anno, una contrazione del Pil pari al 6,5 per cento per gli Stati Uniti, al 7,7 per cento per l’euro area e al 9,5 per cento per l’Italia. Sono cifre impressionanti che sarebbero solo mitigate, nel caso di arresto della pandemia, da una ripresa nel 2021 del 4,9 per cento negli Stati Uniti, del 6,3 per cento nell’euro area e del 6,5 per cento in l’Italia.

Si tratta di uno scenario in cui l’incertezza, anticiclica, potrebbe aggravare la crisi e rallentare la ripresa.

Nella letteratura, sono chiari gli effetti esercitati dall’incertezza sul Pil: le recessioni peggiorano. Se mancano certezze ad esempio in tema di tassazione, costi della sanità e quadro delle regole, famiglie e imprese assumono un atteggiamento prudenziale che, seppure comprensibile, ritarda la ripresa economica nel breve periodo. Fatto ancora più grave, la paura che frena consumi (specialmente in beni durevoli), investimenti, occupazione e spese in capitale umano mina le basi della crescita economica di lungo periodo.

Fasi di recessione richiedono articolate politiche economiche anticicliche, la cui complessità porta a prolungati dibattiti politici che, inevitabilmente, alimentano l’incertezza sul futuro. Durante le fasi cicliche più sfavorevoli, l’incertezza politica aumenta pericolosamente, soprattutto se chi governa non converge in fretta su misure anticicliche di consenso, oppure non comunica azioni i cui effetti vengono percepiti.

Nella situazione attuale, di rallentamento economico, emergono, allora, due domande. La prima: sono già evidenti (e se sì, in quale entità) spinte verso l’alto dell’incertezza? La seconda: quali sono i temi economici e politici più forieri di incertezza nelle persone?

L’indice Eurq

Le risposte a entrambe le domande possono essere fornite dall’Economic Uncertainty Related Queries (Eurq) Index, una misura di incertezza recentemente introdotta da Maria Elena Bontempi, Michele Frigeri, Roberto Golinelli e Matteo Squadrani (2019) per Stati Uniti e Italia.

In generale, la costruzione di Eurq poggia sull’assunzione che l’incertezza alimenti la necessità di acquisire maggiori informazioni su questioni economiche e politiche strettamente rilevanti per le decisioni da prendere. Maggiore è la ricerca su Internet di termini chiave rappresentativi delle suddette questioni, maggiore è l’incertezza stimata. Nel caso della crisi da coronavirus, è importante evidenziare che termini quali “Covid-19”, “pandemia” e “virus” non sono inclusi nella lista dei termini di ricerca; ciò che conta, invece, è come la pandemia si riverbera nella ricerca di termini relativi alla politica fiscale e monetaria, all’assistenza sanitaria e alla protezione sociale, alle misure di sostegno ai redditi e ai sussidi di disoccupazione, all’ambiente, al commercio estero e al debito sovrano.

In particolare, Eurq misura il volume delle ricerche su Internet relative a una lista di 184 termini forieri di incertezza specifici per gli Stati Uniti e da 163 termini specifici per l’Italia. La serie storica a periodicità mensile di Eurq è disponibile da gennaio 2004 ad aprile 2020, viene regolarmente aggiornata utilizzando una procedura in Python di web scraping su Google Trends ed è scaricabile dal sito dell’Economic Policy Uncertainty Index(Epu) creato da Steven Davis (Chicago University), Nick Bloom (Stanford University) e Scott Baker (Northwestern University).

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Rispetto ad altre misure di incertezza, il principale vantaggio di Eurq è quello di considerare l’insieme di tutti gli agenti economici. Gli indicatori di incertezza finance-based (il Vix, ad esempio) rischiano di cogliere, oltre all’incertezza, l’avversione al rischio degli investitori; gli indicatori forecast-based (quale la varianza dell’errore di previsione) richiedono complesse elaborazioni prima di essere disponibili e potrebbero indicare, oltre all’incertezza, il disaccordo tra i professional forecasters; gli indicatori news-based (l’Epu, ad esempio) si basano sulla percezione dell’incertezza (e le opinioni) dei giornalisti, in quanto ottenuti dal conteggio di specifiche parole riportate nei quotidiani.

