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Quei due bonus che non badano a spese

I bonus permetteranno di effettuare ristrutturazioni edilizie senza sborsare un euro. L’intento è nobile, ma l’aliquota al 110 per cento elimina gli incentivi a mantenere prezzi competitivi e rischia di rivelarsi una fonte di spreco di denaro pubblico.

Come funzionano ecobonus e sismabonus

Dopo il prezzo di stato per le mascherine, il governo propone una nuova sfida alla teoria degli incentivi con le detrazioni al 110 per cento, questa volta eliminando la competizione sul prezzo e permettendo alle imprese di determinare il loro compenso in maniera arbitraria, a spese dello stato.

I bonus rispondono al nobile intento di sussidiare interventi volti a migliorare l’efficienza energetica (di almeno due classi), l’installazione di pannelli fotovoltaici e di colonnine per le auto elettriche, oppure volti a ridurre il rischio sismico degli edifici.

La norma risponde al condivisibile obiettivo di unire il rilancio dell’edilizia e l’emersione del nero all’ammodernamento degli immobili sotto il profilo della tenuta sismica e dell’impatto ambientale. Nonostante gli ingenti costi per lo stato, stimati in circa 14 miliardi nei prossimi 5 anni, prevede il finanziamento dei soli lavori svolti entro il 2021.

Si tratta di fatto di un potenziamento temporaneo di bonus già esistenti nella forma di detrazioni, che il beneficiario può utilizzare per abbattere le imposte dovute nell’arco di 5 anni. Per facilitare il godimento del bonus, il legislatore ha anche previsto la possibilità di lasciare direttamente il credito all’impresa che effettua i lavori, in cambio di uno sconto in fattura.

Gli effetti della detrazione al 110 per cento

I bonus non rappresentano dunque una novità. Tuttavia, l’ammontare delle detrazioni si era sempre mantenuto intorno ai due terzi della fattura, lasciando una parte del costo dell’opera a carico del diretto beneficiario.

Un’aliquota inferiore al 100 per cento ha finora garantito il mantenimento di quei meccanismi di mercato che impediscono alle imprese di gonfiare i prezzi a piacimento e, come la franchigia nel mondo assicurativo, risponde alla logica economica allineando gli incentivi dello stato-principale a quelli dei compratori-agenti.

Con l’aliquota al 110 per cento, il committente potrà ora optare per uno sconto in fattura pari alla totalità dell’importo, evitando di sborsare un singolo euro all’impresa, che così ottiene un credito d’imposta pari al valore dei lavori e cedibile alle banche in cambio di un pagamento immediato.

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Il prezzo dei lavori diventa dunque irrilevante per il committente, che non avrà incentivo a valutare preventivi più economici, contrattare sul prezzo o anche solo a verificarne la ragionevolezza.

Con la successiva cessione del credito agli istituti finanziari, lo stato di fatto rimborsa le imprese tramite le banche per un ammontare che non sarà il risultato dell’interazione tra domanda e offerta, bensì arbitrariamente determinato da chi svolge i lavori. A voler pensar male, si potrebbe addirittura ipotizzare un accordo tra committente e impresa per far rientrare nei costi altri lavori di ristrutturazione.

Il decreto prevede tetti di spesa per tipo di intervento e una certificazione di congruità, ma i limiti sono molto ampi e non possono certamente tenere conto delle specificità di ogni lavoro. E l’idea di affidare la valutazione di congruità del prezzo a un tecnico e non alla libera contrattazione è piuttosto ingenua. Certo, le pesanti sanzioni, anche penali, a cui vanno incontro i tecnici che certificano prezzi incongrui rappresentano un argine alla discrezionalità, ma data l’impossibilità di normare con precisione il valore effettivo di ogni intervento rimarranno sempre margini, che non potranno essere eliminati fintantoché non verrà ripristinato l’interesse del compratore nel prezzo.

Ma anche ipotizzando che le verifiche di congruità impediscano alle imprese di gonfiare i costi, il meccanismo elimina l’incentivo a bilanciare qualità e prezzo del lavoro, cosicché per il compratore resta sempre e comunque conveniente la soluzione di più alta qualità, a prescindere dal costo delle alternative. Paradossalmente, le imprese che offrono soluzioni più economiche potrebbero risultare addirittura spiazzate, dato che il risparmio che offrono diventa del tutto irrilevante.

Un bonus così concepito andrà a probabile vantaggio delle imprese più disposte a gonfiare i compensi e rischia di penalizzare quelle che hanno puntato su prezzi competitivi. L’effetto sui prezzi dei lavori, sempre che “prezzi” sia ancora il termine corretto in tale contesto, è facilmente prevedibile.

Lo spreco di denaro pubblico non è mai giustificato

In discussione non è l’intento della misura, che è condivisibile, bensì il metodo. La speranza non è dunque un passo indietro sul fronte delle politiche ambientali, bensì in una modifica del provvedimento per aumentarne l’efficacia, ad esempio riducendo l’aliquota per lasciare almeno una parte del costo a carico del committente, e in cambio ampliare la platea dei beneficiari a gettito invariato. Altrimenti, non resta che rassegnarsi a una ulteriore distorsione dei meccanismi di mercato, con buona pace dei “liberisti da divano” e della teoria degli incentivi.