Sebbene utilizzi queries strettamente collegate alle specifiche parole alla base dell’Epu, Eurq cambia completamente prospettiva, passando dal canale di trasmissione delle informazioni (la stampa) alla percezione diretta di tutti gli individui manifestata tramite le loro ricerche sul web.

Questo permette di evidenziare interessanti risultati, quali il fatto che l’incertezza che concerne aspetti reali e politici dell’economia susciti immediato e spontaneo interesse negli agenti economici, mentre quella che riguarda aspetti normativi e finanziari dell’economia venga percepita in seguito alla diffusione di notizie a essa relative da parte dei giornalisti. Si tratta di un’importante distinzione ai fini della comprensione degli effetti delle politiche fiscali e monetarie. Inoltre, Eurq può catturare l’incertezza indipendentemente dalla diffusione della stampa (un aspetto rilevante per alcune aree geografiche) e può cogliere il fenomeno di raccolta di informazioni “chiacchierando con i vicini oltre la recinzione del giardino”.

Cosa è successo in Usa e in Italia

I grafici 1 e 2 mostrano che l’incertezza, misurata da EURQ, ha raggiunto nuovi e impensabili picchi sia negli Stati Uniti che in Italia durante i mesi di marzo e aprile, quando la pandemia è stata conclamata.

Grafico 1

Grafico 2

Per gli Stati Uniti, il livello medio destagionalizzato di Eurq in aprile è di circa il 20 per cento sopra al picco raggiunto in occasione del fallimento della Lehman Brothers nel settembre 2008. Il balzo verso l’alto a partire da febbraio 2020 (cioè nell’imminenza del Covid-19) è stato impressionante: quasi del 60 per cento. Aumenti dell’incertezza per gli Stati Uniti a iniziare da marzo 2020 sono confermati anche da altri indicatori di incertezza.

Per l’Italia, Eurq segnala un punto di svolta in corrispondenza della crisi del debito italiano, nel 2011: da quel momento l’incertezza non è mai tornata ai livelli precedenti, ma anzi ha mostrato una tendenza generale all’aumento. Nonostante questo, nel nostro paese l’effetto del Covid-19 sull’incertezza è stato ancora più evidente di quanto visto per gli Stati Uniti: ad aprile 2020 l’indice presenta un incremento di oltre il 70 per cento sia rispetto allo stesso mese del 2019 che a febbraio 2020. Sono incrementi di gran lunga superiori rispetto a quelli registrati durante i picchi passati, in occasione della grande recessione, del Jobs act e del referendum costituzionale.

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Dunque, la risposta alla prima domanda se l’incertezza sia aumentata è “decisamente sì”: in entrambi i paesi il livello medio di incertezza nel bimestre aprile-marzo 2020 ha avuto un radicale cambiamento rispetto alla media pre-Covid-19 (2004m1-2020m2), pari al 53 per cento per gli Stati Uniti e al 91 per cento per l’Italia.

I fattori d’incertezza

L’indice Eurq permette anche di rispondere alla seconda domanda su quali componenti abbiano maggiormente contribuito alla crescita complessiva dell’incertezza economica.

Per gli Stati Uniti, la parte più cospicua dell’incremento del 53 per cento è riconducibile a tre blocchi di ricerche web: (i) “sussidi di disoccupazione”, “programmi di sostegno al reddito” e “diritti sindacali” per più del 20 per cento, (ii) “sicurezza sociale” per l’11 per cento e (iii) “buoni pasto”, “deficit pubblico”, “spese militari” e “salari e orari di lavoro” per un ulteriore 11,5 per cento.

Per l’Italia, la parte più considerevole dell’incremento del 91 per cento è riconducibile a due blocchi di query: (i) “Inps” e “debiti sovrani” per più del 60 per cento, (ii) “protezione civile”, “aliquota fiscale” e “stress test banche” per un ulteriore 20 per cento.