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Ma forse il discorso andrebbe allargato, ricordando che anche i governanti, come i governati, rispondono a incentivi: con la poderosa linea di credito a basso costo garantita dalla Banca centrale europea, è naturale – e in parte anche lecito – che i governi si indebitino per superare la crisi. Nel valutare i provvedimenti e le loro falle, sarebbe però opportuno tenere a mente che il flusso di liquidità prima o poi dovrà invertirsi e che il peso di questo ulteriore debito ricadrà inevitabilmente sulle spalle delle generazioni future, già eccessivamente gravate.

Investire sull’ambiente è oggi più che mai necessario, ma è importante farlo in maniera ragionata, cercando di ricavare la massima efficacia dal denaro speso. E se è vero che drastici interventi a deficit sono certamente giustificati dalla congiuntura storica, lo spreco di denaro pubblico non lo è mai. Ma forse il raggiungimento di questa consapevolezza fa parte di una “fase 3” che ancora non vediamo arrivare.

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15 commenti

  1. Savino

    A me è sorto il dubbio che la normativa possa riguardare solo grandi aziende che si occupano di impiantare plessi energetici innovativi, le uniche a poter realmente incassare crediti di un certo rilievo verso lo Stato, mentre una piccola ditta locale potrebbe essere una sorta di subappaltatrice, incaricata di svolgere materialmente l’opera.

  2. Giovanni GORIO

    Sono senza parole. Siamo nelle mani di una banda di cialtroni. L’unica e sola consolazione è che l’alternativa sarebbe stata quella di Di Maio, Presidente del Consiglio e Salvini Vice Presidente con Bagna o Borghi al MEF.
    Buon Lavoro e grazie per il prezioso lavoro che LA VOCE sta facendo.

  3. Andrea Salanti

    Appare veramente singolare che, in un paese dove le minuziose regole in tema di appalti pubblici finiscono per creare più problemi che altro, si approvi per decreto che lo Stato paghi sia pur indirettamente lavori di ristrutturazione il 10% in più del loro costo effettivo, sul quale sarà oltretutto praticamente impossibile esercitare qualsiasi controllo di congruità. Ma soprattutto, un incentivo del genere si giustifica in quanto tendente a favorire la realizzazione di opere che, oltre ad essere nell’interesse del proprietario, portano anche a un risultato ritenuto socialmente utile, quale il risparmio energetico. Tutto questo ha però senso se i proprietari partecipano in qualche misura alla spesa, altrimenti si finisce nel paradosso che mentre non si riesce a riqualificare l’edilizia pubblica residenziale, scolastica, sanitaria, ecc., si va a riqualificare quella privata senza alcun onere a carico dei proprietari, e francamente sfugge il senso della cosa. Senza contare che per fare spendere ora, lo Stato ipoteca entrate future sotto forma di minori introiti fiscali nei prossimi cinque anni.

  4. Roberto Camporesi

    Sono persona che si ritiene attenta a questi temi: ho effettuato tutti gli interventi di riqualificazione energetica sulla casa di residenza ed adesso ho in corso un intervento di rifacimento facciate su una seconda casa. Pur apprezzando lo spirito del provvedimento mi sono chiesto 2 cose: 1) ripensando alla mia esperienza: prima di fare un intervento mi sono fatto fare 3 preventivi prima di decidere a chi assegnare i lavori e poi ho scelto quello che mi sembrava avesse il miglior posizionamento come qualità della proposta e come prezzo. Mi pare che le misure previste ( il bonus insieme alla possibilità di cedere il credito consente di far fare i lavori senza dover fare nessun esborso) non spingeranno comportamenti avveduti di comparazione tra diversi preventivi. La generosità delle misure elimina la necessità di fare comparazioni e, poichè paga Pantalone, c’è il rischio di una lievitazione dei prezzi e di lasciare uno spazio a comportamenti furbeschi. Mi permetto di dire che, con gli stessi intenti, ci si poteva fermare al 95% di recupero fiscale: il fatto di dover comunque metterci qualcosa non avrebbe fatto cadere un meccanismo virtuoso di scelte avvedute basate su una comparazione di diverse offerte (un contrappeso utile per sviluppare comportamenti virtuosi). 2) mi aspettavo un articolo che entrasse nel merito del valore atteso da questo intervento e del costo che questo provvedimento ha per la fiscalità generale

    • Fab

      Diciamo anche il 30%, altrimenti viene meno la co-responsabilità. Epppure c’è ch contesta l’articolo.

  5. Lo stato sta buttando soldi e tratta male i lavoratori dipendenti:
    1) i lavoratori domestici ed i cococo intascano 1000 euro anche se hanno regolarmente lavorato;
    2) i 25000 sono stati concessi a molte ditte che erano incapaci a fare il loro lavoro e che mai restituiranno.
    3) i dipendenti in cassa integrazione sono in attesa ancora dello stipendio di aprile a causa della normativa palesemente assurda.