Ciò suggerisce che le principali determinanti dell’aumento di incertezza all’epoca del Covid-19 riflettono la necessità di famiglie e imprese di avere maggiori informazioni sulle misure pubbliche adottate per combattere gli effetti dello shock pandemico.

In una recente intervista, Joseph Stiglitz ha affermato che dall’epidemia possiamo imparare – oltre all’importanza della scienza – il ruolo strategico del settore pubblico e la necessità di azioni collettive e di riduzione delle diseguaglianze. Ebbene, le componenti che più concorrono all’incremento dell’incertezza nel corso della pandemia ribadiscono la necessità che governi e associazioni di imprenditori e lavoratori programmino attentamente la sequenza di azioni necessarie a ripartire e a ripensare il sistema economico, agendo con incisività per fronteggiare le strutturali lentezze burocratiche. In caso contrario, l’assenza di piani strategici e linee guida, riflessa in una erratica gestione della comunicazione, fomenterebbe ulteriori aumenti dell’incertezza, in una spirale perversa per la già difficile situazione del 2020 e l’incerta ripresa prevista per il 2021-2022.

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  1. Francesco Fusari

    Molto interessante. Domanda forse sciocca: l’ ‘incremento “strutturale” dell’ EURQ in Italia dal 2011 in poi potrebbe essere dovuto, più che all’aumento dell’incertezza, ad un maggior accesso ad internet da parte della popolazione?
    Questo report ISTAT (pagina 9) segnala ad esempio come proprio dal 2011/2012 siano aumentati notevolmente gli utenti “forti” di internet.
    https://www.istat.it/it/files/2018/06/Internet@Italia-2018.pdf

    • maria elena

      Caro Francesco, la risposta è no, l’andamento dell’indice non risente del maggiore accesso ad Internet da parte della popolazione. Infatti, per ovviare a questo problema, l’indice è calcolato in percentuale al numero totale delle query su Google. Nel paper, Appendice, trovi tutti i dettagli tecnici. Grazie comunque per il link.

  2. Giuseppe

    Con tutto il rispetto per lo sforzo fatto, non vedo la ragione di dover ricorrere a tali strumenti così complessi quando la fonte della principale incertezza è chiarissima: la disponibilità di un vaccino/cura.
    Finché non arriverà il vaccino, il mondo sembra destinato a vivere una vita di “serie B” per via del distanziamento sociale, con effetti, a mio avviso, catastrofici sui consumi, visto che anche chi avrà reddito disponibile sarà impedito nella componente della spesa edonistica /voluttuaria.
    Il corretto rimodellamento del consumatore medio in questo scenario senza precedenti nella storia, è il fattore chiave per ottenere delle buone previsioni econometriche per i prossimi mesi.

    • maria elena

      Con tutto il rispetto per il punto di vista di Giuseppe, non credo che il problema si possa semplificare cosi’ drasticamente. Certo che il vaccino è importante, ma la velocità con cui usciremo dal tunnel può’ essere molto diversa a seconda di come riusciremo oggi (in attesa del vaccino) ad attenuare l’incertezza di famiglie e imprese. I consumi e, anche più’ importanti, gli investimenti, la domanda di lavoro, la formazione del capitale umano riprenderanno in modo molto diverso a seconda dello stato di incertezza. Quindi, a mio parere, occorre monitorare con attenzione la dinamica dell’incertezza per cercare di ridurne l’impatto sulle scelte economiche di oggi che influenzeranno il futuro. Contrariamente al vaccino che è nelle mani degli scienziati e dei finanziamenti alla ricerca e, una volta scoperto e validato, nelle mani del libero arbitrio dei singoli (a meno che non si voglia imporlo per legge), il mantenimento della fiducia (il combattere l’incertezza) è argomento su cui politici ed economisti possono scrivere molte pagine importanti (anche relativamente all’acquisizione del vaccino).

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