  6. Carlo

    Il meccanismo del credito di imposta è questo: uno prima lo crea, lo utilizza e solo in un secondo momento lo stato controlla e sanziona. Ma dai numeri che girano sulle cartelle di pagamento la cui notifica è sospesa per il coronavirus penso che tanti alla fine, se ci sarà qualche forma di controllo effettivo su questo credito, non pagheranno nulla.
    Lo strumento più corretto sarebbe stato il sussidio: contributi fissi monetari nella misura, ad esempio dell’80 %, erogati dopo aver presentato la fattura ed il pagamento del 20%. Però in questo caso ci si dovrebbe porre il problema se la PA sia in grado di agire in tempo reale oppure no per deficit di personale, organizzativi o perché la platea di cittadini interessati è troppo vasta. Mi riferisco ai recenti problemi del bonus 600 euro e della cassa integrazione.

  7. Roberto

    Concordo pienamente con l’articolo e sulle possibili soluzioni. Per non distorcere il mercato l’aliquota deve essere sempre inferiore al 100%. Complimenti a chi ha scritto l’articolo, veramente ben fatto e di semplice comprensione.

  8. Michele

    Mi sembra che l’approccio dell’articolo sia un po’ troppo ristretto. Di fatto il risultato del provvedimento è un grosso incentivo agli investimenti di efficientamento energetico delle persone fisiche (PS: non si capisce perché se gli incentivi a pioggia sono alle imprese allora vanno bene, se sono alle persone fisiche invece no), unitamente a una applicazione di Helicopter money policy che beneficia persone fisiche e imprese edili/di impiantistica con il comune denominatore di operare nel settore dell’efficentamento energetico, oltre che una operazione utile all’emersione dell’economia sommersa. Un modo di trasferire rapidamente all’economia reale il quantitative easing della BCE. Ci saranno operazioni di arbitraggio e/o di preventivi gonfiati? Certamente si. Nell’ottica della emergenza e del urgenza del green deal sono “material”? Direi proprio di no.

  9. Nicola Fusco

    Non condivido pienamente l’articolo, ero molto interessato a rendere più sostenibili i miei consumi tramite l’installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto del mio condominio, tuttavia le condizioni poste nell’art. 119 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 cioè di realizzazione
    di altri contestuali interventi condominiali cui:
    a) interventi di isolamento termico delle superfici opache dell’edificio;
    b) interventi sulle parti comuni degli edifici per la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale centralizzati,
    di fatto rendono inapplicabile nel mio caso e di fatto in molti altri casi l’incentivo.

  10. MS

    Condivido intuitivamente molto, pur non conoscendo bene questi “incentivi”. L’Italia ha una piccola tradizione, ora ventennale (con norme varie, quasi mai valutate) di sostegno a settori che, evidentemente, non solo rifiutano la concorrenza ma vivono di meccanismi collusivi costruiti anche dalle istituzioni. Così facendo lo stato non fronteggia o subisce le lobby, ne è completamente catturato. Poi, per conquistare il consenso di tutti, regala a tutti qualcosa, per categorie etc.: una logica lassista, non così diversa dal “meno tasse per tutti”. L’incapacità di rappresentare punti di vista generali, e valutare seriamente interventi, incentivi e regole, favorisce questa deriva. Lei da economista è buono con gli scopi di questi bonus. Sarei ancora più diffidente perché molte ristrutturazioni vanno guardate dal punto di vista tecnico: e non è semplice farlo senza ipotesi teoriche ed indagini empiriche sugli edifici. Si sono commessi errori, in passato, sulle ristrutturazioni edilizie nei centri storici; errori emersi solo dallo studio di successivi eventi sismici. Regalare soldi può distorcere non solo la concorrenza, ma anche la valutazione tecnica degli interventi da farsi, favorendo quelli con un peggiore impatto sulle strutture, a scapito di manutenzioni fondate su una attenta conoscenza degli edifici. Mentalità formalista, a-valutativa, e opportunismo economico possono unirsi nel danneggiare invece che nel manutenere e apportare miglioramenti ambientali (dove possibile).

  11. Erasmo

    Il nostro condominio eseguirà i lavori solo se nessuno dovrà sborsare un euro. Altrimenti, adios! Piuttosto, che si faccia leva sul maggiore efficientamento energetico.

  12. Dario Moro

    Ho letto l’articolo e l’autore paventa la possibilità di ” possibili rischi ” di preventivi gonfiati . Mah….io lo do per certo. Se nessuno ha interesse a risparmiare ci sarà inevitabilmente un vero e proprio assalto alla diligenza

  13. Bozena Barczewska

    Lo scopo è nobile per modo di dire. Chi è in affitto pagherà con le proprie tasse per i lavori sulle prime e anche le seconde case. I lavori verranno fatti per alzarne il valore! Perché non spendere questi soldi nell’edilizia scolastica? È vergognoso lo stato degli edific scolasticii da terzo mondo.

  14. mirella Montanaro

    Stiamo per fare maquillage facciate e balconi al 90/100 e mi sono accorta del prezzo gonfiato all’inverosimile , vera e propria truffa allo stato : che fare ?

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